Con la conclusione anticipata della XVIII Legislatura molti dossier sono rimasti sui tavoli ad aspettare il nuovo Governo e diverse inchieste, ferme o andate poco più in là della fase embrionale, rischiano di trovare memoria solo in poche pagine. Una di queste è quella che la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, presieduta da Nicola Morra, iniziò nel 2022: a cento anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini, uno dei più significativi intellettuali del Novecento, la Commissione ha ritenuto di dover porre l’attenzione su quanto già emerso da alcune recenti inchieste giornalistiche, considerato che «Le carenze investigative e le errate conclusioni cui si giunse nelle settimane e nei mesi successivi al delitto furono dovute all’incultura investigativa del tempo». Gli inquirenti infatti non sentirono «i testimoni che abitavano nelle baracche della zona», il luogo del delitto non fu interdetto al pubblico né vennero disposte «perizie sulle gravi ferite riportate da Pasolini e sui mezzi con i quali queste erano state inferte»: a quasi cinquant’anni l’omicidio di Pasolini resta insoluto e, benché siano «del tutto improbabili soluzioni di carattere giudiziario», rimane inalterata l’utilità morale e storica di far piena luce sul movente, sulle modalità dell’aggressione e sulle eventuali connessioni con la criminalità organizzata romana dell’epoca.
Dalla Relazione finale sull’attività svolta dalla Commissione, resa da poco disponibile, e più nello specifico dalle Acquisizioni relative al furto della pellicola originale «Salò o le 120 giornate di Sodoma» e le possibili connessioni di quel crimine con l’uccisione di Pier Paolo Pasolini avvenuta all’Idroscalo di Ostia, nella notte dal il 1° e il 2 novembre 1975, documento XXIII n. 37, sezione XXII, si apprendono i contorni dell’audizione del 7 luglio 2022 a Simona Zecchi, giornalista e autrice di Pasolini, massacro di un poeta. Tutta la verità: la firma dei neofascisti, gli esecutori, gli emissari. I documenti e le foto inedite del corpo (Ponte delle Grazie, 2015) e de L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini. Stragi, Vaticano, DC: quel che il poeta sapeva e perché fu ucciso (Ponte delle Grazie, 2020). Zecchi riferì di un colloquio intercorso con Nicola Longo, un ex agente della Polizia di Stato che prestò servizio presso i servizi segreti e fu impiegato anche sotto copertura nel contrasto al crimine organizzato, che per la prima volta dettagliò il suo attivo coinvolgimento nel recupero delle «pizze», le pellicole originali di alcuni film trafugate da un capannone di Cinecittà il 15 agosto 1975. Casanova di Federico Fellini, un’opera di Damiano Damiani e Salò o le 100 giornate di Sodoma finirono nella mani della malavita romana che, in una fase iniziale, ne chiese il riscatto. A quel lungometraggio Pasolini era particolarmente legato e la copia rubata conteneva alcune delle scene finali del film che rischiavano di andare irrimediabilmente perdute, poiché altrove ne rimanevano solo scarti: il regista si recò «all’Idroscalo di Ostia, nella notte della mortale aggressione, con la finalità di recuperare la pellicola sottrattagli o quantomeno di intraprendere una sorta di trattativa per vedersela restituire»? Questa è l’ipotesi. Quel che è certo è che il furto fu «organizzato in modo professionale in quanto per la pesantezza degli involucri, poi lasciati vuoti nel deposito per ritardare la scoperta della sottrazione, e delle stesse 70 pellicole, nonché per la particolare protezione alle quali le stesse erano soggette, era stata necessaria una organizzazione non minima che potesse contare su basisti e complici».
Salò o le 100 giornate di Sodoma uscì ugualmente nelle sale cinematografiche nel dicembre 1975 mentre il rinvenimento del materiale avvenne solo alcuni mesi dopo il brutale assassinio: attraverso un pezzo grosso della criminalità locale, un soggetto contiguo al contesto della banda della Magliana che si andava coagulando, la malavita romana fece ritrovare le «pizze» sotto un tombino e Longo si adoperò affinché «fossero portate in un capannone di Cinecittà, collocate in un armadio blindato e così definitivamente recuperate».
La pista che vedrebbe un coinvolgimento diretto di Pasolini, nel tentativo di rientrare in possesso del suo girato originale, dunque, «escluderebbe la lettura della dinamica omicidiaria in chiave di violento delitto a sfondo sessuale, ma aprirebbe la prospettiva di un’azione (se del caso anche premeditata) di gruppi malavitosi di rilievo, forse anche coinvolti congiuntamente, come sembra opinare la stessa Simona Zecchi, a elementi neofascisti che avevano in odio lo scrittore e la sua figura pubblica».
A pochi giorni da Pier Paolo Pasolini – Una visione nuova, il film diretto da Giancarlo Scarchilli andato nelle sale cinematografiche il 5, 6 e 7 marzo, le indagini sull’omicidio dello scrittore potrebbero essere riaperte: è infatti stata depositata nella mattina di venerdì 3 marzo un’istanza redatta dall’avvocato Stefano Maccioni, per conto del regista David Grieco e dello sceneggiatore Giovanni Giovannetti, che chiede di accertare l’identità di tre DNA rilevati dai Carabinieri del RIS nel 2010 sulla scena del delitto.
Che sia la volta buona?
Dopo la laurea a Trento in Scienze dei Beni Culturali, in ambito storico-artistico, ho “deragliato” conseguendo a Milano un Perfezionamento in Scenari internazionali della criminalità organizzata, un Master in Analisi, Prevenzione e Contrasto della criminalità organizzata e della corruzione a Pisa e un Perfezionamento in Arte e diritto di nuovo a Milano. Ho frequentato un Master in scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Colleziono e recensisco libri, organizzo scampagnate e viaggi a caccia di bellezza e incuria.