Il museo, gli orrori e la fenomenologia culturale

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Datemi un museo e ve lo riempirò!
(Pablo Picasso)

Non c’entrano la casa-bottega-museo del maestro dell’horror Dario Argento nel quartiere romano di Prati o le imprese sinistre, narrate nella serie televisiva d’antan, di Belfagor al Louvre di Parigi. Dopo aver affrontato la tematica dell’over-tourism, è utile una riflessione sui musei e più in generale sui siti culturali italiani.

Non si può evitare di omaggiare gli strenui sostenitori del quantitativo, facendo il punto della situazione sul numero dei visitatori e sui musei più visitati. Forse è un esercizio un po’ superficiale, soprattutto se non lo si mette in relazione alla qualità dei contesti e dei servizi offerti. Non da meno, sarebbe interessante raffrontare le realtà interne con quelle di altri paesi, in un’ottica di miglioramento, di benchmarking.

Il Museo delle Gallerie degli Uffizi è tra i siti culturali più visitati al mondo, il primo tra gli italiani, seguito dal Parco archeologico del Colosseo e da quello di Pompei. Il Louvre di Parigi è da tempo il più frequentato a livello globale, con più di otto milioni di presenze l’anno, supera di gran lunga il Metropolitan Museum of Art di New York e i Musei Vaticani. L’Italia è al terzo posto per numero di musei presenti nella top 100 mondiale, con Firenze capolista. Non ci dilungheremo oltre con i dati sugli afflussi, invitiamo però a consultare il sito del MiC, curato dalla Direzione Generale Bilancio-Servizio I-Ufficio Statistica.

Alla luce della premessa sorgono spontanee alcune domande: considerate le potenzialità culturali del Bel Paese siamo certi che le risorse potenziali a disposizione siano ben orientate? E poi… Attesa la peculiarità del territorio e della nostra storia ci dovrebbero essere più o meno musei? Funzionano i luoghi della cultura? Li conosciamo davvero?

Prima della pandemia, a fronte di una crescita degli introiti, circa il 75% dei musei non registrava più di diecimila presenze l’anno: bisognerà attendere ancora un po’ per valutare se il trend sarà in grado di superare gli effetti negativi, ma questo dato induce a sostenere che la rete di collegamento tra tutti i luoghi di cultura, disseminati sul territorio, non sia pienamente efficiente, se non altro per la condivisione delle risorse umane, l’utilizzo di quelle tecnologiche e la gestione finanziaria.

L’ISTAT, nel 2018, ha censito 4.908 siti culturali (musei, aree archeologiche, monumenti). In un comune italiano su tre (2.311) è presente almeno una struttura museale, ve ne è una ogni 50 Kmq e ogni 6 mila abitanti. La maggior parte è costituita da musei, gallerie o raccolte di collezioni (3.882), a cui si aggiungono 630 monumenti e complessi monumentali, 327 aree e parchi archeologici e 69 strutture eco-museali. Nel 2015 erano impiegate circa ventimila persone, nel quasi 60% dei casi i siti non contano più di cinque addetti, il 20% delle strutture non ha alcun impiegato: le collezioni, in mostra di pertinenza dei comuni più piccoli, spesso sono curate da personale che normalmente svolge altre mansioni. Le regioni con la più alta concentrazione di siti culturali sono: Toscana (553), Emilia-Romagna (454), Lombardia (433), Piemonte (411), Lazio (357) e Veneto (304). Le città di Roma (121), Firenze (69), Torino (49), Milano (47), Bologna (46), Trieste (41), Genova (40), Napoli (38), Venezia (37) e Siena (34) sono quelle con il numero più alto di attrazioni. Quest’ultimo dato evidenzia un notevole gap nella concentrazione di strutture espositive aperte al pubblico tra il nord e sud del Paese. Rilevante è il flusso di visitatori provenienti dall’estero, soprattutto concentrati nelle grandi città e nei contesti più noti: Colosseo, Pantheon, Pompei e il Parco di Capodimonte.

La diffusione delle tecnologie digitali, sempre secondo i dati ISTAT (2018), non è molto sviluppata nei contesti museali italiani. Solo un museo su dieci ha catalogato in modalità digitale i beni posseduti. L’utilizzo di tecnologie interattive e strumenti digitali, che consentono una fruizione coinvolgente col pubblico è tuttora limitato: circa la metà delle strutture consente l’utilizzo di un dispositivo tecnologico (smartphone, tablet, touch screen, sale video/multimediali, tecnologia QR Code ecc.). La diffusione dei contenuti museali sul canale online è impiegata sempre più. La metà delle strutture dispone di un sito web dedicato e di un account sui social media (Facebook, Twitter, Instragram, ecc.). È raddoppiato in tre anni il numero di strutture che offrono la possibilità di comprare biglietti online e un museo su dieci offre la possibilità di effettuare una visita virtuale.

Nonostante lo sviluppo tecnologico e una maggiore sensibilità sociale, il patrimonio museale italiano è tuttora caratterizzato dalla presenza di barriere fisiche che impediscono alle persone con disabilità l’accesso ai siti. Solo la metà dei musei italiani è in grado di rendere accessibili i propri spazi espositivi.

La sicurezza, declinata nei vari ambiti, compreso quello culturale, è materia sempre più strategica negli ultimi anni. Da ricerche condotte dalla School of Management del Politecnico di Milano è emerso che, tra il 2018 e il 2021 più della metà dei musei ha investito in sistemi a tutela della salute dei visitatori, poco meno in impianti di video-sorveglianza per il monitoraggio delle aree espositive. Non è tanto chiaro come funzioni, in generale, la sicurezza e la prevenzione dei reati nello specifico comparto, anche alla luce delle recenti condotte che hanno visto musei e monumenti diventare bersagli privilegiati.

Esiste in Italia un protocollo siglato da ICOM, Ministero e Carabinieri del TPC per monitorare gli standard di sicurezza in relazione alle aggressioni criminali.

Dal report dell’attività operativa dei Carabinieri TPC relativa al 2022 risultano i seguenti dati:
– 1538 controlli aree archeologiche marine e terrestri;
– 1733 verifiche in aree paesaggistiche/monumentali;
– 248 sopralluoghi per l’accertamento dello stato di sicurezza dei musei, biblioteche ed archivi.

Ricordiamo, a questo punto, come ICOM concepisce il museo: “Un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che compie ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale”.

Ragionevolmente non sono molte le istituzioni museali nazionali che riuniscono tutte queste caratteristiche. Non stileremo però un’ulteriore classifica. Non è certamente semplice gestire i siti culturali: è molto complesso, costoso e, purtroppo, gli stanziamenti del bilancio statale non sono generosi nel favorire lo specifico comparto. Tuttavia, non si può ignorare la rilevanza che assumerà per questo settore il PNRR nazionale. Il programma, in linea con la Convenzione di Faro e il quadro di azione europeo per il patrimonio culturale, stabilisce le seguenti misure:

  • patrimonio culturale per la prossima generazione (1,1 mld di Euro) finalizzato al sostegno di investimenti tecnologici per lo sviluppo del settore; istituzione di piattaforme digitali per favorire l’accesso al patrimonio culturale; rimozione delle barriere fisiche e cognitive negli archivi, biblioteche e musei;
  • misure per l’efficientamento energetico delle strutture destinate alla cultura;
  • rigenerazione di piccoli siti culturali, patrimonio religioso e rurale (2,72 mld di Euro);
  • industria culturale e creativa 4.0 a favore del settore cinematografico, degli eventi culturali, la transizione digitale e verde (0,46 mld di Euro).

Atteso tutto ciò, le direzioni museali private e pubbliche, su cui in un recente passato si sono scatenate troppe ed inutili polemiche, dovranno esprimere al meglio le proprie capacità, in primis autorevolezza manageriale, dimostrando coi fatti di saper amministrare al meglio le risorse che avranno disposizione. Dovranno operare scelte di lungo periodo, trovare collaborazioni, ulteriori finanziamenti, partnership, anche al di là dei confini nazionali. Il contributo dei privati, in questo senso, sarà cruciale per appoggiare queste azioni e migliorare la capacità di esprimere strategie culturali efficaci. La questione non può riguardare unicamente il numero di biglietti staccati, gli interventi a spot sulla gratuità o meno degli accessi, le politiche basate – semplicisticamente – sul turismo mordi e fuggi. È necessario sposare una prospettiva organica: la cultura è molto di più, pertanto le istituzioni culturali sono chiamate a fare di più.

Infine, non lamentiamoci troppo. Oltreoceano hanno recentemente valutato le Gallerie degli Uffizi di Firenze come il miglior museo italiano al mondo. I criteri principali per questa valutazione, pubblicati sul sito American Art Awards, sono: la reputazione nel settore, l’importanza delle mostre organizzate, i programmi socio-educativi messi in campo, gli artisti rappresentati, il numero dei visitatori. Non hanno notato le opere d’arte ritraenti donne e uomini ignudi, altrimenti…

Battute a parte, anche in questo ambito ognuno esprime le proprie opinioni, le preferenze, i gusti. La comunicazione culturale è perciò chiamata ad esercitare seriamente il proprio ruolo nel sostenere le politiche culturali ed esercitare il controllo sociale attraverso la corretta informazione dell’opinione pubblica. Bisognerebbe impegnarsi seriamente, essere oggettivi ed onesti intellettualmente, in particolare ai più alti livelli decisionali ed istituzionali. Vi sono realtà che stanno funzionando veramente bene, proprio per aver intrapreso scelte di qualità: il Museo Egizio di Torino è una di queste. È un caso-scuola per il nostro paese, perché dimostra come si sia evoluta, positivamente, attraverso decisioni coraggiose, se non sofferte, la gestione di un’istituzione del genere, passata da mani pubbliche (2004) a quelle di una fondazione pubblica/privata. I risultati, molto lusinghieri, sono sotto gli occhi di tutti essendovi ricadute positive sull’indotto culturale-economico-turistico del capoluogo subalpino. I modelli di riferimento, per stessa ammissione del brillante direttore del museo torinese, Christian Greco, sono il British Museum e la National Gallery di Londra: da anni sono gratuiti, perché la cultura deve essere accessibile a tutti. Nessuna invidia e nessuna offesa, solo ammirazione verso queste due plurisecolari istituzioni di Sua Maestà Britannica. Non sono ammissibili le critiche malevole in una società aperta e realmente progredita, che dovrebbe perciò portare avanti, senza indugio, le istanze sociali in cui la cultura è al centro di tutto.

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