Site icon The Journal of Cultural Heritage Crime

La foto? «Sicuramente mi è stata rubata!»

(Tempo di lettura: 8 minuti)

Parte da Shobha – figlia della compianta Letizia Battaglia, scomparsa il 13 aprile 2022- una piccola crociata contro le fotografie messe in vendita online senza autorizzazione. Vuoti normativi, carenza di tutele e opacità caratterizzano il mercato della fotografia d’autore.

È il pomeriggio del 1° giugno quando sulla sua bacheca Facebook compare il primo di una serie di post: «Trovo qui in questo sito che svendono due mie foto senza avermelo chiesto! Sicuramente mi è stata rubata! Ci sono altri fotografi, guardate se ci siete anche voi! ». Il link rimanda a una piattaforma di vendita piuttosto nota. Lo scatto è di Shobha, risale agli anni ’80 e, secondo le informazioni fornite dalla casa d’aste, si tratta di una «Stampa vintage alla gelatina ai sali d’argento cm 40,3 x 30,3 (cm 33,4 x 22,7 immagine). Titolata a penna blu con timbro della fotografa al verso». La stima è compresa tra i 300 e i 400 euro. Una miseria. Per la fotografa questo è un furto. E invita i colleghi a verificare sul portale, avendovi rintracciato anche lavori di Gianni Berengo Gardin.

Shobha chiarisce, in un secondo momento, di non aver «mai dato questa foto a nessuno, è stampata pure male, quindi è stata opera di qualcuno che lavorava da noi; è successo purtroppo di trovare foto mie e di mia madre vendute ai mercatini o alle aste senza il nostro permesso». Gli scatti in vendita sono stati presi dallo studio, magari uno, due o tre decenni fa: «Sono prove di stampa stampate a mano» datate e di piccolo formato che non vende di quella dimensione.

Shobha, Palermo – Ballarò, 1989 (Courtesy Shobha).

L’8 giugno si aggiunge un altro tassello: «Oggi sono riuscita a parlare con qualcuno che gestisce il sito (nostra omissione, ndr); loro stessi mi hanno consigliato di fare una denuncia postale, ma non mi hanno voluto dire chi fosse il venditore delle mie foto e di mia madre. Ora ho scoperto che ci sono molti fotografi conosciuti e venduti a prezzi stracciati. Ho trovato anche molte foto di mia madre, alcune già vendute, di Franco Zecchin, Josef Koudelka, Gianni Berengo Gardin, Roberto Koch, insomma di tanti fotografi a prezzi bassi». Per Shobha è «una grande amarezza!». Qualcuno commenta: «Ma poi anche questi “collezionisti”: che tipo di autentica avranno avuto, visto che non hanno speso 10-50,00 euro. Erano almeno firmate in originale? Spendono incautamente? Secondo me andrebbero rintracciati come testimoni. Chiedere a (nostra omissione, ndr) non solo un risarcimento morale e per furto, ma calcolare con il legale anche quanto devono rendere di diritti sul venduto». C’è chi propone una riflessione: «Sarebbe interessante sapere se la casa d’aste ha effettuato la cosiddetta due diligence per verificare l’autenticità delle opere e le opportune verifiche sulla provenienza, sull’esistenza di un titolo d’acquisto valido, il titolo di possesso, i passaggi antecedenti, fino a risalire alla prima cessione da parte dell’artista. Sarebbe interessante sapere se nelle vendite effettuate dalla casa d’aste, viene osservato quanto viene espresso sul diritto di seguito. Esistono realtà molto rigide in ambito di aste, che investono tempo e denaro per queste verifiche. Esistono collezionisti seri che vendono e acquistano in trasparenza. Non comprendo perché (nostra omissione, ndr) non ti abbia comunicato il nome del venditore. Forse basterebbe una richiesta scritta da chi è erede dell’artista e per i 70 anni successivi alla sua scomparsa, ha diritto di esercitare tutti i diritti che tutelano le opere realizzate da un autore. È veramente triste quello che è successo perché ci sono delle ambiguità gravi da chiarire e perché è sconvolgente l’ignoranza di alcuni operatori del settore. Si opera in un campo di cui si disconoscono le regole e a rimetterci sono gli autori, i collezionisti che si affidano ad alcune realtà assolutamente inadatte a svolgere alcuni compiti e si danneggia pesantemente un settore».

A questo punto, Shobha pubblica il testo della mail ricevuta dalla casa d’aste: «Gentilissima, la ringrazio molto per la mail. Abbiamo contattato il venditore delle sue fotografie, ma ci ha comunicato di averle acquistate anni fa presso un fondo fotografico. Il nostro consiglio, qualora siano state precedentemente sottratte indebitamente, è quello di esporre denuncia ai Carabinieri. Lo stesso per quanto riguarda le fotografie di Letizia Battaglia (quelle che abbiamo avuto in asta gli anni scorsi sono state affidate da molteplici proprietari). Ringraziandola, resto a disposizione per qualsiasi necessità e la saluto cordialmente». E qualcuno dei partecipanti al dibattito social avanza due scenari in cui gli scatti si potrebbero essere “persi”. Il primo: «Le foto sono state trafugate da qualche ufficio-foto di qualche redazione e vendute (senza autorizzazione degli eredi)». Il secondo: «Trafugate da qualche deposito dove erano state sistemate dopo una mostra e mai riprese. E anche in questo caso nessuno è autorizzato a vendersele se non gli eredi».

Shobha, Cerda (Courtesy Shobha).

E siamo al 10 giugno. Al mattino Shobha condivide l’opinione di Franco Zecchin, per quasi due decenni compagno di lavoro e di vita di Letizia Battaglia: «Ti ringrazio per la segnalazione. Avevo già contattato (nostra omissione, ndr) nel 2020 del sito (nostra omissione, ndr) per una questione simile e ho ricevuto lo stesso tipo di risposta. (nostra omissione, ndr), in quanto intermediario, scarica le responsabilità su chi gli ha affidato le fotografie, il quale, firmando un contratto di mandato a vendere, dichiara di esserne il legittimo proprietario. Purtroppo non ci sono mezzi per impedire vendite all’asta e su Internet di stampe acquisite indebitamente, un traffico illecito che danneggia molti fotografi. Una denuncia ai Carabinieri rischia di non aver nessun seguito: non conosciamo i nomi dei “proprietari” che hanno affidato le foto alla casa d’aste e non abbiamo le prove che giustifichino una denuncia di appropriazione illecita. L’unica richiesta che potrebbe avere un effetto è quella di farsi pagare i diritti di pubblicazione delle foto sul catalogo, diritti che non sono mai stati ceduti e che restano di titolarità dell’autore».

Qualche ora più tardi arriva anche la voce di Roberto Koch, fondatore e presidente della Fondazione Forma per la Fotografia di Milano: «La questione, cara Shobha, è che si approfittano tutti di leggi inesistenti. In Francia per una cosa del genere fanno chiudere una casa d’asta. Io ho sentito l’avvocato, ma lui mi ha detto che non si può fare granché. La cosa va avanti da molti anni e in Italia non c’è una legge che ci protegge. Le persone vendono e acquistano senza le garanzie e il mercato è un gran casino. Bisognerebbe requisire (comprare) le proprie opere che ci sono in giro e metterne altre sotto diretto controllo ma il mercato non c’è o perlomeno non per tutti…».

Il problema dunque esiste e da diverso tempo, ma mancano i correttivi e resta l’impotenza dei fotografi d’autore. Abbiamo raggiunto telefonicamente Shobha per saperne di più.

Dalle sue ricerche sembra siano coinvolti molti nomi importanti.
«Tantissimi, da Shirin Neshat ad artisti di arte contemporanea, fotografi e fotografi che non ci sono più i cui figli non sanno cosa fare. È veramente uno scempio. E poi loro (gli operatori delle case d’aste, ndr) sono così sgradevoli: li contatti e riescono a uscirsene in piedi. Non è possibile che nessuno ti difenda, che queste cose continuino a ripetersi ma, da quello che ho capito, non si può fare niente».

Come ha scoperto che le sue foto erano in vendita sul web senza autorizzazione?
«Non è la prima volta, anni fa già mi era successo e avevano oscurato il sito, ma poi ne aprono altri. Lavoro nel giornalismo da 40 anni e, spessissimo, una volta inviate le foto firmate, capita che i redattori non le restituiscano. Quindi all’interno delle redazioni – e so che l’hanno fatto – ci sono persone che si vendono fior fiori di foto. Non c’è come uscirne. Una volta firmate possono dire che le fotografie sono state regalate, se c’è la firma possono dire qualsiasi cosa».

Però la due diligence da parte della casa d’aste, specie da una casa d’aste così importante, sarebbe dovuta…
«Dovrebbero verificare anche se è un fake. Vendono foto a 33 mila euro di Shirin Neshat, un’artista iraniana con cui ho lavorato, scappata dal regime che vive negli Stati Uniti: dovrei chiamarla per dirle che in Italia vendono un suo lavoro? Magari è una foto rimasta a una galleria, presa chissà da chi».

Lei ha un sospetto di come possano essere uscite le sue foto?
«Ce l’ho. Lavoravamo in gruppo, eravamo tanti fotografi del giornale L’Ora negli anni Ottanta-Novanta. C’era mia madre, Franco Zecchin, io e altri. Venivano persone a fare corsi in camera oscura e le nostre foto erano ovunque. Le immagini che stampavamo dovevano essere firmate per portarle al giornale, altrimenti la redazione poteva attribuirle a un altro. Firmavamo velocemente perché non ci pensavamo (che qualcuno le potesse rubare, ndr). E poi le copie non tornavano. In 40 anni sa quante foto ho fatto? Quante mostre? Quanti workshop? Per ogni foto che vendo c’è sempre un atto che contiene la firma, la data di cessione, quando è stata scattata, il tipo di carta su cui è stampata, c’è una testimonianza. Di queste foto non c’è nulla».

Cosa le rispondono le case d’asta?
«Per la privacy non possono fornirmi i nomi dei venditori, ma dicono che le foto sono state comprate in un piccolo mercatino o durante un’asta di beneficienza. Cazzate. Da loro non si riesce a risalire ai responsabili. L’unico strumento a tutela potrebbe essere una legge che imponga per ogni fotografia, venduta o regalata, un certificato».

È più l’amarezza o la rabbia?
«A me dispiace che un fotografo, che già fa una vita dura, non sia protetto. Quelli della generazione di mia madre e della mia, che ho quasi 70 anni, dovevano fare reportage e le foto erano uniche, scattate in un preciso momento e non si potevano ripetere. Non era il bel paesaggio. Mi fa male che non siamo tutelati. Solo questo. Anche perché chiami le case d’aste e quasi ti deridono: non c’è rispetto per il fotografo. Magari c’è per l’artista di arte contemporanea, ma non per il lavoro del fotografo, nemmeno per quelli che hanno fatto cronaca. C’è la voglia di ribellarsi a un sistema obsoleto».

Può essere che i fotografi professionisti stessi non abbiano avuto la capacità di fare fronte comune e pretendere una normativa ad hoc?
«Tra fotografi c’è molta competizione. Mia madre è stata massacrata dai suoi colleghi, poi è morta ed è diventata la regina. Anche quelli che prima scrivevano schifezze – ho conservato tutto – mi chiamano per elogiarla. L’essere umano non è portato a fare gruppo».

E i giornali?
«Nemmeno quelli ti proteggono: se mi arrestavano, dovevo cavarmela da sola. I fotografi che ora fanno reportage di guerra si autofinanziano, i giornali non pagano più. È cambiato tutto, da dieci anni a questa parte».

I giovani fotografi come si muovono in questo tipo di mercato?
«Sono in balia dei monsoni, non si sanno muovere e non sono tutelati. Mettono una foto su Instagram e dopo un po’ la trovano firmata da un altro. Il copyright oramai non ha più valore, ce l’ha solo se ormai hai un nome. Sto pensando anche come tutelare mia mamma, che non c’è più, e non so quanti siti dovrei querelare…»

Quanti giornalisti l’hanno contattata dopo la sua denuncia su Facebook?
«Nessuno».

Letizia Battaglia, Ospedale psichiatrico (Courtesy Shobha).

Nel frattempo le foto di Letizia Battaglia, quelle autorizzate, viaggiano e sono esposte in diversi luoghi: a Trani è stata prorogata al 30 giugno 2023 la mostra Letizia Battaglia. Testimonianza e narrazione; a Parigi, presso l’Istituto Italiano di Cultura, è in corso Letizia Battaglia. Chronique vie Amour fino al 15 settembre 2023; nel sottoporticato del Palazzo Ducale di Genova si trova Letizia Battaglia sono io fino al 1° novembre 2023; e alle Terme di Caracalla a Roma fino al 5 novembre 2023 l’omaggio a Letizia Battaglia. Senza fine.

Exit mobile version