“…Ma nun me lassà,
Ernesto e Gianbattista De Curtis
Nun darme stu turmiento!
Torna a Surriento,
Famme campà!”
Le coincidenze non esistono, per dirla con Jung: sarà vero?
Dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, sono cominciate a circolare numerose inchieste giornalistiche riguardanti la sua vita da latitante, le particolari frequentazioni e, non da ultimo, sui molteplici traffici illeciti in cui era invischiato. Ne abbiamo scritto anche su queste pagine, in relazione alla Natività di Caravaggio e ad altre vicissitudini sul traffico di reperti archeologici.
Molto interessante, in questo frangente, l’inchiesta de L’Espresso, di Paolo Biondani e Leo Sisti, con gli articoli “Ruba l’arte e mettila al museo” e “Arte trafugata al Metropolitan Museum di New York: nel museo statunitense oltre mille opere rubate anche in Italia”, pubblicati rispettivamente il 29 gennaio e il 20 marzo di quest’anno. I personaggi citati negli articoli sono ben noti a chi, da anni, segue le cronache giudiziarie sul traffico di opere d’arte e reperti archeologici, ma la cosa più stupefacente è che si parla di archivi di fotografie e documenti che continuano a circolare, di indagini svolte da agenti speciali e dalle autorità giudiziarie statunitensi, in particolare dalla procura distrettuale di New York.
Sorprende ancor di più apprendere che molte fotografie di questi beni (Polaroid), insieme ad altra documentazione, siano state esaminate, anni or sono, da due esperti archeologi italiani, Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini, quando collaborarono con il compianto Paolo Giorgio Ferri, il pubblico ministero che, prima di ogni altro, si è occupato con continuità, professionalità e passione dei crimini perpetrati contro il patrimonio culturale nazionale. Il magistrato, valendosi degli investigatori dell’allora Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Artistico e della Guardia di Finanza, era riuscito a ricostruire le filiere del traffico dei reperti, identificando i personaggi e i sodalizi criminosi di riferimento. Fu perfino violato il fortilizio del porto franco di Ginevra, considerato come lo snodo di transito dei beni illecitamente esportati dal nostro paese verso la terra dello zio Sam e altre mete in giro per il mondo, a dimostrazione dell’ingente attività di riciclaggio connessa a questo commercio illegale. Fu predisposta un’apposita rogatoria verso gli USA, fondata sulla gravità dei reati ipotizzati, in primis l’associazione a delinquere, la transnazionalità delle condotte criminose, sulla base sugli accordi bilaterali sottoscritti a Roma nel 1982, sulla convenzione delle Nazioni Unite del 2000 conto i crimini transnazionali e la mutua assistenza giudiziaria siglata nel 2003 siglata tra EU e USA. Questa specifica attività si prefiggeva di recuperare i reperti scavati illecitamente in Italia, transitati in Svizzera e, attraverso una premeditata triangolazione, fatti pervenire attraverso intermediari nelle collezioni private e museali statunitensi. Tra i tanti beni di pregio e rarità era compreso l’arcinoto Cratere di Eufronio.
Questa benemerita e colossale attività investigativa, nonostante l’impegno profuso, non ha comportato – ahinoi – condanne, confische e recuperi come probabilmente ci si attendeva agli albori. In questo senso è emblematica la vicenda riguardante la specifica attività investigativa condotta sul sodalizio d’affari, lungo l’asse Italia-USA, composto da Hecht/Rosen-Medici-True, tutti sottoposti ad indagine dalla Procura di Roma per illeciti connessi al traffico internazionale di antichità sin dal 1997. L’italiano Giacomo Medici, mercante d’arte, secondo l’accusa, unitamente ai suddetti personaggi, si era dedicato in particolare al commercio illecito di reperti archeologici di pregio rilevantissimo, provenienti da scavi clandestini operati sul territorio italiano. Medici è stato condannato in via definitiva a 8 anni di reclusione. L’antiquario statunitense Robert Emmanuel Hecht e la già curatrice del Getty Museum di Malibu Marion True, dopo essere stati rinviati a giudizio per associazione per delinquere e ricettazione di beni archeologici, hanno beneficiato del proscioglimento e in seguito della prescrizione dei reati a loro ascritti. Dura lex sed lex? Cosa sarebbe accaduto se fosse stato in vigore l’attuale impianto penale per il contrasto dei crimini contro il patrimonio culturale, dopo la ratifica della Convenzione di Nicosia?
Forse, nel frattempo, esulando dalle complesse questioni legali, è maturata una più ampia e consapevole sensibilità verso queste tematiche. Le pressioni di alcune istituzioni statunitensi che si occupano di studi criminologi e il pentimento (speriamo sincero) di alcuni personaggi legati a noti trafficanti di bellezze artistiche, hanno forse contribuito a smuovere le acque, svelando come certe acquisizioni museali, avvenute nel passato, siano state incaute.
A questo punto è spontaneo quanto legittimo domandarsi quali siano le intenzioni delle autorità italiane. Sarà possibile avviare nuove inchieste giudiziarie? Come si potranno recuperare i beni di provenienza italiana presenti nei musei e in altri contesti d’oltreoceano? Siamo certi di averli individuati tutti?
Probabilmente l’unica via al momento praticabile è quella diplomatica. Del resto anche l’UE, sin dal 2007, ha inserito nella propria agenda questa specifica componente per condurre politiche specifiche, fino a delineare chiare strategie per le relazioni culturali internazionali (2017).
La cultura è la chiave che ci consente di rinforzare la nostra posizione in Europa e di riflesso di porre sotto una luce positiva la nostra immagine nel mondo. La Dichiarazione di Roma dei Ministri della cultura del G20, del 2021 e la Dichiarazione di Napoli, scaturita dalla conferenza dei Ministri della cultura del Mediterraneo, del 2022, sono tappe fondamentali che puntellano questo percorso.
L’Ambasciata d’Italia negli USA e la Assistant Secretary for Educational and Cultural Affairs del Dipartimento di Stato hanno firmato, nel 2020, il Memorandum d’Intesa circa l’imposizione di limitazioni all’importazione di categorie di materiale archeologico dall’Italia. Il documento, insieme al precedente accordo del 2001, rappresenta la cornice giuridica che consentirà alle autorità italiane e statunitensi di promuovere l’attività di contrasto al traffico illecito di beni di culturali provenienti dall’Italia e di riportarli entro i confini nazionali a seguito di recuperi operati negli USA. L’accordo si prefigge di rinforzare la collaborazione tra le agenzie deputate a questo tipo di attività: Homeland Security Investigations (HSI), Dipartimento di Stato, FBI, ICE e Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. Questa forma di cooperazione ha già consentito di restituire numerosi reperti illecitamente esportati dall’Italia. Allo stesso modo si dovrebbe rafforzare la sensibilità delle istituzioni museali, dei collezionisti pubblici e privati, e di ognuno di noi.
Oggi, grazie alla tecnologia informatica, alla rete, siamo tutti in grado di verificare le fonti aperte e fare alcune ricerche. Le forze di polizia specializzate hanno messo a disposizione, ormai da tempo, applicazioni utili per questo tipo di attività, in un’ottica di sicurezza partecipata.
Stimolati dalla curiosità, visitiamo con attenzione i musei nazionali ed esteri, soprattutto i siti archeologici disseminati su tutto il nostro territorio (quando sono aperti, sic!) per approfondirne la storia in connessione con le cronache locali. Poniamoci delle domande. Il centro-sud di questa penisola è stato, per secoli, danneggiato pesantemente dagli scavi clandestini, ovvero da operazioni condotte con criteri lontani da un corretto e maturo approccio scientifico, realmente rispettoso del contesto e degli oggetti in esso custoditi. Per anni, non sono state infrequenti le fuoriuscite dai confini patri di “souvenir d’Italie” per testimoniare il viaggio nel Bel Paese e per soddisfare la vanitas. Del resto sono noti in letteratura gli scavi scellerati avvenuti nel ‘700 nella città eterna e la successiva immissione nel mercato antiquario di reperti confluiti nelle collezioni di importanti clienti internazionali, teste coronate comprese. Un traffico che è continuato per lungo tempo indisturbato, fino all’editto del Cardinale Pacca, del 1820, e con la creazione delle Commissioni ausiliarie di Antichità e Belle Arti.
Non parliamo poi delle numerose razzie e distruzioni in concomitanza delle campagne militari, degli eventi bellici devastanti, protrattesi fino al secondo conflitto mondiale, perpetrate non solo dai nazisti, ma anche dalle truppe alleate: si pensi, ad esempio, al bombardamento di Tivoli e di Villa Adriana del maggio 1944; al fenomeno del contrabbando (anche di reperti archeologici) che hanno ispirato il grande Edoardo per la scrittura della commedia Napoli milionaria.
Chissà quante altre storie sono lì, pronte per essere svelate e quante bellezze sono in attesa di ritrovare la strada di casa. Bisognerà forse rispolverare l’antica ricetta e riprendere da dove professionisti come il procuratore Ferri hanno dovuto lasciare.
Opinionista