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Attivismo climatico: un assalto all’Arte tra vernici e farina

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(Tempo di lettura: 5 minuti)

Il 4 di novembre un consommé era stato buttato addosso al Seminatore di Van Gogh in esposizione a Palazzo Bonaparte a Roma, in prestito alla mostra organizzata da Arthemisia, mentre a luglio gli attivisti si erano incollati una mano sul vetro che protegge la Primavera di Botticelli agli Uffizi. L’ultimo episodio a Milano, lo scorso venerdì, con il lancio di 8 chili di farina sulla Bmw M1 dipinta da Andy Warhol alla mostra Andy Warhol: La pubblicità della forma alla Fabbrica del Vapore.

La Bmw M1 dipinta da Andy Warhol alla Fabbrica del Vapore, Milano (Foto: Gloria Gatti).

Negli atti di disobbedienza civile dell’Ultima Generazione, delusa, arrabbiata, ci sembra di rivedere la Cortellesi, alias della nostra, quando in casa si era permessa di gridare: «Mamma, la vostra generazione si è mangiata tutto!», nel film Figli, diretto nel 2020 da Giuseppe Bonito, in un tempo che se per noi è faticoso, si preannuncia davvero inospitale per le giovani generazioni.

Per contro, il potenziamento degli sforzi “per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo” insieme è uno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (11.4) definiti dall’Onu nell’Agenda 2030 (Sustainable Development Goals o SDGS), e l’imbrattamento di un bene culturale a difesa dell’ambiente – a noi che conosciamo la storia dell’arte – appare tanto surreale quanto la maschera di Dalì, visionario artista, ma non poco velatamente franchista, eretta a simbolo di protesta dopo la Casa de Papel.

Se nel 2017 le proteste ambientaliste al Van Gogh Museum erano performance artistiche fatte di conchiglie sporcate di petrolio nero dal collettivo Fossil Free Culture contro le sponsorizzazioni da parte di Shell, accusata di brandwashing, e avevano un fine concreto che ha portato ad un risultato reale (la fine delle sponsorizzazioni), quello che sta accadendo in questi mesi, pur nella consapevolezza che il surriscaldamento climatico è un problema reale anche per i nostri figli, rischia di portare ad un risultato addirittura opposto, sostenuto solo da un “attivismo da click” e soprattutto può arrecare un danno incalcolabile e ingiusto al mondo della cultura.

Pochi giorni fa, infatti, due attivisti di Letzte Generation hanno lanciato del liquido nero sul capolavoro di Gustav Klimt Morte e vita, esposto al Leopold Museum di Vienna. Anche quel giorno l’ingresso al museo era gratuito, grazie a una sponsorizzazione della compagnia petrolifera austriaca OMV, ma al brandwashing, anche nelle dichiarazioni degli attivisti, non si è più fatto alcun cenno e pure il Klimt è finito nel minestrone del vandalismo culinario (vernice nera in realtà), mosso solo da quella che è ormai un’ossessione di visibilità di una causa che, in piena crisi energetica, può risultare persino stridente.

Le voci indulgenti non mancano.

Sul New York Times, James Ozden, ex attivista ora studioso dei movimenti ambientalisti ha evidenziato che in base a ricerche recenti i gruppi radicali e non violenti sono positivi per portare avanti determinate cause «le tattiche radicali e non violente rendono più probabile che aumenti il sostegno per i gruppi più moderati, in modo tale da fare aumentare le opportunità di un intero movimento di raggiungere i propri scopi» e anche Tommaso Montanari sul Venerdì di Repubblica, ha reagito contro chi ha definito quel gesto criminale stigmatizzando il fatto che la causa ambientale è più nobile della mercificazione dell’arte come bene di lusso per pochi eletti.

Le reazioni istituzionali sono giustamente di altro tenore.

Il 15 novembre, in Francia, è stata presentata la proposta di legge n. 461 per inasprire le pene per la distruzione, il degrado o il deterioramento dei beni culturali e dei loro dispositivi di protezione ritenendo che «senza una reazione forte e rapida, tali atti si moltiplicheranno, le grandi istituzioni culturali si trasformeranno in bunker, i piccoli musei delle regioni non saranno in grado di investire in deterrenti e non potranno più ottenere prestiti di opere importanti».

La proposta prevede l’introduzione di un nuovo reato, per cui “la violazione o il tentativo di violazione, distruzione, deturpazione o danneggiamento del dispositivo di protezione di un bene culturale è punito con la stessa pena prevista per la violazione o il tentativo di violazione, distruzione, deturpazione o danneggiamento di un bene culturale”.

Qualche giorno prima, invece, 100 direttori di grandi musei hanno sottoscritto un testo condiviso, che riportiamo: «Nelle ultime settimane ci sono stati diversi attacchi alle opere d’arte nei musei internazionali. Gli attivisti responsabili sottovalutano la fragilità di queste opere insostituibili del patrimonio culturale mondiale, che devono essere preservate. In quanto direttori e direttori di musei responsabili delle opere, la pericolosità di questa situazione ci ha scosso profondamente».

Per una volta, in Italia, all’aspetto sanzionatorio ci avevamo già pensato prima.
L’art.  518-duodecies (Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e  uso  illecito  di  beni  culturali  o paesaggistici), neo introdotto dalla legge 9 marzo 2022, n. 22 punisce, infatti, “chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali  o paesaggistici propri o altrui con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 2.500 a euro 15.000”.

I casi sino ad ora verificatisi costituiscono ipotesi di imbrattamento, ossia la condotta di chi modifica l’aspetto esteriore di un bene culturale senza causarne un pregiudizio permanente e agevolmente reversibile ledendo però l’interesse alla sua pubblica fruizione.

Si tratta di pene aspre se si considera che nessuna delle opere ha avuto un danno permanente o temporaneo (tutte erano protette da vetro), tuttavia «non tutti i musei, sia di natura pubblica o privata, possiedono le risorse economiche per poter tutelare le proprie opere d’arte con l’inserimento di vetri di protezione o teche, che in ogni caso potrebbero non essere sufficienti per una salvaguardia totale da coloranti o sostanze acide. Si pone dunque un doppio problema relativo alla sicurezza e alla conservazione che difficilmente può essere gestito solo con un maggiore controllo del servizio di guardiania. Inoltre, un ulteriore elemento di preoccupazione nasce per la responsabilità, culturale e assicurativa, sulle opere d’arte che non sono di proprietà del museo ma in comodato o in prestito per mostre temporanee, come accaduto a Roma con Il Seminatore di Van Gogh del Museo Kröller-Müller di Otterlo», dichiara Giorgia Salerno, storica dell’arte, curatrice d’arte contemporanea e attualmente conservatrice presso il MAR-Museo d’Arte della Città di Ravenna.

In merito all’attentato a Palazzo Bonaparte, Massimo Maggio, Head of Fine Art Division di Wide Group SpA, società broker che ha assicurato le opere di Van Gogh in prestito per la mostra organizzata da Arthemisia, riferisce che a Palazzo Bonaparte erano già stati elevati gli standard di sicurezza: era presente un maggior numero di addetti alla vigilanza nelle sale e previsto l’obbligo di depositare capi spalla, borse e zaini al guardaroba.

Quella alla Fabbrica del Vapore, invece, è una mostra “povera”, costituita in massima parte da opere grafiche ad eccezione dell’automobile, e, sino a domenica scorsa, quando l’ho visitata io, il personale era pochissimo e l’affluenza di pubblico elevatissima, ed è ben evidente che non era stata adottata alcuna misura di sicurezza, perché 8 kili di farina non si possono nascondere nella tasca dei pantaloni, anche se modello cargo.

Per gli Uffizi, e per tutti i musei pubblici, invece, l’implementazione delle misure di sicurezza e di personale, soggiace a norme amministrative di lentezza elefantiaca.

Oltre al rischio emulativo e ad un reale pericolo di danneggiamento delle opere, magari anche non premeditato che è, comunque, concreto (un vetro potrebbe essere non ben installato e non reggere alla pressione delle mani, una cornice potrebbe essere coeva o realizzata dall’artista stesso) è l’intero sistema espositivo ad essere a pericolo.

Non sono solo le opere ad essere fragili, lo è l’intero “comparto cultura”, che si regge sempre su un equilibrio finanziario precario, salvo rare eccezioni.

Al momento, sembra che la sicurezza possa essere garantita solo installando dei body scanner come quelli degli aeroporti, ove ce ne sia lo spazio. Il che creerebbero code interminabili, con annessa falcidia degli ingressi e, a cascata, della biglietteria.

Sempre Massimo Maggio, ha evidenziato che queste azioni si tradurranno in un inevitabile aumento dei costi delle coperture assicurative delle opere contro gli atti vandalici, in ragione dell’esponenziale aumento degli episodi verificatisi e del rischio di escalation.

Ci aspettiamo, inoltre, che ciò possa incidere in misura rilevante anche sulla dinamica dei prestiti, da sempre molto prudenziali per quanto riguarda le opere di proprietà pubblica e forse in misura ancora maggiore per le opere di proprietà privata di norma non esposte al pubblico.

Dopo l’attentato alla Primavera, Ultima Generazione ha dichiarato in un post su Instagram: «Abbiamo deciso di usare l’arte per trasmettere un messaggio d’allarme: stiamo andando verso un collasso ecoclimatico e sociale». Visto che prima di loro ci ha già provato qualcun altro, gli suggerirei di guardare quella storia riconciliante e d’altri tempi narrata con ironia nel film The Duke, tenendo a mente che quarant’anni dopo il furto del Goya, le licenze televisive sono state rese gratuite per le persone di età superiore ai 75 anni.

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