“Venite al ballo, giovinetti e donne,
entrate in questa stanza
ove balla Speranza,
la cara iddia degl’infelici amanti;
e balleran cantando tutti quanti…”
Agnolo Poliziano
Firenze, in senso lato, è ancora palcoscenico di dispute bizzarre, di sanguinose pugne, come ai tempi del Sommo Dante.
Prima il David del Padre e Maestro delle Arti Michelangelo, accusato oltreoceano di ricordar bassezze. Adesso Venere o Afrodite che dir si voglia, ritratta illo tempore da Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi detto Botticelli, ha assunto le sembianze di una influencer digitale. La nuova versione della dea, ingaggiata dal Ministero del Turismo, è coperta pudicamente da capi griffati e, tra una pizza margherita (Patrimonio Unesco dal 2017), un bicchiere di vino rosso (DOC?), propina ai cittadini del mondo itinerari forse un po’ troppo immaginari. Indiscrezioni giornalistiche riferiscono a riguardo che nello spot sarebbero state inserite perfino località non propriamente nostrane.
Il battage, sintetizzato nel sintagma filo albionico “open to meraviglia”, perpetua il leitmotiv, politicamente trasversale, inaugurato nel 2015, da “verybello”. La proposta è stata semmai rinforzata, facendo leva sul rapporto asimmetrico produttore/consumatore e sulla dipendenza, ormai dilagante, da social. Sono le occupazioni contemporanee, una riedizione delle fatiche erculee, costellate di insidiosi post e arditi tik-tok. I boomer, secondo le previsioni, partirebbero già svantaggiati. È ormai un’onta imperdonabile non essere avvezzi all’utilizzo della tecnologia informatica, nello sfruttare al top le potenzialità della comunicazione digitale. Figuriamoci gli over boomer e/o le altre categorie sociali, escluse dal sistema per carenza di conoscenze e mezzi idonei. Il divario digitale sta generando forme di marginalizzazione sociale di cui nessuno, come ricordato in altre occasioni, sembra preoccuparsi.
Mi risuonano e mi si ripresentano nella testa, non so perché, sarà la potenza dei ricorsi storici, il ritornello della spassosa “canzuncella” del compianto Renato Carosone: “Tu vuo’ fa’ l’americano, ma sì nato in Italy…” e l’immagine cinematografica dell’immenso Albertone nazionale che, dopo vari colpi di testa ed esotiche fascinazioni, torna a mangiarsi il maccherone di mamma. Suggestioni sbiadite, superate, retaggi nazional-popolari. In realtà hanno fatto luce su spaccati di vita quotidiana, sono state attività creative antesignane, ammonitrici rispetto a un destino che sembra proiettarci ora più che mai verso scenari orwelliani.
Torniamo al punto dolente. La Venere e Mastro Sandro come la prenderebbero?
È utile ripercorrere il tempo all’indietro, rischiare di cadere nella dietrologia, nella mitologia, nella retorica?
Che noia, che barba!
Potremmo risolvere la questione optando semplicemente per la modalità social, con una rapida quanto esaustiva ricerca in rete, magari condividendo bovinamente il contenuto polisemico dell’ammiccante pubblicità seppur disorganico a livello estetico o “spararci” un selfie di gruppo, un reel collettivo. Adattiamoci, suvvia, prendiamoci il nostro momento di [vacua] celebrità, di [illusoria] immortalità. Appagheremmo il nostro edonismo, la vanitas.
Cosa conta dopotutto un vecchio dipinto appeso a un muro, raffigurante una giovinetta scapigliata in equilibrio su un conchiglione?
Qualche avanguardista 2.0 potrebbe perfino sostenere che se Botticelli fosse vivo, sarebbe un’artista digitale. Non dipingerebbe col pennello e con i colori, ma sarebbe immerso a capofitto nel caleidoscopico meta-verso (la rima, sic!).
Venere? Chi è? La stella del mattino, un pianeta, una donna, una dea, un ideale, un’ispirazione. Niente di tutto ciò. La sua nuova dignità è nell’ essere una figura fatta di pixel che influenza virtualmente. Protagonista di una performance ambientata nell’irrealtà, incede in una sorta di iperspazio con andatura dinoccolata, al ritmo martellante e ossessivo di un jingle che ha la spudoratezza di richiamare un brano musicale straordinario, tratto delle Quattro Stagioni di Vivaldi (Inverno, I movimento). Povero Antonio Lucio, hanno messo in mezzo anche lui, senza nemmeno citarlo.
Qualcuno potrebbe perfino innamorarsene, umanizzando la “non umana” Venere trentenne (?), un po’ come succede, mutatis mutandis, a Rick Degard con Rachel, in Blade Runner. Riemerge prepotentemente la natura del boomer, afflitto dalla sindrome cronica del post modernismo. Ritorneremo su questo punto, non potendo dimenticare il destino preconizzato dal replicante Roy Batty nel celeberimmo monologo finale del film: io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi…
L’amore dopotutto è la forza che si esprime, con particolare vigore, talvolta in modo incontrollabile, durante la giovinezza. Dobbiamo aiutare ed essere aperti verso le esigenze dei nostri giovani, aiutarli a comprendere e valutare criticamente, uscendo da una contrapposizione generazionale che qualcuno, in maniera un po’ subdola, sembra insinuare anche in questa campagna pubblicitaria, costata molti soldi pubblici o forse troppo pochi.
Come e quanto si vuole investire sull’identità culturale e sulla vocazione turistica della nostra Repubblica?
L’ “assillo” dell’articolo 9 della nostra Costituzione. Non si vorrebbe citarlo a vanvera, come troppo spesso accade nelle ricorrenze formali, insieme con gli altri 138 articoli e disposizioni transitorie. L’identità culturale vale tutto, se non tutto parecchio. I nostri padri costituenti, con lungimiranza, l’hanno inserita tra i principi fondamentali, dopo un lungo travaglio ideologico ed intellettuale, a seguito di un conflitto bellico lacerante.
Il turismo culturale nel nostro paese non può essere una questione amministrativa improvvisata, relegato a un’imprenditorialità rapace, peggio ancora materia di un’azione di governo limitata, priva di una visione prospettica. Questo paradigma va ribaltato, cominciando con adottare politiche concrete e di lungo periodo, atteso che il capitolo destinato alla spesa culturale è stato, per anni, il più tagliato del bilancio statale.
L’Italia, nei prossimi anni, sarà il fulcro di eventi importanti legati all’Agenda Unesco 2030, alle iniziative collegate alle capitali italiane della cultura. Milano e Cortina d’Ampezzo ospiteranno le Olimpiadi invernali del 2026 e Roma l’Expo 2030. È fondamentale in questo senso coniugare l’offerta turistica con quella culturale, ragionare e investire sul turismo di qualità, per consentire di godere appieno delle bellezze del paesaggio, dell’arte, dell’enogastronomia e dell’ospitalità tipici del nostro paese. Un’esperienza turistica di questo tipo non può esaurirsi in un selfie, in un banale slogan propagandistico, in viaggi e soggiorni mordi e fuggi.
L’Italia è la porta dell’Europa nel cuore del Mediterraneo. La sua posizione geografica privilegiata è strategica per uno sviluppo turistico intelligente e sostenibile. Gli imprenditori esteri del crocierismo l’hanno compreso da anni, raccogliendone cospicui profitti, non certo le ricadute negative, specie quelle sull’ambiente: si pensi ad esempio alla problematica dell’approdo e del transito delle grandi navi in contesti delicati come la laguna di Venezia.
Queste imbarcazioni sono enormi, poco adatte a navigare lungo le coste del mare nostrum. Veri e propri hotel galleggianti, sulle cui poppe esterne – non è una parolaccia – non sventola più il nostro Tricolore (tutelato dall’art. 12 della Costituzione). Un simbolo di unità nazionale non riducibile ad un’immagine fugace, ad un logo commerciale qualsiasi, come quelli inseriti nello spot in questione. Un vessillo tuttora presente sul naviglio civile e militare italiano, in ossequio all’ancestrale tradizione marinaresca, che al centro della banda bianca presenta l’emblema araldico costituito dallo stemma delle quattro Repubbliche Marinare: Amalfi, Genova, Pisa e Venezia.
Tutto ciò non è una frivola divagazione bensì una connessione concettuale importante.
Venere, secondo la teogonia, è nata dalla spuma delle onde del greco mar. L’ha celebrata Foscolo in uno dei suoi sonetti più noti, A Zacinto. Più di duemila anni fa, Esiodo e poi Omero nell’Iliade e nell’Odissea, hanno individuato nelle acque dell’isola di Cipro, presso Paphos, il luogo di nascita della dea. Questo territorio, a partire dal 58 a.C., è stato annesso alla repubblica romana fino ai fasti imperiali. Sono i pilastri della cultura classica, i fondamenti della nostra civiltà, da cui siamo condizionati, nel bene e nel male, da millenni.
Possiamo ignorare l’importanza di questi elementi fondamentali?
La Venere di Botticelli è tra le opere d’arte più rappresentative del periodo rinascimentale, epoca in cui, dopo una lunga decadenza, l’ideale classico è stato nuovamente preminente nelle arti, nella filosofia, nelle lettere, nelle scienze e nelle tecniche.
Si apre davvero un mondo di meraviglie. Vale la pena approfondire, riscoprire l’humanitas, ovvero chi siamo, da dove veniamo e soprattutto i nostri orizzonti futuri.
Il dipinto, realizzato per la villa medicea del Castello, più di mezzo millennio fa, è conservato nella Galleria degli Uffizi. Merita senza dubbio di essere ammirato dal vivo, come altri capolavori e bellezze tipiche della nostra splendida penisola. Faremmo tante scoperte e, aprendo la mente ed il cuore, impareremmo a coglierne l’essenza autentica, di portata universale, che non può essere svilita da una grossolana reinterpretazione, da un prodotto multimediale approssimativo posto sotto la patinatura di una contemporaneità contraddittoria e fine a sé stessa.
Queste motivazioni sono più che sufficienti per ritenere l’iniziativa pubblicitaria in questione non all’altezza di ciò che dovrebbe promuovere e diffondere. L’obiettivo è nobile, valorizzare la cultura e il turismo di una nazione, la cui dignità si rispecchia nella componente sociale, di cui i cittadini sono parte attiva, conformemente all’art. 3 comma 2 della Costituzione.
E poi, non possiamo scordarlo, Venere è da sempre sinonimo di amore e bellezza. Obiettivamente si fa fatica ad accendere una virtuosa passione verso qualcosa che appare come un simulacro assai approssimativo. Non vi è confronto tra un personaggio che si autoproclama “Venereitalia23”, dea/ragazza virtuale e “influenzante”, rispetto all’opera botticelliana che da secoli esprime mirabilmente la qualità raffinata ed unica di un’ineguagliabile opera del genio umano.
L’agenzia pubblicitaria contraente, forse a seguito delle roventi polemiche, ha pubblicato un comunicato sul Corriere della Sera, in cui si afferma che mai come in questi giorni si sta parlando di Venere.
Ritengo sia doveroso ringraziare gli italiani che hanno finanziato tutto ciò, attraverso il pagamento di tributi. Altrettanto doveroso, esprimere garbatamente e liberamente la propria opinione di dissenso, in ossequio all’art. 21 della nostra Costituzione: è ancora vigente?
Purtroppo non è della Venere botticelliana che si sta discutendo a modo, ma di un prodotto tutt’altro che meraviglioso.
Questa sorta di boutade non lascia purtroppo spazi a un dialogo costruttivo, a un possibile ravvedimento degli autori o a un miglioramento dei contenuti pubblicitari. Non è una questione di gusti, ma di consapevole e matura sensibilità. Si dà del nostro paese, ahi noi, un’immagine superficiale, che non afferma adeguatamente i nostri valori di civiltà. Mi dispiace davvero, ma non si può condividere, mettere un like, nemmeno una faccina arrabbiata o di dissenso: si incapperebbe nella trappola vorticosa del quantitativo e si favorirebbero i sostenitori superficiali, talvolta prezzolati e in male fede del “purché se ne parli”.
Ci vuole impegno per amare la bellezza e il nostro Paese. Questa scelta impone anzitutto di prendersene cura. È un percorso di conoscenza che non si esaurisce mai e si rinnova di giorno in giorno.
Nel dipinto di Botticelli non è raffigurata solo Venere, ma il mondo intero nelle sue varie espressioni: umane, animali e vegetali. Tutte queste forme paiono danzare all’unisono, librarsi in movimenti armoniosi, in un’atmosfera di equilibrio e di pace.
Meditiamo sui capelli di Venere. Chissà se Simonetta Cattaneo (1453-1476), nobildonna genovese, moglie di Marco Vespucci, vissuta poco più di vent’anni, che avrebbe ispirato Botticelli, li aveva proprio così. Hanno il dinamismo di una fiamma dorata, eterna, indomabile. Il fuoco scintilla di passione, di creazione e luminosa bellezza ma forse, parafrasando Cecco Angiolieri, anche strumento di distruzione. Dipende infine da noi, dal nostro libero arbitrio, da ciò che vogliamo vedere.
Il dono di Prometeo all’umanità, del resto, ha condannato lui stesso al supplizio eterno.
Dobbiamo confidare nella Spes e non perdere, anzitempo, il nostro spirito.
Opinionista