Restituita al territorio sannita l’erma di Atena recuperata dai Carabinieri TPC di Napoli
Si è tenuta lo scorso 16 giugno presso il Museo Archeologico Nazionale del Sannio Caudino di Montesarchio, in provincia di Benevento, la cerimonia di restituzione di un’erma di Atena recuperata dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Napoli. Il reperto andrà ad arricchire la collezione del MANSC, diventato negli anni un importante punto di riferimento, culturale e turistico, per un territorio ricco di storia quale quello sannita.
La restituzione è avvenuta in una giornata dal forte valore simbolico in quanto la cerimonia ha inaugurato le Giornate Europee dell’Archeologia, in programma dal 16 al 18 giugno, che hanno permesso ad appassionati di storia o semplici curiosi, in famiglia o con la scuola, di scoprire la ricerca e il patrimonio archeologico. L’appuntamento annuale è gestito, in Europa, da Inrap, l’Istituto Nazionale di Ricerca Archeologica preventiva della Francia, mentre in Italia è organizzato dal Ministero della Cultura – Direzione Generali Musei.
Grande soddisfazione del direttore del museo Dott. Vincenzo Zuccaro che, dopo i saluti di rito, ha introdotto gli ospiti presenti a partire dal neo-sindaco del Comune di Montesarchio, Avv. Carmelo Sandomenico, e dal sindaco di Sant’Agata de’ Goti, Dott. Salvatore Riccio, che hanno sentitamente ringraziato la Procura della Repubblica di Benevento per l’importante lavoro svolto in sinergia con i Carabinieri TPC di Napoli. Di rilievo l’intervento del vicesindaco nonché assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Montesarchio, Dott.ssa Morena Cecere, emozionata dal recupero di questo prezioso reperto, recupero che va ad aggiungersi ai tanti già compiuti sul territorio, in particolare quello riguardante il Cratere di Assteas, “il vaso più bello del mondo”, delle cui vicende abbiamo più volte parlato nel nostro giornale. La Cecere ha tenuto a sottolineare che oggi possiamo costruire un racconto e parlare di identità culturale del Sannio Caudino grazie all’instancabile lavoro dei Carabinieri TPC e auspica che, per il prossimo anno scolastico, continui quell’opera di sensibilizzazione già iniziata in collaborazione con l’Arma rivolta alle nuove generazioni:
«La prima forma di tutela passa proprio per la consapevolezza e se noi, grazie a voi, riusciamo a trasferire ai giovani l’importanza del nostro patrimonio culturale, allora avremo “un’arma” efficace per tutelarlo e valorizzarlo. Quindi grazie anche a tutti i presenti, parlo dei volontari, delle associazioni, degli appassionati, della comunità che vivono i nostri territori e che saranno protagonisti di queste azioni di valorizzazione».
Presenti i rappresentanti della Procura della Repubblica di Benevento, dal Dott. Gianfranco Scarfò, Procuratore Aggiunto, alla Dott.ssa Maria Amalia Capitanio, Sostituto Procuratore, ed in particolare alla Dott.ssa Maria Gabriella Di Lauro, Sostituto Procuratore, cha ha condotto le indagini:
«Ringrazio per l’invito a questa bellissima manifestazione e ne approfitto per ringraziare in particolar modo i Carabinieri del Nucleo per la Tutela Patrimonio Culturale per l’impegno profuso in questa attività di indagine, nata un po’ per caso, seguendo una vendita online di altri beni e che poi ha portato, attraverso le indagini che sono state poste in essere, anche al rinvenimento del reperto che oggi abbiamo riportato a casa. Ed è sempre bello, come diceva anche il Procuratore Aggiunto, ripristinare la tutela del patrimonio artistico e culturale, ma soprattutto fare qualcosa di bello, riportare bellezza nella casa dove dovrebbero essere custoditi questi beni e quindi ringrazio ancora i Carabinieri che sono i protagonisti veri di questa attività».
È il Cap. Massimiliano Croce, Comandante dei Carabinieri per la Tutela Patrimonio Culturale del Nucleo di Napoli, a raccontare i particolari relativi alle indagini e al recupero della testa di Atena. Il Capitano tiene subito a ribadire che si tratta di una restituzione mutila, sia dal punto di vista fisico ma soprattutto da quello storico, dato che ogni bene restituito a seguito di attività illecite non potrà mai essere lo stesso di quello rinvenuto dagli archeologi all’interno di un contesto vergine, ad esempio quello di una tomba a camera, dove, attraverso l’analisi degli elementi rinvenuti, si può ovviamente ricostruirne la storia.
«Il reperto è stato rinvenuto a seguito di un’attività di indagine, coordinata della Procura della Repubblica di Benevento, che vedeva indagata una persona che faceva commercio illegale su siti e-commerce, non soltanto sul dark web, ma anche su quelli comuni, dove c’è un grande smercio di beni culturali, da quelli archivisti, librari, archeologici. In quel caso, si trattava proprio di beni librai e quindi, dopo i dovuti accertamenti, le indagini hanno portato effettivamente ad acclamarne il possesso illecito e, giunti presso l’abitazione del privato cittadino, abbiamo scoperto che deteneva un numero di beni in misura maggiore rispetto a quelli che noi ci aspettavamo. Tra gli scaffali, un mio collaboratore, che stava controllando i titoli dei libri, ha chiesto di far luce e, girandosi, si è trovato davanti la testa marmorea. Il Maresciallo Pasquale Salamida, che è anche archeologo, ha riconosciuto subito il pezzo e, grazie agli esami tecnici e con il parere della Soprintendenza con cui collaboriamo strettamente, è stata appurata l’originalità di questo bene. In seguito è stato chiesto al Direttore della possibilità di portarlo qui, al Museo del Sannio Caudino, visto che dall’expertise è risultato che il reperto dovrebbe provenire dall’area di Sant’Agata de’ Goti. E oggi siamo davvero contenti di restituirvelo».
Il Capitano ha anche richiamato allo spirito civico che dovrebbe contraddistinguere ogni cittadino, necessario al contrasto dei crimini contro il patrimonio culturale:
«L’archeologia non è la ricerca del tesoro, oggi non abbiamo riportato un tesoro, abbiamo riportato un pezzo della nostra storia e della nostra identità. Quindi bisogna assolutamente preservare il territorio. Ecco, noi abbiamo competenza su tutta la Regione Campania e ogni territorio ha le sue peculiarità e le sue criticità. Avrete sentito ieri dell’attività che abbiamo fatto sulla Costiera Amalfitana, con il sequestro di una grotta a Maiori. Lì abbiamo problemi dal punto di vista paesaggistico mentre in quest’area il problema riguarda soprattutto gli scavi clandestini. Tenete presente che un nucleo come il nostro ha competenza su tutta la Campania… che cosa può essere a confronto di tutto quello che succede? Nulla. Quindi, ognuno di noi deve essere custode di questo patrimonio immenso, dobbiamo essere i campanelli d’allarme. Ogni cittadino ha già un grande senso civico e un grande senso di appartenenza. Secondo voi, da dove ci arrivano le notizie? Le attivazioni ci arrivano dai cittadini ed è quello che noi auspichiamo: fare massima attenzione al territorio».
Il Funzionario Archeologo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Caserta e Benevento, Dott. Andrea Martelli, si è quindi occupato della descrizione dal punto di vista stilistico della testa di Atena, senza mancare l’occasione per sottolineare la grave piaga degli scavi clandestini su tutto il territorio sannita, in particolare dell’area caudina e telesina, e l’impossibilità di ricostruire la storia e i contesti da cui i reperti vengono sottratti.
«Per quanto riguarda il reperto, si tratta di una testa femminile, facilmente identificabile, ma perché è una testa di Atena? Ecco, ha questa particolare capigliatura, con una segnatura centrale e presenta una parte piatta sulla sommità, su entrambi i lati, che termina con una sorta di punta che purtroppo è andata perduta. Probabilmente quindi indossava un elmo, di un tipo particolare, corinzio, come si nota dalla punta prominente e dalla parte a protezione del naso. È un’iconografia presente in Grecia nel IV sec., in cui Atena è rappresentata con l’elmo non calato completamente sulla testa ma leggermente obliquo, ruotato indietro sulla nuca, facendole assumere una forma abbastanza ovale. Esistono numerose varianti e il fatto che la testa sia così inclinata rende difficile ricondurre al preciso riferimento ma l’ambito è quello. In questo caso siamo di fronte ad una copia, di epoca romana, su base di modelli greci, databile al II secolo d. C.; ovviamente non ho elementi per affermare da dove provenisse questa testa, si può solo presumere che il suo ambito di provenienza sia una delle ville sub-urbane che gravavano sul territorio tra Caudium e Saticula, e che quindi sia stata scavata illecitamente in una di queste aree. La testa è stata privata del corpo perché, per essere collocata più facilmente sul mercato, è stata segata in vari pezzi che, come in questo caso, sono stati inseriti su appositi supporti».
Infine, un ultimo richiamo, carico di tormento:
«Vorrei tanto evitare questo tipo di situazioni, vorrei trovare queste statue in un’area di scavo con tutto il contesto intatto in maniera poi che possa essere oggetto di una pubblicazione, che possa essere oggetto di comunicazione al personale scientifico, che le informazioni che traiamo dallo scavo possano essere portate alla comunità facendo in modo che essa così si riappropri della cultura che è presente sul suo territorio e che capisca anche il valore, non solo dal punto di vista monetario, delle indagini archeologiche. Spero che in futuro ci siano molti più scavi archeologici e meno attività di recupero da scavi clandestini».
A conclusione degli interventi, il Capitano Croce ha risposto alle domande del pubblico presente in sala, riguardanti in particolare la complessità e la durata di questo tipo di indagini:
«Per quanto riguarda le indagini, la complessità dipende dalla tipologia del reato. In questo caso non è stata particolarmente lunga perché, come abbiamo detto, proveniente dall’individuazione dell’attività illecita attraverso un sito Internet. Quella che ha interessato il recupero del vaso di Assteas invece è stata molto ampia, perché si trattava di una vera e propria attività criminosa che vedeva un gruppo di soggetti organizzati per scavare, trasportare e collocare presso i mercati, soprattutto esteri, avvalendosi dei cosiddetti porti franchi, i reperti che venivano poi commercializzati presso facoltosi privati oppure presso, ahimè, musei molto importanti, soprattutto a cavallo degli anni ‘80 e ’90».
«Riguardo alla detenzione di reperti archeologici, molto spesso ci chiedono se si possono tenere in casa oppure no. Sì, ma si necessita di una documentazione che ne attesti il possesso lecito. Questa documentazione, per la nostra esperienza, direi che nel 99% dei casi non esiste. Le occasioni per poter detenere legalmente un reperto archeologico sono sostanzialmente tre: aver ereditato un bene archeologico, anche se non basta una dichiarazione per dire “io l’ho ereditato da mio nonno” ma bisogna avere un atto notarile che attesti l’eredità prima del 1909 e quindi il possesso lecito; oppure aver acquistato un bene presso un esercente autorizzato e avente quindi una documentazione legale che ne permetta la detenzione; o ancora, si può rinvenire un reperto archeologico in maniera fortuita. In quel caso, bisogna avvisare le autorità, Carabinieri o Soprintendenza, entro 24 ore; la Soprintendenza normalmente decide di acquisire il bene ma potrebbe anche lasciarlo in consegna a colui che l’ha rinvenuto. Ciò vuol dire che comunque quel bene è vincolato, è un bene dello Stato, è un bene della collettività, per cui poi ci sono tutta una serie di norme che il possessore dovrà seguire come ad esempio la conservazione; in caso di alienazione, non se ne potrà fare ciò che vuole ma dovrà sempre avere il contatto diretto con la Soprintendenza che fornirà le indicazioni necessarie. A tal proposito, molte volte, nelle scuole oppure all’università, ci chiedono se si può fare ricerca con il metal detector: si può utilizzare, ma solo in alcune circostanze ed è assolutamente vietato in area archeologica».
Un unico appello, dunque, volto a costruire una cittadinanza piena attraverso la fondamentale attività di sensibilizzazione della comunità, soprattutto delle giovani generazioni, al proprio patrimonio culturale, artistico e paesaggistico, con l’obiettivo di un’educazione alla tutela che permetta di trasmetterne il valore alla collettività tutta, valorizzandone appieno la dimensione di bene comune e il potenziale che può generare per lo sviluppo democratico del Paese.
Per maggiori informazioni sul Museo Archeologico Nazionale del Sannio Caudino di Montesarchio, digitare qui.
Diplomata in Scultura al Liceo Artistico Statale di Benevento, ha proseguito i suoi studi in Conservazione e restauro dei beni culturali presso l’Università degli Studi di Urbino conseguendo l’abilitazione come restauratrice. È specializzata in Arts Management e in Archeologia giudiziaria e crimini contro il Patrimonio Culturale. Co-founder dell’Associazione Art Crime Project, editore di The Journal of Cultural Heritage Crime. Membro del Direttivo Associazione Massimo Rao, è responsabile della Pinacoteca Massimo Rao. Vive e lavora a San Salvatore Telesino (BN).