Il Caso Al Mahdi (Parte II)
Ultimiamo, di seguito, la traduzione del passo Individual Criminal Responsability for the Destruction of Religious and Historic Buildings: The Al Mahdi Case, a cura della Professoressa M. Sterio.
Al Mahdi: un uso improprio delle risorse della CPI (Corte Penale Internazionale)?
I dissenzienti hanno evidenziato che il caso Al Mahdi potrebbe non essere accolto come uno sviluppo positivo del diritto penale internazionale. Ad esempio, gli studiosi hanno criticato il caso Al Mahdi dal momento in cui ha dilatato i limiti della CPI a tal punto da decretare un momento di rottura, perché esso si è tradotto nel mancato rispetto di due nuclei centrali dell’operato della CPI: la gravità e la complementarità.
A. Gravità
La CPI è stata istituita in modo tale che la giurisdizione potesse essere esercitata sugli individui, in relazione ai crimini più gravi rispetto ai quali la comunità internazionale esprime la propria preoccupazione. L’articolo 17 (1)(d) dello Statuto di Roma dispone che un caso è inammissibile dinanzi alla CPI nel momento in cui non rileva una gravità tale da giustificare l’adozione di ulteriori misure da parte della Corte. Il Procuratore ha stabilito, per quel che riguarda il caso Al Mahdi, che “gli attacchi diretti contro gli edifici religiosi sono a tal punto gravi da giustificare l’intervento della comunità internazionale”. C’è da chiedersi, tuttavia, se la distruzione di edifici debba qualificarsi come uno dei crimini più gravi, tale da suscitare l’interesse della comunità internazionale. In un altro caso recente, il cosiddetto incidente della Flotilla, dove le forze speciali israeliane uccisero dieci attivisti a bordo di un’imbarcazione che stava per violare il blocco navale israeliano di Gaza, l’Ufficio del Procuratore della CPI ritenne che il caso non fosse sufficientemente grave da comportare le indagini della Corte. L’Ufficio del Procuratore ha statuito che in relazione alla sussistenza del principio di gravità rilevi:
I) se il gruppo di persone che verrà probabilmente sottoposto ad indagine include i soggetti maggiormente responsabili; e
II) la gravità dei presunti crimini commessi nei singoli incidenti e che probabilmente saranno oggetto d’indagine.
Di conseguenza, l’Ufficio del Procuratore ha individuato gli elementi che devono profilarsi nel momento in cui si analizza la gravità dei crimini e, rispettivamente, “la dimensione, la natura, la modalità di commissione dei crimini e il loro impatto”. L’Ufficio del Procuratore soppesò tali considerazioni nell’ambito del caso Flotilla e decise che le indagini non avrebbero avuto luogo, giacché 1) esse non avrebbero riguardato i fautori maggiormente responsabili del crimine; 2) la portata e la natura dei crimini non erano di sufficiente gravità; e 3) non vi erano prove sufficienti per stabilire come l’impatto dei crimini oltrepassasse le vittime coinvolte. Tenendo a mente questo precedente, è importante affrontare due quesiti: se Al Mahdi sia stato il principale responsabile dei crimini che gli furono ascritti e se i crimini stessi siano di ovvia gravità. Così come è probabile che egli abbia distrutto edifici religiosi, è, altresì, probabile che gli altri membri dei movimenti di matrice islamica abbiano, in egual misura, partecipato alla pianificazione e alla commissione di questi crimini. È stato suggerito che Al Mahdi sia stato incriminato perché tutti gli altri leader delle varie milizie estremiste presenti nella regione sono stati uccisi o sono fuggiti. Questa riflessione indicherebbe che Al Mahdi sia stato processato per ragioni pragmatiche, che lasciano ben poco spazio al rispetto del principio di gravità. In secondo luogo, è incerto se il crimine di guerra di distruzione dei beni culturali sia grave a tal punto da richiedere, obbligatoriamente, l’intervento della CPI. Nonostante i divieti contenuti nello Statuto di Roma contro “la distruzione di edifici religiosi… ma bisogna comprendere come sia stato delineato che siffatti crimini possono essere perseguiti solo nel momento in cui siano stati commessi in combinazione con altri crimini qualificati quali crimini di guerra”. Ad esempio, nel processo in corso a carico di Bosco Ntaganda, l’imputato sta rispondendo di dodici crimini di guerra e di ulteriori cinque crimini contro l’umanità, oltreché della distruzione di siti culturali e religiosi. Dunque, nel caso Ntaganda il parametro della gravità risulta esser sussistente in maggior misura rispetto a quanto accade nel caso Al Mahdi. Nonostante la distruzione di edifici culturali e religiosi possa costituire un attacco all’umanità, come i recenti attacchi perpetrati dall’Isis contro il patrimonio culturale siriano potrebbero dimostrare, ciò non conduce necessariamente alla conclusione che la CPI dovrebbe perseguire i responsabili. La soglia di gravità detta un limite che investe la giurisdizione della CPI: alla luce della scarsità di risorse di cui dispone, la CPI dovrebbe focalizzarsi sull’incriminazione dei maggiori responsabili di gravi crimini. Si potrebbe affermare, dunque, che i crimini imputati ad Al Mahdi non siano sufficientemente gravi.
B. Complementarità
È dubbio se l’incriminazione di Al Mahdi soddisfi il principio di complementarità. La CPI non dovrebbe interferire con la giurisdizione nazionale e dovrebbe perseguire i sospetti solo se uno Stato non è in grado o non intende perseguire. Sulla base di quanto disposto dall’articolo 17(1)(a) dello Statuto di Roma, il caso è improcedibile se sullo stesso sono in corso di svolgimento indagini o provvedimenti penali condotti da uno Stato che ha su di esso giurisdizione, a meno che tale Stato non intenda iniziare le indagini ovvero non abbia la capacità di svolgerle correttamente o di intentare un procedimento. In altre parole, se uno Stato è in grado ed intende incriminare un individuo, siffatto Stato deve vedersi riconosciuta questa possibilità e la CPI dovrebbe retrocedere. Al Mahdi era stato già incriminato con l’accusa di terrorismo in Niger, prima ancora che la CPI emettesse il proprio mandato d’arresto. Quando il Niger venne informato che la CPI intendeva incriminare Al Mahdi, le autorità nigeriane trasferirono Al Mahdi e rinunciarono alla giurisdizione sul caso. Il Niger non aveva mai dichiarato di non volere o di non essere in grado di perseguire Al Mahdi, e le autorità stesse della CPI non presero affatto in considerazione la questione della complementarità. Dunque, sembra che la decisione assunta dalla CPI di perseguire Al Mahdi sia contraria al principio di complementarità e, alla luce del fatto che il caso potrebbe non oltrepassare la soglia di gravità, ci si chiede se l’incriminazione di Al Mahdi sarebbe dovuta rimanere nelle mani delle autorità nigeriane.
Conclusioni
Ci si può esprimere a favore del caso Al Mahdi, nel momento in cui lo si consideri una vittoria, istitutiva di un precedente, nella vita istituzionale della CPI e nel diritto penale internazionale nel suo complesso. Al contempo, il caso può essere criticato laddove si evidenzi l’uso improprio che si è concretizzato rispetto alla giurisdizione della CPI, nonché delle sue risorse limitate, diretto a incriminare un imputato poco noto per crimini relativamente insignificanti. Il caso, ad ogni modo, rimane rilevante per un’altra ragione: dimostra come la CPI possa funzionare correttamente nel momento in cui i casi siano selezionati con cura e se gli Stati coinvolti collaborino attivamente all’arresto e al perseguimento dell’imputato. Potrebbe essere meglio per la CPI perseguire imputati meno noti se l’Ufficio del Procuratore stabilisse che una condanna può risultare dall’uso di risorse limitate, piuttosto che emettere mandati d’arresto contro imputati che difficilmente verrebbero incriminati all’Aia. Una giustizia parziale può essere migliore della totale assenza di giustizia.
Testo di riferimento: Milena Sterio, Individual Criminal Responsibility for the Destruction of Religious and Historic Buildings: The Al Mahdi Case, in 49 Case W. Res. J. Int’l L. 63(2017).
Dottoressa in Scienze dei servizi giuridici