UNESCO, ma se poi esco…
Quanto più capisci te stesso, tanto più capisci il mondo.
Paulo Coelho
L’8 novembre 1947 l’Italia ha inaugurato il percorso per entrare a far parte nell’UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization), ratificandone l’ammissione nel gennaio 1948. Dopo i necessari iter legislativi, fu istiuita, con apposito Decreto Interministeriale, dell’11 febbraio 1950, la Commissione Nazionale per l’Educazione, la Scienza e la Cultura.
Sono 195 i paesi membri dell’UNESCO. La sede centrale dell’organizzazione è a Parigi. Da quel centro si coordinano, per il successivo interscambio e sviluppo, le attività culturali, educative e scientifiche, fino agli Uffici Regionali che sono disseminati su scala planetaria.
I progetti patrocinati dall’UNESCO riguardano programmi scientifici di livello internazionale; programmi specifici e di formazione destinati alla didattica; progetti locali e di storia culturale; iniziative per la preservazione il patrimonio culturale e naturale del pianeta e la difesa dei diritti umani.
Tra le sue missioni, quella probabilmente più nota è la compilazione della lista dei siti patrimonio dell’umanità. Una serie di luoghi e monumenti di rilievo culturale e/o naturalistico, la cui salvaguardia è valutata importante per l’intera comunità mondiale.
Il nostro Paese vanta 58 siti iscritti alla lista. Dalle testimonianze dell’arte rupestre della Val Camonica, ascritte nel 1979 fino ai Portici della Città di Bologna (la Dotta e la Grassa) del 2021. Un primato assoluto, che vede l’Italia in cima alla lista per il numero di siti riconosciuti.
Detto ciò a cosa serve, in concreto, questo riconoscimento?
Confidiamo intanto non sia solo un orpello fine a sé stesso.
È indubbio che questa approvazione dia visibilità. Tuttavia c’è da domandarsi se tutti i cittadini comprendano fino in fondo la portata di tale riconoscimento, in relazione all’effettiva conoscenza delle attività che porta avanti l’organizzazione. La considerazione dell’UNESCO nel nostro paese, è percepita anzitutto in termini di prestigio e reputazione nell’ambito delle politiche culturali e di tutte le attività connesse, in primis, la promozione turistica. Alcune ricerche svolte in ambito accademico e governativo, hanno evidenziato come l’iscrizione di un sito nella lista dell’UNESCO non garantisca di per sé effetti economici positivi per la valorizzazione del territorio. In assenza di progetti e di investimenti, che coinvolgano gli stakeholder del contesto, vi è il rischio di disperdere il potenziale positivo.
Un altro aspetto cruciale riguarda la tutela del territorio. Un sito riconosciuto patrimonio dell’umanità implica che l’intera comunità internazionale se ne faccia carico. Anzitutto per preservarne lo stato di conservazione e di integrità. In caso di problematiche emergenti dovrebbe concorrere fattivamente con interventi mirati per salvaguardarlo. Dovrebbero essere messe a sistema una serie di buone pratiche idonee ad assicurare un certo grado di vigilanza per tutti i siti riconosciuti, in una cornice di sicurezza partecipata a tutela della cultura, dell’identità e delle tradizioni.
Questo processo continuo è di portata universale perché incrocia con la difesa dei diritti umani e con la connessa missione di contrastare gli effetti perversi di una globalizzazione indiscriminata che spesso mira a cancellare le diversità etniche, linguistiche e religiose.
Quali sono dunque i criteri che vengono valutati per ottenere questo riconoscimento, si presume con l’intento di mantenerlo e farlo fruttare. Li riportiamo di seguito, con l’invito di provare, al di fuori dei contesti tecnici destinati agli addetti ai lavori, di pensare a un sito culturale che conosciamo per verificare se ne riunisca potenzialmente le caratteristiche. È un esercizio utile, se non altro per approfondire la conoscenza delle realtà territoriali che ci circondano, un modo per sentirsi coinvolti in un esperienza di condivisione, di accrescimento culturale ed etico.
1. Rappresentare un capolavoro del genio creativo dell’uomo.
2. Mostrare un importante interscambio di valori umani in un lungo arco temporale o all’interno di un’area culturale del mondo, sugli sviluppi dell’architettura, nella tecnologia, nelle arti monumentali, nella pianificazione urbana e nel disegno del paesaggio.
3. Essere testimonianza unica o eccezionale di una tradizione culturale o di una civiltà vivente o scomparsa.
4. Costituire un esempio straordinario di una tipologia edilizia, di un insieme architettonico o tecnologico o di un paesaggio che illustri uno o più importanti fasi nella storia umana.
5. Essere un esempio eccezionale di un insediamento umano tradizionale, dell’utilizzo di risorse territoriali o marine, rappresentativo di una cultura (o più culture) o dell’interazione dell’uomo con l’ambiente, soprattutto quando lo stesso è divenuto per effetto delle trasformazioni irreversibili.
6. Essere direttamente o materialmente associati con avvenimenti o tradizioni viventi, idee o credenze, opere artistiche o letterarie dotate di un significato universale eccezionale.
7. Presentare fenomeni naturali eccezionali o aree di eccezionale bellezza naturale o importanza estetica.
8. Costituire una testimonianza straordinaria dei principali periodi dell’evoluzione della terra, comprese testimonianze di vita, di processi geologici in atto nello sviluppo delle caratteristiche fisiche della superficie terrestre o di caratteristiche geomorfiche o fisiografiche significative.
9. Costituire esempi significativi di importanti processi ecologici e biologici in atto nell’evoluzione e nello sviluppo di ecosistemi e di ambienti vegetali e animali terrestri, di acqua dolce, costieri e marini.
10. Presentare gli habitat naturali più importanti e significativi, adatti per la conservazione in situ della diversità biologica, compresi quelli in cui sopravvivono specie minacciate di eccezionale valore universale dal punto di vista della scienza o della conservazione.
Oltre a questo, con riferimento alla Conferenza Generale del 17 ottobre 2003, di cui ricorre il ventennale, non possiamo trascurare la salvaguardia del patrimonio orale e immateriale. L’UNESCO si è prefissata di proteggere queste preziose testimonianze per evitarne la scomparsa e preservare la ricchezza di linguaggi, rituali, consuetudini sociali, cognizioni e prassi in relazione ai saperi connessi alle abilità artigianali che, nel corso di millenni, sono passati di generazione in generazione, declinando le diversità nel contesto evolutivo dell’intera umanità.
Dall’Opera dei Pupi, alla dieta Mediterranea; dalla Falconeria alla Perdonanza Celestiniana. In totale sedici attestazioni, alcune delle quali racchiudono ed unificano, da secoli, le comunità culturali, incentivando il senso di identità condivisa, che va anche oltre i confini geopolitici. La cultura è intesa come fattore di promozione e di sviluppo, per una pacifica coesione sociale.
È bene però ritornare agli aspetti critici dell’intera questione. Il parere dell’UNESCO, seppur autorevole, è bene sottolinearlo, non è vincolante. Da ciò ne discende che se la nazione interessata non ne condividesse gli obiettivi, adottando le cautele in aderenza alle regole istitutive, l’UNESCO potrebbe cancellare il sito dalla lista.
Questo è in pratica l’unico strumento che ha l’organizzazione per mantenere l’iscrizione dei siti. In relazione a questo particolare aspetto, non sono mancate le polemiche riguardanti l’attribuzione del riconoscimento e la sopravvenuta insorgenza o la degenerazione di fenomeni negativi. Si pensi al “turismo aggressivo” che caratterizza alcuni centri storici nazionali: Venezia è un caso emblematico. Altre difformità potrebbero essere imputabili ad esempio ad una scellerata ristrutturazione urbana non rispettosa del contesto ambientale/culturale e dei criteri di sostenibilità, ovvero l’insufficiente o peggio mancata adozione di misure atte a prevenire le conseguenze del cambiamento climatico e/o di altri fattori legati a fenomeni sfavorevoli.
Non si può evitare di considerare i costi ovvero a quanto ammontano i contributi che il nostro Paese versa a favore dell’organizzazione e, soprattutto, a fronte di questi, cosa effettivamente rientra per la valorizzazione dei siti in relazione anche alla stessa componente economica.
Dal 2006 al 2019, sono stati finanziati progetti per quasi trenta milioni di euro per l’attuazione della Convenzione del 1972. Queste risorse sono finalizzate a incentivare la redazione e l’aggiornamento dei piani di gestione dei siti e potenziare la capacità di sviluppo di tutti i soggetti operanti nel contesto. Inoltre, prevedono l’adozione di nuovi modelli di governance e partnership, e soprattutto di promuovere una progressiva progettazione strategica unita alla capacità di spendere le risorse a beneficio dei siti.
Il nostro Paese risulta tra i principali contribuenti verso l’UNESCO, versa infatti circa 6 milioni di euro all’anno.
L’attenzione della politica nazionale, come già accennato, è concentrata prevalentemente alla vocazione turistica del nostro paese. Nel marzo 2022, il Ministero del Turismo, ha creato un fondo di 75 milioni di euro a favore dei comuni presenti nei siti UNESCO, con l’obiettivo precipuo di rilanciare il settore dopo l’emergenza pandemica. Il termine ultimo per la presentazione dei progetti è il 30 novembre 2024.
A questo punto pare evidente che ci attende una sfida per migliorare se non attivare finalmente un processo sinergico di miglioramento delle componenti economiche, direzionali e istituzionali. Se da un lato è essenziale incentivare il turismo, sarà al pari necessario porre attenzione anche all’ambito culturale, per rafforzare le potenzialità mediante l’utilizzo delle varie risorse già esistenti, ma non impiegate al meglio per favorire un effettivo sviluppo sostenibile.
Siamo pronti ad affrontare questo cimento? Al di là delle questioni economico/finanziarie mi domando se a monte vi sia la giusta consapevolezza coniugata alla qualificata competenza, che si perfezionano necessariamente attraverso percorsi di apprendimento e formazione, in un’ottica culturale e multidisciplinare di ampio respiro, utile a migliorare e sviluppare le capacità individuali da destinare ai contesti organizzativi coinvolti.
In sintesi, dopo questa riflessione, è necessario focalizzarsi sull’importanza pratica del riconoscimento dell’UNESCO. In ambito nazionale rappresenta di fatto quasi una sorta di classifica basata sul distinguo tra beni culturali e naturali “blasonati” e non. Allo stesso tempo, il suo ottenimento fa gravare sullo stato interessato l’onere di mantenere la reputazione e di renderne conto in un consesso internazionale in conformità ai protocolli d’intesa sottoscritti.
Forse dovremmo semplicemente considerare questo merito un’opportunità. Una sorta di parere disinteressato (?), ma anche uno sprone, nella speranza che, parafrasando Esopo, non sia come il consiglio dato allo stupido, che equivale a gettare le perle nel letamaio o peggio sacrificare inutilmente la gallina feconda di uova d’oro.
Opinionista