Non gli era chiaro (né può esserlo a noi) se essa fosse diventata l’Isola, o Lilia, o entrambe, o lo ieri in cui tutte e tre erano relegate, per quell’esiliato in un oggi senza fine, il cui futuro stava solo nell’arrivare, in qualche suo domani, al giorno prima.
U. Eco
Nei giorni di primavera, quando il bel sole comincia a illuminare e scaldare, i più fortunati cominciano – se non a godersi – almeno a pensare a qualche giorno di relax, di vacanza. Sui media sono pubblicizzate mete turistiche facilmente raggiungibili, perfino a poco prezzo, stante l’enorme potenzialità della mobilità e del mercato turistico contemporanei. Sono proposte anche le cosiddette località da sogno, zone incontaminate (ne esistono ancora?): ne abbiamo, insomma, per tutti i gusti.
Questi scenari allettanti, tuttavia, riportano alla ribalta una serie di problematiche che, negli ultimi anni, hanno assunto una rilevanza tale da destare seria preoccupazione, per lo meno tra i più accorti.
Si parla di over-tourism, un fenomeno legato al turismo di massa incontrollato, che ormai riguarda numerose aree geografiche, sparse in tutto il mondo. In Italia si pensi a città d’arte come Firenze, Roma, Venezia, a siti archeologici come Pompei o a mete caratterizzate da particolari scorci paesaggistici come Capri e le Cinque Terre.
Oltre i confini nazionali la stessa sorte riguarda le grandi capitali e le mete esotiche: quelle isole tropicali permeate da un fascino irresistibile ed eterno, la cui realtà turistica, purtroppo, non sembra essere altrettanto idilliaca. È recente la notizia diffusa dai media riguardo alle decisioni prese dalle autorità filippine per tutelare un luogo in cui il mare, già considerato uno dei più belli al mondo, si trova ora invaso da alghe dannose proliferate a causa delle sostanze chimiche rilasciate per l’incuria umana, l’inquinamento e il riscaldamento globale. Potremmo quindi perdere definitivamente la possibilità di tuffarci ancora nelle distese cristalline che circondano l’isola di Borocay.
Le misure intraprese hanno comportato, anche in passato, la chiusura ai turisti per diversi mesi, per effettuare anzitutto bonifiche e pulizie, data la massiccia presenza di rifiuti lasciati dai visitatori sulle spiagge e nei fondali marini, nonché dall’incessante via-vai di natanti e di aerei che atterravano e decollavano dall’aeroporto di Caticlan. La scelta del drastico contingentamento delle presenze è praticamente obbligata per riportare a un livello più sostenibile la fruizione delle spiagge e per contenere gli effetti di un processo inarrestabile, che riguarda anche noi, anche se distiamo circa 11.000 km. Siamo di fronte, con tutta evidenza, a una crisi globale, che va affrontata coralmente.
Nel 2019, prima dell’avvento pandemico, il turismo era un settore che occupava circa 1.5 miliardi di persone nel mondo. Il cosiddetto turismo culturale comprendeva circa il 40% del totale. Si discuteva già dell’impatto negativo dato dal sovraffollamento turistico a discapito dei siti del Patrimonio Mondiale, dell’ambiente e delle comunità. Nel 2020 lo scenario si è di fatto ribaltato: secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale per il Turismo i flussi turistici si sono abbassati del 65%.
L’UNESCO ha creato per questo una Task Force per incentivare la ripresa del turismo post-crisi, in un’ottica sostenibile e per rafforzare la resilienza delle comunità e dei siti tutelati. La sfida è quella di realizzare modelli economici e sociali innovativi per migliorare il turismo culturale e naturale. Infatti, se per un verso il comparto turistico genera effetti positivi all’economia e all’occupazione di un paese, dall’altro rischia di provocare impatti negativi sul clima, la conservazione dei siti e lo sviluppo delle comunità locali. L’obiettivo dovrebbe essere condiviso con l’intento di rendere il turismo maggiormente sostenibile e responsabile, investendo sulla qualità più che sulla quantità.
Soffermiamoci, a questo punto, sull’aspetto riguardante la responsabilità, un termine che, concettualmente, si coniuga bene con la prevenzione. Lo Stato italiano ha il dovere di assolvere ai compiti di tutela in conformità ai dettami dell’art. 9 della nostra Costituzione, non ci stancheremo mai di ripeterlo. Allo stesso modo, richiamandoci a uno dei padri costituenti, Pietro Calamandrei: lo Stato siamo noi, tutti noi!
Alla luce di questa premessa doverosa e fondamentale, possiamo in coscienza affermare che in Italia il turismo si attesti sugli standard stabiliti dall’UNESCO?
Incresciosi fatti di cronaca dimostrano come la situazione interna sia ben lungi dall’essere sotto controllo. Un crescendo di atti di inciviltà (endogena ed esogena) da un lato, si incontrano con risposte che appaiono inadeguate, dall’altro. È la solita rincorsa al problema, la declinazione di un’emergenza estesa ed infinita, che di fatto non si risolve mai. Si trascurano le cause originarie e si tenta di curarne gli effetti, ricorrendo a politiche improntate a idee un po’ datate ma di sicuro effetto mediatico, solo per ottenere un consenso immediato ma vuoto di significati, di concretezza e di prospettiva.
Sono i rimedi propinati dai sempiterni aficionados della teoria sociologica della zero-tolerance “made in the USA”, nazionalizzati nel tempo come le sigarette (sic!) dai “pacchetti sicurezza” adottati dai precedenti governi, fino alle recentissime proposte di alcuni esponenti dei partiti di maggioranza, che preconizzano multe salate e il DASPO monumentale per chi danneggia il patrimonio, pur non essendo chiaro se queste condotte debbano riguardare solo atti di matrice ideologica, da parte di esponenti dell’estremismo ambientalista, ovvero tutti le azioni malsane perpetrate dai componenti di orde barbariche di varia estrazione e provenienza: tifoserie calcistiche, vandali di professione, estremisti, esaltati, maleducati.
Non sono abbastanza le norme vigenti? Tacito, millenni or sono, ammoniva In summa rerum publicarum corruptione, legum numero infinitus est (“Nella totale corruzione della cosa pubblica, il numero delle leggi è infinito”). Non alimentiamo parimenti polemiche, ve ne sono abbastanza e non sono utili alle buone cause. Di questi aspetti ne tratteremo prossimamente, in maniera approfondita, perché sarebbe importante comprendere se, trascorso ormai poco più di un anno, l’impianto giuridico frutto della ratifica del Trattato di Nicosia stia effettivamente funzionando in termini di repressione, atteso che la prevenzione sembra essere la chimera tra chimere. Dispiace molto, del resto, constatare come le formule basate sull’educazione alla legalità, la diffusione della cultura e la formazione, siano state completamente disattese, peggio ignorate.
Da una prima analisi di questi fenomeni e delle relative interconnessioni, al netto degli approfondimenti giuridici legati ai comportamenti illeciti dei singoli, emergono inequivocabilmente le seguenti criticità:
- la mancanza di strategie preventive specifiche, condivise dalle autorità sovranazionali, nazionali e locali preposte alla sicurezza pubblica con quelle a cui è devoluta la gestione del turismo e della fruizione dei luoghi di cultura;
- il danno ingente, se non permanente, dei beni/siti culturali-monumentali e paesaggistici e l’insorgenza di ricadute negative nelle aree interessate e sulle attività economiche in esse operanti;
- la scarsa incisività e tempestività della funzione deterrente e punitiva delle sanzioni/pene comminate agli autori del fatto/reato, data anzitutto dalle lungaggini degli iter amministrativi e giudiziari anche in previsione dell’effettivo risarcimento e la riparazione del danno;
- il carente coordinamento tra gli enti preposti alla tutela in ordine un possibile piano di gestione dei siti di interesse culturale aderente alla situazione, di medio-lungo periodo, non solo per affrontare la prima emergenza;
- la poca attenzione dei media e dell’opinione pubblica verso l’importanza del bene culturale danneggiato e dell’ambiente di riferimento.
È importante, se si vuole veramente attivare un cambiamento, che ognuno di noi non si faccia distrarre e/o fuorviare. Si corre il rischio di essere travolti dai disturbi della modernità, dal mind-wandering indotto e amplificato dalla rete, dai social, che ci spingono di frequente verso un isolamento mentale rispetto all’ambiente reale e ai rapporti umani in presenza.
È pur sempre un dovere morale vivificare la mutua e concreta connessione, basata sulla fiducia, tra i cittadini del mondo e le istituzioni, percepite talvolta distanti dalle esigenze reali, ma che di fatto sono una nostra emanazione. Le scelte di ognuno di noi, la cui portata di tanto in tanto sembra sfuggirci, non dovrebbero mai far venir meno la legittimazione che occorre agli enti preposti per operare fattivamente al servizio di tutti.
Ritroveremo l’isola (che non c’è)? Forse, per accattivarci le schiere sempre più numerose di ipermoderni, dovremmo utilizzare il termine mindfulness facendolo corrispondere a un vasto contesto geografico dove rilassarsi, condividere esperienze gratificanti, riscoprire una pulita e sana energia psico-fisica, apprezzare la cultura declinata in tutte le sue accezioni e di conseguenza contribuire al raggiungimento di un migliore equilibrio per l’intero pianeta. Si spera di non relegare tutto ciò ai sogni dei bambini: molto romantico per certi versi, ma forse sarebbe un po’ poco.
Opinionista