Sentenza con pena detentiva sospesa per il presidente della Phoenix Ancient Art
È sopraggiunta martedì 10 gennaio la sentenza a 18 mesi di prigione, accompagnata da sospensione della pena e tre anni di libertà vigilata, nei confronti di Ali Aboutaam, uno dei principali attori del mercato di antichità a livello internazionale e proprietario della Phoenix Ancient Art.
Il tribunale di Ginevra ha così concluso la lunga indagine condotta dall’Amministrazione Federale delle Dogane svizzere e dall’ufficio del Pubblico Ministero di Ginevra, con accusa di cospirazione nella falsificazione di certificati di proprietà per numerose antichità e di pagamenti erogati a favore di un cacciatore di tesori, Adnan M., per importare illegalmente in Svizzera oggetti che Ali Aboutaam “sapeva, o doveva presumere, che fossero acquisiti illegalmente, in particolare a seguito di scavi illeciti in varie zone del Medio Oriente”.
L’indagine risale a Dicembre 2016. Stando alle trascrizioni della sentenza della Corte di Appello per il Secondo Circuito degli Stati Uniti numero 19-3547 (Beierwaltes v. l’Office Federale de la Culture de la Confederation Suisse, 999 F.3d 808) emessa l’8 Giugno 2021 e della sentenza della stessa Corte numero 18-CV-8248 (RA) (Aboutaam v. l’Office Generale de la Culture de la Confederation Suisse) emessa il 24 Settembre 2019, nel tardo pomeriggio del 20 Dicembre un ufficiale della dogana di Veyrier ferma per un controllo una Land Rover proveniente dal confine francese, intestata a Phoenix Ancient Art e guidata dall’autista dell’azienda.
Il passeggero è Roben Dib, noto partner commerciale di Simonian Serop, arrestato (e rilasciato dopo cinque mesi) ad Amburgo dalla polizia tedesca nel 2020 per sospetto traffico di antichità e nuovamente a Parigi nel 2022 dalle autorità francesi per il coinvolgimento nel commercio di antichità egizie trafficate illegalmente.
Durante l’ispezione di routine dell’automezzo, gli ufficiali della dogana rinvengono una lucerna antica, priva di documentazione, e alcune ricevute relative al noleggio di un magazzino a Ginevra. Attorno alle 2:00 del mattino seguente, conclusosi l’interrogatorio di Dib e dell’autista, le telecamere di sicurezza dello stesso magazzino mostrano la moglie di Ali – Biljana – occupata in “numerosi spostamenti di mercanzia”.
L’allora Amministrazione Federale delle Dogane Svizzere, sviluppato il “forte sospetto” che il magazzino potesse essere usato per ospitare antichità illecitamente importate, il 10 Febbraio 2017 emette una denuncia per “l’improvvisa e sospetta movimentazione […] di una serie di proprietà culturali”.
In base a questa e a un’altra denuncia di poco precedente emessa dall’Ufficio Federale della Cultura Svizzero, che identificava “sette oggetti dalla provenienza sospetta” in possesso della Inanna Art Services S.A., compagnia affiliata a Phoenix Ancient Art, l’ufficio del Pubblico Ministero della Repubblica e del Cantone di Ginevra emette un ordine di perquisizione e confisca nei confronti di Ali, Biljana, Inanna Art Services e altri il 24 Febbraio 2017.
Il P.M. autorizza in tal modo il sequestro di circa 12000 beni archeologici, valutati per circa un milione di euro, dei quali 1200 di Hicham Aboutaam, fratello di Ali, co-fondatore di Phoenix Ancient Art, proprietario della galleria Electrum di New York e lui stesso collezionista, e 12 dei Beierwaltes, la cui intera collezione era stata data in consegna per la vendita alla Phoenix nel 2005.
Alcuni giorni dopo, l’Amministrazione Federale delle Dogane emette un separato procedimento per indagare sulla potenziale violazione di leggi svizzere, fra le quali l’evasione delle tasse di importazione; 111 ulteriori oggetti vengono così sequestrati dall’abitazione di Ali, di cui almeno uno di proprietà dei Beierwaltes: tale procedimento risulta in una multa, nel 2021, di due milioni di franchi svizzeri per evasione fiscale.
Dopo anni di attenta indagine svolta dalle autorità svizzere e da consulenti archeologi sui pezzi sequestrati, vengono alla luce svariate anomalie nei certificati di origine, oltre a numerosi oggetti del tutto non dichiarati, portando in definitiva all’accusa di frode e falsificazione.
La sentenza, stando alla testata giornalistica Paris Match, accettata sotto confessione dall’imputato (fatto che gli impedisce la possibilità di appello), riporta:
Ali A., nel suo ruolo di amministratore della Phoenix Ancient Art SA, ha chiesto a esperti di arte, o ha chiesto a dipendenti della Phoenix Ancient Art SA di ottenere da esperti di arte: di produrre e/o firmare ricevute false; e/o di produrre o far produrre ad altri documenti indicanti luoghi di origine diversi dalla realtà, spesso indicati direttamente nelle ricevute; e/o di produrre indicazioni di origine false a favore di altri”, con il fine di: “fornire beni culturali […] con un pedigree finalizzato a eliminare sospetti di origine illecita e/o a facilitare il loro trasferimento doganale per essere venduti nel mercato di arte attraverso Phoenix Ancient Art SA, Tanis Antiquities LTB e Inanna Art Services SA, ovvero compagnie su cui Ali A. ha il controllo.
Fra i complici appare un belga, A.L., precedentemente consulente del pubblico ministero per quanto riguarda accuse di falsi certificati di provenance e collaboratore del conservatore del dipartimento di alte antichità del Museo d’Arte e di Storia di Ginevra: ancora una volta, si conferma la connivenza di alcuni esperti e accademici nel commercio illegale di antichità.
Ali viene anche accusato della violazione dell’articolo 16 della Legge federale svizzera sul trasferimento dei beni culturali, in quanto acquirente di beni privi di un’attestazione, da parte dei venditori, di legittima proprietà e per la mancata tenuta di un registro delle acquisizioni contenente provenance, nome e indirizzo del venditore, descrizione e prezzo di acquisto.
L’articolo 16, titolato “Obblighi di diligenza”, infatti impone che “nell’ambito del commercio d’arte e delle aste pubbliche i beni culturali possono essere trasferiti soltanto se chi intende trasferirli può presumere, sulla base delle circostanze, che essi:
a) non sono stati rubati, non sono andati persi contro la volontà del proprietario né sono stati rinvenuti con scavi illeciti;
b) non sono stati importati illecitamente.
Le persone operanti nel commercio d’arte e nelle aste pubbliche sono tenute a:
a) stabilire l’identità dei fornitori e dei venditori ed esigere dagli stessi una dichiarazione scritta concernente il loro diritto di disporre del bene culturale;
b) informare la clientela in merito alle norme d’importazione e d’esportazione vigenti negli Stati contraenti;
c) tenere un registro dei dati concernenti l’acquisto di beni culturali, menzionandovi in particolare l’origine dei beni culturali, se è nota, il nome e l’indirizzo del fornitore o venditore, la descrizione e il prezzo d’acquisto dei beni;
d) fornire al Servizio specializzato tutte le informazioni necessarie per l’adempimento degli obblighi di diligenza.
I registri e i documenti giustificativi sono conservati per 30 anni. L’articolo 962 capoverso 2 del Codice delle obbligazioni (RS 220) si applica per analogia”.
Sebbene non si tratti del primo coinvolgimento giudiziario di Phoenix Ancient Art o dei suoi proprietari, è la prima volta che uno di essi ammette chiaramente di aver violato i principi di diligenza e il diretto coinvolgimento in operazioni fraudolente: un passo avanti, questo, per la lotta contro il traffico internazionale di beni culturali.