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Il candore di Canova

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(Tempo di lettura: 4 minuti)

Le parole che escono da un cuore puro non cadono mai invano.

Gandhi

Si è appena concluso l’anno in cui si sono celebrati, con numerose iniziative culturali, i duecento anni dalla scomparsa del celebre scultore originario di Possagno. Il 2023, invece, è iniziato in una prospettiva poco esaltante, se così si può dire.

È di questi giorni la notizia di cronaca giudiziaria, rimbalzata su diversi quotidiani nazionali, riguardante una statua in bronzo che riprende le fattezze dell’originale, conservata alla GNAM di Roma, avente per soggetto Ercole e Lica. Al centro della vicenda vi sono, secondo un copione ricorrente, diverse persone che, a vario titolo, hanno avuto un ruolo nella commercializzazione del bene. A quanto pare la transazione non è stata molto trasparente avendo attirato l’attenzione dei Carabinieri dell’Arte, dell’Ufficio Esportazione della Soprintendenza torinese prima e della magistratura poi.

Canova, Ercole e Lica (Foto: wikipedia).

La scultura è stata sequestrata in quanto i documenti di esportazione sarebbero stati alterati per agevolarne l’uscita definitiva dal territorio nazionale e, allo stesso tempo, avvalorarne l’attribuzione al maestro, a fronte di un valore economico di 15 milioni di euro, salvo che, in una precedente occasione, ne sarebbe stato indicato uno di molto inferiore. Evidentemente la procura del capoluogo subalpino ha ritenuto robuste le prove a carico degli indagati, tanto da rinviarli tutti a giudizio. In dibattimento le cose però sono andate diversamente: gli imputati sono stati assolti e la statua, probabilmente, sarà restituita all’ultimo proprietario. Permangono però i dubbi sulla sua autenticità: la Fondazione dell’artista si è pronunciata in termini di “non attribuibilità”.

Non è chiaro se la documentazione sulla provenienza del bene indichi precisamente chi possa aver realizzato la statua che, sulla base probabilmente di alcuni esami diagnostici, sembrerebbe essere coeva al periodo in cui Canova era ancora attivo. Insomma un giallo poco candido!

Falsa o autentica? Il reato tentato di illecita esportazione? Il falso documentale? Nessuna prova è stata ritenuta dirimente a livello processuale, per cui è stato applicato il principio del favor rei: finisce dunque tutto così? Mi viene in mente, per alcune analogie, il caso del Papiro di Artemidoro, di cui abbiamo parlato su queste pagine.

Perché non è stata valutata l’ipotesi di disporre ulteriori e più approfonditi accertamenti sul bene? Peraltro questa previsione è contemplata dall’art. 507 cpp laddove il giudice, terminata l’acquisizione delle prove, può disporre ulteriori accertamenti da assumere agli atti del fascicolo dibattimentale. L’opzione si potrebbe percorrere anche su richiesta delle parti, del pubblico ministero in particolare. Non andiamo oltre, fughiamo le polemiche, del resto sono tra coloro che sostengono – convintamente – la regola secondo cui le sentenze vanno rispettate e che eventuali questioni di ordine giuridico debbano essere risolte in quella sede.

Sul discorso della falsità però ci sarebbe tanto da dire. A questo punto ognuno di noi potrebbe sbizzarrirsi? Non saprei, ma forse qualche informazione potrebbe essere utile, se non altro per stimolare la ricerca e, soprattutto, per evitare che il mercato possa essere in qualche modo inquinato da beni che non rispettano pienamente l’ortodossia creativa e le regole della due diligence.

Qualcuno, in un caotico turbinio di saperi, forse con qualche sprazzo autocelebrativo, ha azzardato che la statua possa essere stata realizzata dai Righetti, fonditori della Fabbrica di San Pietro, noti per aver prodotto copie in scala ridotta di statue di Canova, con la tecnica della fusione a “cera persa”, per facoltosi committenti dell’epoca. Altri esperti che si potrebbe trattare di un bozzetto, ovvero di un modello ma, il nostro, è abbastanza noto, per avvalersene in gesso e/o creta. Il soggetto mitologico in argomento, proprio a guisa di modello (non in bronzo, sic!), è ritratto, con lo stesso Canova, in un dipinto di Angelica Kauffmann (1815), esposto al Museo Bailo di Treviso.

Non vorremmo a questo punto incolpare mica la povera Angelica? Nelle torbide vicende possessorie spesso si coinvolgono o peggio si perseguono i defunti: peccato non siano molto loquaci, salvo attivare pratiche spiritiche utili a sollecitarli in tal senso.

La ragione ci deve giustamente sostenere. Non si può evitare di sottolineare che la Fondazione di riferimento si è espressa – repetita iuvant – per la “non attribuibilità”. Forse questa ultima definizione dà adito a problematiche di natura semantica, ma bisognerebbe andare oltre. Sarà bene approfondire questo aspetto, anche esulando dallo specifico evento, per considerare anzitutto alcuni aspetti legati alla corretta commercializzazione delle opere d’arte in mercato globale a volte poco trasparente.

Mi pongo e vi pongo una domanda: acquistereste questa statua? A quale prezzo?

Probabilmente il mercato, per certi versi, ha in sé i suoi anticorpi. Gli operatori di settore in questi casi si esprimono dicendo: “il pezzo è bruciato!”. È difficile venderlo e realizzare cospicui utili.

Ma poco allignano in questa analisi le pratiche mercantili. 

Il vero peccato è che questo bronzo non sia stato oggetto di uno studio più accurato. La scienza, non disgiunta da un pizzico di coscienza, ci chiarisce spesso le idee e spiana la strada verso la verità, che non ha prezzo.

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