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Il Cratere di Euphronios con la Morte di Sarpedonte

(Tempo di lettura: 4 minuti)

Nell’ambito delle attività condotte dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale per contrastare lo scavo clandestino e il traffico internazionale di reperti archeologici sono costantemente monitorati oggetti posti in vendita in mercati, esercizi commerciali e case d’asta sia in Italia che all’estero. 

Tali controlli hanno consentito di appurare nei primi anni ‘90 che numerosissimi reperti, di sicura provenienza italiana, erano stati messi in vendita senza alcuna indicazione sulla loro legittima provenienza.

Una prima rogatoria internazionale, richiesta dalla Procura della Repubblica di Roma ed eseguita a Londra, ha permesso ai Carabinieri di verificare che il fulcro del mercato archeologico, in quegli anni, fosse la Svizzera e, in particolare, che una semplice società commerciale anonima, allocata nel porto franco di Ginevra ma con sede fiscale a Panama, commercializzasse migliaia di reperti italiani in tutto il mondo. 

Pertanto, nel 1995, un controllo congiunto con la polizia svizzera nei magazzini del Porto Franco di Ginevra ha permesso di accertare che la predetta società deteneva in alcuni caveau blindati numerosi oggetti d’arte esposti come in un vero e proprio “atelier” di antichità. 

Vennero quindi sequestrati migliaia di reperti di varie tipologie ed epoche di sicura provenienza da aree archeologiche italiane, così come un’abbondante documentazione fotografica di numerosi reperti che in quel momento non risultavano inventariati. L’entità della documentazione mise in evidenza la vastità del commercio svolto da questa società che, durante la perquisizione, si scoprirà essere di proprietà di un cittadino italiano conosciuto agli operatori del settore come importante trafficante ma, fino ad allora, sfuggito alle varie indagini svolte nel settore specifico.

Le stesse fotografie ritraevano reperti “inediti”, ancora sporchi di terra, con evidenti incrostazioni tali da ricondurli a recentissime ricerche archeologiche clandestine. 

L’analisi della documentazione allargava gli orizzonti investigativi e portava le indagini in varie parti del mondo: Inghilterra, Germania, Francia, Spagna, Giappone, Australia, e in particolare negli Stati Uniti d’America. Una fitta rete di connivenze tra ricettatori, mercanti, antiquari, case d’asta, collezionisti senza scrupoli e responsabili di importanti musei si manifestava agli inquirenti come un fenomeno da arginare con fermezza per non rischiare di perdere altro patrimonio culturale.

A seguito delle investigazioni dei Carabinieri è scaturita una vicenda giudiziaria da parte della Procura di Roma che individuava precise responsabilità a carico di un’organizzazione a delinquere e in particolare dell’ex curatrice di un importante museo americano.

I responsabili delle istituzioni museali americane coinvolte, nell’ottica di un codice deontologico per le nuove acquisizioni, intraprendevano contatti con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e i Carabinieri, allo scopo di verificare la lecita provenienza dei beni nelle loro collezioni. In quest’ottica venivano studiate le modalità per una lecita acquisizione di reperti archeologici basata anche su un reciproco scambio di informazioni.

Il Fine Arts Museum di Boston fu il primo a concludere i negoziati, intrapresi con una commissione, appositamente creata ed incaricata di raccogliere gli elementi probatori che i Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale avevano già trasmesso all’Autorità Giudiziaria, decidendo volontariamente di trasferire in Italia, insieme a numerosi altri importanti beni archeologici, la statua in marmo di Vibia Sabina, moglie dell’imperatore Adriano. 

Per l’imponente statua, alta oltre due metri, è stata ipotizzata una provenienza dall’area archeologica di Villa Adriana di Tivoli, da dove sarebbe stata trafugata nei primi anni ’80, mentre per gli altri oggetti ormai decontestualizzati si può solo immaginare che arricchissero tombe principesche dell’Etruria o della Magna Grecia.

Successivamente il J. Paul Getty Museum di Malibù (California), il Museum of Art di Princeton ed il Metropolitan Museum di New York concludevano i rispettivi negoziati restituendo all’Italia, tra il 2007 ed il 2008, importantissimi reperti archeologici tra cui il famoso vaso di Eufronio, rinvenuto clandestinamente a Cerveteri.

Anche antiquari e collezionisti esteri, uniformandosi alle procedure adottate dai musei americani e alla “nuova” etica che, a seguito delle restituzioni, si è diffusa nel mondo, hanno restituito beni archeologici già figuranti nella documentazione sequestrata a Ginevra e altri oggetti trafugati da musei italiani. 

L’attività investigativa del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e l’attentenzione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali hanno certamente contribuito ad arginare il fenomeno degli scavi clandestini, sensibilizzando l’opinione pubblica a una più alta considerazione del proprio patrimonio, che costituisce la storia e l’anima di una Nazione. 



Tipologia: Cratere a calice
Classe/Produzione: Ceramica attica a figure rosse
Scena figurata: Lato A: Lato B:
Attribuzione: ceramista, Euxitheos; ceramografo, Euphronios.
Cronologia: 515 a.C. ca.
Dimensioni: Alt. cm 45,7; diam. orlo cm 55,1; ricomposto da più frammenti.
Provenienza: Cerveteri, Necropoli della Banditaccia
Luogo di conservazione: Museo Archeologico Cerite (Cerveteri), già al Metropolitan Museum of Art di New York.
Anno di restituzione: 2008
Bibliografia essenziale: M.G.BERNARDINI-M.LOLLI GHETTI (a cura di), Capolavori dell’Archeologia. Recuperi, Ritrovamenti, Confronti, Catalogo della mostra (Roma, 21 maggio-5 novembre 2013), Roma 2013; F.ISMAN, I predatori dell’arte perduta. Il saccheggio dell’archeologia in Italia, Milano 2009; R.RICCARDI, I detective dell’Arte. Dai Monuments men ai Carabinieri della cultura, Milano 2019.

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