Perché il processo contro Ravensburger per l’utilizzo dell’immagine dell’Uomo Vitruviano è un grave errore
di Anna Pelagotti
Ravensburger ha in catalogo un puzzle che riproduce il celeberrimo disegno di Leonardo da Vinci, e per questo è stata oggetto di un’ordinanza del Tribunale di Venezia che la condanna a pagare i diritti per la riproduzione di questa immagine.
Il processo è stato promosso dal Ministero della Cultura e dalle Galleria dell’Accademia di Venezia ed è la prima volta che si ricorre al tribunale per applicare l’italiano Codice dei beni culturali anche ad attività svoltesi all’estero.
Il Codice del Beni Culturali prevede infatti che la riproduzione dei Beni Culturali (a fini commerciali) di appartenenza pubblica deve essere autorizzata dall’ente che ha in consegna il bene, dietro pagamento di un canone.
Questo evidentemente cozza con i principi e gli scopi che sono alla base dell’esistenza stessa delle istituzioni culturali che sono in modo da permettere agli istituti culturali pubblici di perseguire pienamente le proprie finalità istituzionali di promozione, conservazione e divulgazione del patrimonio culturale, nello spirito dell’articolo 9 della nostra Costituzione che affida alla Repubblica il compito di promuovere lo sviluppo della conoscenza e della ricerca.
E in questo senso la Commissione Europea ha infatti emanato una prima Raccomandazione nel 2006 (24 agosto) e una seconda nel 2011 (27 ottobre) incoraggiando gli Stati Membri a rivedere il loro sistema normativo in modo tale da favorire i progetti di digitalizzazione e messa in rete del patrimonio culturale.
Ed è del 2019 la direttiva 790 della EU, (che dava agli stati Stati Membri fino al 7 Giugno 2021 per recepirla), sul diritto d’autore nel mercato unico digitale, dove si richiede la rimozione dei diritti connessi sulle immagini riproducenti opere delle arti visive di pubblico dominio qualora «l’atto risultante dalla riproduzione non sia di per sé opera originale», come ad esempio la riproduzione fedele che ha fatto Ravensburger per il suo puzzle.
La Commissione Europea naturalmente non agisce con imposizioni immotivate. In Italia ad esempio ha raccolto l’appello di numerose ed importanti associazioni rappresentative del settore culturale, come AIB – Associazione Italiana Biblioteche; AISA – Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta; ANA – Associazione Nazionale Archeologi; ANAI – Associazione Nazionale Archivistica Italiana; ArcheoFOSS; CIA – Confederazione Italiana Archeologi; Federculture – Federazione delle Aziende e degli Enti di gestione di cultura, turismo, sport e tempo libero; ICOM Italia – International Council of Museums Italia; Wikimedia Italia; #noisiamorete; APRIL -Promouvoir et défendre le logiciel libre; Communia; Free Knowledge Advocacy Group EU (Wikimedia); Hermes Center for Transparency and Digital Human Rights; ICA – International Council on Archives.
La richiesta dei professionisti delle istituzioni ha lo scopo di promuovere l’attività di tante imprese culturali e creative, spesso giovanili e ancora più spesso non dotate di grandi mezzi economici, che potrebbero trarre vantaggi da una piena liberalizzazione.
Del resto come scriveva Giuliano Volpe su Huffington Post : “si teme la mercificazione ma non si considera che è lo Stato farsi mercante, lucrando sullo ‘sfruttamento’ dei beni culturali (con ritorni economici peraltro assai modesti, a fronte dell’aggravio di lavoro e dei costi di personale per la gestione di procedure assai bizantine), mentre dovrebbe semmai favorire lo sviluppo economico di un territorio attraverso la valorizzazione del patrimonio culturale“.
Inoltre porre ostacoli all’utilizzo all’estero delle immagini del nostro patrimonio culturale avrà il fine di marginalizzare il nostro paese. Invece dell’immagine dell’Uomo Vitruviano, ad esempio, si utilizzerà l’immagine della “Donna con l’orecchino di perla” di Vermeer, artista sicuramente inferiore a Leonardo, su cui però l’Olanda è riuscita a creare un’aspettativa tale da ottenere per la prima volta nella storia il sold out di una mostra prima ancora della sua apertura, mentre, ricordiamo, noi non siamo riusciti neanche a fare una mostra seria su Leonardo nell’anno del cinquecentenario.
Le nostre opere spariranno dall’immaginario collettivo e questo comporterà una diminuzione del nostro “appeal”, meno sollecitazioni a visitarli e quindi meno turisti, che sono il vero motore economico del settore culturale.
I principi di della Convenzione di Faro, ratificata dal Parlamento, che hanno riconosciuto il diritto, individuale e collettivo «a trarre beneficio dal patrimonio culturale e a contribuire al suo arricchimento» (art. 4) e favorisce i processi di sviluppo economico, oltre che politico, sociale e culturale (art. 8) hanno infatti ispirato un numero crescente di istituti culturali in tutto il mondo, come la Library of Congress o la New York Public Library, il Getty Research Institute, il Rijksmuseum, la Biblioteca Nazionale di Spagna, il Museo Nazionale di Stoccolma e la Galleria Nazionale di Danimarca che ha adottato lo slogan: It’s your cultural heritage. Use it!
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Vogliamo perdere il treno anche questa volta?
Art-Test opera dal 2005 ed è specializzata in indagini diagnostiche non invasive per i beni culturali. Dispone di strumentazione e metodologie di avanguardia a livello internazionale (alcune brevettate, altre realizzate dietro progetto esclusivo), per l’analisi dello stato di conservazione, della tecnica realizzativa e dei materiali presenti su opere d’arte, sia mobili che immobili. Da sempre attiva nel campo della ricerca, Art-Test partecipa a progetti per la ricerca e l’innovazione finanziati da enti pubblici e collabora con centri di ricerca e università italiane e straniere. Dal luglio 2011, la compagine sociale di Art-Test è ora costituita da Anna Pelagotti e Emanuela Massa.