Nelle Sale di Palazzo Massimo alle Terme – una delle sedi del Museo Nazionale Romano – i visitatori rimangono quotidianamente ammaliati dai moltissimi capolavori dell’arte antica che vi sono esposti. C’è però una scultura, che oltre ad aver esercitato sin dalla sua scoperta un grande fascino, ha alle spalle una storia lunga e travagliata. Si tratta di un giovane atleta che si prepara a dare tutto sé stesso in una gara olimpica: il corpo nudo, muscoloso e perfetto, è tesissimo mentre compie una torsione verso destra per darsi lo slancio; la mano sinistra è quasi poggiata sul ginocchio opposto mentre la destra, allungata verso l’alto con tutto il braccio, regge con forza il pesante disco da lanciare. Il volto è sereno, sembra quasi celare lo sforzo che sta compiendo, ma lo sguardo lascia trapelare la massima concentrazione fisica e mentale.
L’atleta rimane così, immobile, nella stessa posizione da secoli, catturato nel marmo nel momento più intenso ed emozionante della gara. Eppure non è fermo, anzi, nel suo corpo tutto suggerisce un’azione in movimento: quel movimento che nel V secolo a.C. gli è stato dato dal suo creatore, lo scultore greco Mirone. Tra il 455 e il 450 a.C. l’artista nato ad Eleutherai in Beozia, realizzò in bronzo il Discobolo – scultura che rappresenta, appunto, un atleta in procinto di effettuare il lancio del disco – tanto ammirata già nell’antichità, da essere immortalata nelle parole dello scrittore Luciano di Samosata nel suo “Filopseudes, o l’incredulo”. E proprio grazie alla sua descrizione fu possibile identificare le copie in marmo di epoca romana, che si trovano oggi intere o in frammenti, in diversi musei. Tra le più note vi è la versione Townley, conservata al British Museum, ma quella che sembra essere più fedele all’originale (soprattutto per quanto riguarda la posizione della testa) è la cosiddetta Lancellotti, realizzata in marmo in età Antonina e rinvenuta sull’Esquilino nel 1781. Essa fu acquistata dalla nobile famiglia Massimo e portata al Palazzo Massimo alle Colonne; in seguito, per via ereditaria, divenne di proprietà dei Principi Lancellotti, di cui porta il nome. Questa celebre copia di un capolavoro dell’arte greca è quella che si può ammirare oggi a Palazzo Massimo Lancellotti.
In questi giorni, però, chi visita il museo per vedere la scultura potrebbe rimanere deluso dalla sua assenza: il Discobolo Lancellotti, infatti, si trova temporaneamente in un’altra sede e costituisce un pezzo importante della mostra Arte Liberata 1937-1947 in corso fino al 10 aprile 2023 alle Scuderie del Quirinale.
Ma l’atleta ha compiuto in passato un viaggio ben più lungo di quello dall’Esquilino al Quirinale; difatti non è solo una delle oltre cento opere che narrano la storia del salvataggio dei Beni Culturali durante la Seconda Guerra Mondiale, ma è proprio quella che apre idealmente e fisicamente l’esposizione, poiché il suo trasporto in Germania, ha dato inizio ad un periodo lungo e difficile per il nostro intero patrimonio culturale.
Nel 1936, in occasione delle Olimpiadi di Berlino, la regista Leni Rifenstahl realizzò un documentario di propaganda, Olympia che fu proiettato per la prima volta il 20 aprile del 1938, per il compleanno del Führer. Una parte del film era ambientata nell’Acropoli di Atene dove splendide sculture classiche, che incarnavano l’ideale di perfezione fisica “ariana”, si trasformavano in atleti olimpici: tra queste compariva anche il Discobolo. Un’opera così eccezionale e ben conservata non poteva non fare gola al Cancelliere del Reich che, approfittando degli stretti rapporti di collaborazione tra l’Italia e la Germania, chiese di poterla acquistare dal Principe Lancellotti. Già nel 1937 era stata creata una commissione di esperti che si doveva occupare dell’acquisto delle opere e stilare un elenco dei desiderata, capeggiata dal principe Filippo d’Assia, aristocratico di nascita e marito di Mafalda di Savoia (figlia del Re Vittorio Emanuele III).
La legge N. 364 del 1909 con le Norme per l’inalienabilità delle antichità e delle belle arti aveva vincolato questa scultura, come tutti i beni di interesse storico, artistico o archeologico su suolo italiano e li aveva resi non esportabili. La legge però, doveva adesso scontrarsi con gli interessi del governo fascista: sembra che per rendere più “morbide” le decisioni in merito, fosse stata fatta dal Principe una promessa alquanto allettante al Ministro Bottai: in cambio delle cessioni italiane, una volta conquistata la Francia, sarebbero state riportate in Italia le opere del Louvre saccheggiate in Epoca napoleonica. Nel caso del Discobolo, poi, ci sarebbe stato anche un accordo in più: in cambio del capolavoro, i tecnici tedeschi della Zeiss avrebbero lavorato a dei nuovissimi telescopi per l’osservatorio astronomico di Monte Porzio Catone, ai Castelli Romani. Di fronte a queste richieste e con l’interesse di mantenere ottimale il rapporto con la Germania, nonostante la ferma opposizione del Ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, fu dato un ordine perentorio da parte di Mussolini e di Galeazzo Ciano, Ministro degli Esteri: così il 18 maggio del 1938 la statua fu acquistata dal governo tedesco e successivamente trasportata alla Glyptothek di Monaco di Baviera.
Questa prima concessione diede inizio a tutta una serie di esportazioni di opere verso la Germania fatte in maniera apparentemente legale, con il consenso del governo, ma con acquisti a prezzi spesso irrisori o comunque più bassi dell’effettivo valore dei beni (le tasse di esportazione venivano talvolta addirittura pagate dallo stesso governo italiano).
Con l’Armistizio dell’8 settembre cambiò tutto: l’Italia e la Germania non erano più alleate e i Tedeschi occuparono il territorio italiano, confiscando o rubando numerosi capolavori, che finirono direttamente nelle collezioni di Hitler – per il suo grande progetto del Führermuseum a Linz – e dell’avido collezionista d’arte Hermann Göring, braccio destro del Führer.
È solo grazie all’infaticabile lavoro di molti funzionari e direttori di musei italiani e dei celebri Monuments Men che veniva spesso bloccato il trasporto o impedito il furto dei più grandi capolavori italiani: dipinti, statue e reperti archeologici, nonché libri e vari altri oggetti di pregio.
Il termine del conflitto, nel 1945, sanciva la cessazione delle ostilità ma apriva al contempo anche il capitolo più importante: quello delle restituzioni. Se da una parte sembrava scontato e relativamente semplice restituire i beni trafugati dai Nazisti durante la guerra ai legittimi proprietari e quindi riportare i capolavori nei musei di provenienza, dall’altro era meno chiara la situazione di quelli che risultavano legalmente venduti con il beneplacito del governo, come il Discobolo Lancellotti. Il trattato di pace firmato a Parigi nel 1947 prevedeva, nell’articolo 77, la restituzione di tutto ciò che era stato “prelevato con la violenza o la costrizione” dal territorio italiano a partire dal 3 settembre del 1943 (data effettiva della firma dell’Armistizio): questo escludeva quindi dal vincolo della riconsegna tutte le vendite fatte in precedenza. Fu di nuovo il lungo lavoro dei funzionari italiani e fra questi soprattutto di Rodolfo Siviero a consentire la modifica di questo articolo e includere anche i beni venduti durante il governo di Mussolini. In questo modo il 16 novembre del 1948 la prima scultura che aveva preso la via della Germania, venne imballata e riportata in Italia quasi per intero: venne infatti lasciata a Monaco la base tardo-settecentesca, che si trova ancora oggi nel cortile della Glyptothek.
Nonostante il trionfale ritorno, la vita del Discobolo Lancellotti era ancora costellata di ostacoli: il fatto che fosse stato strumentalizzato così tanto dalla propaganda nazista aveva creato quasi un legame indissolubile con quell’epoca e con quegli ideali, tanto che è solo alle Olimpiadi del 1972 a Monaco che lo vediamo tornare ad essere un’icona dello sport e dei giochi Olimpici.
Come dichiarato di recente durante una conferenza alle Scuderie del Quirinale dal Direttore del Museo Nazionale Romano Stéphane Verger: “la vita del Discobolo è infinita”. Il destino ha in serbo ancora molte sorprese per l’atleta di Mirone: il prossimo passo dovrebbe essere infatti il suo spostamento nella sede di Palazzo Altemps, per ricongiungerla al resto della collezione Lancellotti, lì esposta. Chissà quante altre vicende potrà ancora raccontarci in futuro questo campione immortalato nel marmo nel suo eterno movimento.
Mi sono laureata a Roma in archeologia e storia dell’arte greca e romana e ho conseguito la specializzazione nello stesso ambito a Lecce. Dopo diversi anni di esperienza sui cantieri urbani ho frequentato un master incentrato sui temi della tutela e dei reati contro il patrimonio culturale, discutendo una tesi sulla ricerca della provenienza e la restituzione dei beni trafugati durante la Seconda Guerra Mondiale. Dal 2015 sono guida turistica autorizzata di Roma: tra le visite che propongo più spesso, oltre la Roma antica, ci sono quelle su Occupazione tedesca e Resistenza, e sulla Street Art. Oggi divido la mia vita tra i tour con i turisti, lo studio e la ricerca.