La Chiesa è una casa dai cento portoni; e non ci sono due persone che entrano esattamente dallo stesso angolo
G.K. Chesterton
Recentemente ho sfogliato un volume sull’opera di Alessandro Magnasco (1667-1749) detto il Lissandrino, noto pittore settecentesco, celebre per la maniera dissacrante e irriverente con cui dipingeva il ceto nobiliare della sua epoca, i birri, i personaggi di strada e i religiosi. Questi ultimi, in particolare, li ha immortalati tanto in estasi mistica quanto in scene dove indugiano in atteggiamenti non proprio consoni al loro status, ma andiamo oltre. Tra le tante opere, una ha destato il mio interesse. Si tratta del dipinto intitolato “Furto Sacrilego” custodito presso il Museo Diocesano di Milano. La tela evoca un episodio accaduto durante la notte dell’Epifania del 1731, quando vi fu un tentativo di furto presso la chiesa di S. Maria di Campomorto in Siziano. Nell’opera i ladri, immersi in un’atmosfera tenebrosa, sono rappresentati mentre fuggono in preda al terrore dopo aver cercato di entrare nella chiesa. Sono circondati da schiere di scheletri fuoriuscenti dal sottosuolo: sono i resti dei morti che si avventano su di loro per dissuaderli dall’azione e cacciarli. L’oscurità è squarciata da un lampo di luce sulla destra, dove appare la Madonna che sembra vigilare dall’alto sull’intera scena.
Questa premessa storico-artistica è in realtà utile per considerare nell’attualità un fenomeno odioso, da sempre esistito, che ha tuttora un forte impatto sulla percezione di sicurezza e che desta allarme sociale.
I luoghi di culto conservano numerosi oggetti per la celebrazione dei riti, libri sacri, mobili vari e opere d’arte, costituiti da sculture e dipinti ispirati dalla devozione. Questa pletora di beni è oggetto di furti molto spesso non organizzati, estemporanei, dovuti principalmente al fatto di essere esposti alla pubblica fede e in assenza di una cornice di protezione che ne garantisca la sicurezza da potenziali aggressioni. Molti, a distanza di tempo, i recuperi. Lo dimostrano le varie note stampa pubblicate anche su queste pagine, che evidenziano l’impegno delle forze di polizia, in particolare delle componenti investigative specializzate.
Ѐ importante però considerare altri aspetti, soprattutto la prevenzione che, è bene ribadirlo, non riguarda solo le agenzie di controllo, ma tutti i cittadini, affinché sia attuata una sicurezza consapevole e partecipata.
La prima considerazione è che questi beni, contrariamente al passato, sembrano – tranne rare eccezioni – non incontrare più l’interesse di un certo mercato. Ne discende che forse non è più conveniente commettere illeciti di questo tenore, per incorrere in pene molto pesanti a fronte della prospettiva di conseguire profitti irrisori derivanti dalla commercializzazione illegale.
Un’altra questione riguarda le strutture, la loro fruibilità. Spesso si tratta di chiese abbandonate o poco frequentate, dove non sono installati impianti di allarme o di video sorveglianza.
Collegato a ciò, assume notevole importanza la schedatura dei beni culturali ecclesiastici. Secondo il nostro Codice dei beni culturali tali beni godono della massima tutela. La Conferenza Episcopale Italiana e l’allora MiBAC hanno siglato da tempo un accordo per focalizzare l’attenzione sul fenomeno dei furti e dei danneggiamenti dei luoghi di culto. Per diffondere consigli utili in questo ambito, nel 2014 è stata realizzata dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, in collaborazione con l’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto, la pubblicazione Linee guida sulla tutela dei beni culturali ecclesiastici.
L’inventariazione dei beni è perciò fondamentale, con particolare attenzione alla componente fotografica. Le principali banche dati delle FF.PP., su tutte quelle dei Carabinieri del TPC e di INTERPOL, funzionano soprattutto attraverso le foto, anche nelle loro estensioni aperte al pubblico, favorendo la possibilità di effettuare comparazioni tra le immagini rilevabili dal cittadino e quelle conservate negli archivi delle opere da ricercare.
Le restituzioni avvengono anche grazie a queste buone pratiche, frutto di una maturata sensibilità verso la tutela della cultura che passa attraverso la tecnologia intelligente, pensata per fornire un servizio al cittadino.
Forse è un caso che il bene culturale “ricercato numero uno” sia proprio di provenienza ecclesiastica: la pala della Natività di Caravaggio, sottratta a Palermo nel 1969, all’epoca custodita all’interno di un edificio religioso del XVI secolo.
La restituzione di un bene alla collettività, ai fedeli, rappresenta certamente un momento dall’alto valore etico e simbolico. Ripara l’oltraggio che è stato mosso all’identità e alla storia, e questo aspetto prescinde dal valore economico: vi sono dei beni, ad esempio, che non hanno alcun valore di mercato, ma hanno una valenza devozionale identitaria straordinaria. Ricordo il caso del furto, avvenuto il 2 giugno 2017, della reliquia di San Giovanni Bosco. La notizia fece il giro del mondo, destando la preoccupazione di milioni di fedeli e delle gerarchie ecclesiastiche, Pontefice in testa. Fortunatamente i Carabinieri, coordinati dalla Procura di Asti, riuscirono a recuperarla e ad arrestare l’autore del fatto, un balordo con un passato tra dipendenze e problemi con la giustizia, che aveva commesso il reato nell’erronea considerazione che il reliquiario fosse di oro massiccio. Significative le parole dell’allora Rettor Maggiore dei Salesiani, pronunciate durante la cerimonia solenne della restituzione celebrata il 16 agosto successivo: la reliquia è di nuovo oggi nel luogo dove egli è nato, la cascina Biglione (dove sorge la Basilica di Castelnuovo Don Bosco).
Il piccolo comune, incastonato tra le colline astigiane, è stato al centro del mondo, nel male e infine nel bene. Questa vicenda, conclusasi positivamente, è utile per far comprendere l’importanza e la valenza straordinaria di un bene culturale strettamente legato a una comunità, intessuta di vite e di storie, in particolare quelle di un suo illustre esponente. Castelnuovo Don Bosco è conosciuta ed è connessa con il resto mondo: forza della fede, ma soprattutto forza della cultura.
In riferimento alla Convenzione UNESCO del 2005, Protezione e Promozione della Diversità delle Espressioni Culturali, si può comprendere meglio, in un’ottica di vasto respiro, quanto sia fondamentale il confronto a livello internazionale, per porre in essere le azioni da intraprendere, per conoscere e valutare i vari ambiti culturali, per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio di interesse religioso. Le conoscenze e le buone pratiche sono utili per avviare programmi e progetti di gestione e valorizzazione nel pieno rispetto delle finalità culturali in una prospettiva più ampia. Per raggiungere questo scopo, tuttavia, è fondamentale, soprattutto nel contesto occidentale, il dialogo tra le organizzazioni laiche e religiose. Un percorso che non può prescindere dall’analisi dello sviluppo di prospettive innovative, senza trascurare i valori fondanti delle rispettive eredità culturali nelle loro componenti materiali e intangibili. È un cammino di conoscenza che deve passare inevitabilmente attraverso la corretta formazione del personale laico e di quello ecclesiastico, nel ruolo di custodi attivi di questo patrimonio religioso che abbiamo il dovere di preservare per le future generazioni.
Un noto filosofo, per descrivere il declino dei valori, riferendosi in particolare a quelli dell’occidente, ha sostenuto la morte di dio. Raccogliamo questa affascinante provocazione intellettuale, tenendo conto della persistente esistenza dei profanatori: è forse giunto il momento di rieducarli e di comprendere a fondo l’essenza di ciò che rappresenta veramente il nostro passato.
Opinionista