Nulla è tanto dolce quanto la propria patria e famiglia, per quanto uno abbia in terre strane e lontane la magione più opulenta
(Omero)
Da un po’ di tempo stiamo assistendo – fortunatamente – ad iniziative tese alla restituzione di beni culturali da parte dei musei in favore dei luoghi di origine da dove sono stati sottratti. Iniziative promosse da importanti istituzioni museali come il British Museum e i Musei Vaticani per i resti del Partenone; dallo Smithsonian Institute di Washington e dell’Horniman Museum di Londra per oggetti antichi di origine africana. Importanti case d’asta hanno deciso di intraprendere analoghe azioni per quanto riguarda la restituzione delle opere trafugate dai nazisti. Insomma, il momento sembra essere propizio per dare concretezza a pratiche virtuose fino a pochi anni fa scarsamente adottate, in particolare oltreoceano.
Si va superando il concetto legato all’acquisto in buona fede di quei beni che, in realtà, sono stati saccheggiati o acquisti attraverso procedure opache. Lo Smithsonian, che ha nelle sue collezioni milioni di oggetti, ha creato ad esempio un’apposita commissione che, in base a criteri etico-scientifici, incentiverà il ritorno di beni con una modalità più rapida e meno complessa a livello burocratico rispetto al passato.
D’altro canto sarebbe importante che i contesti di origine, attraverso azioni coordinate tra istituzioni di tutela, enti di ricerca ma anche di cittadini attivi operino nel formulare richieste puntuali di restituzione in funzione di una successiva, quanto proficua, valorizzazione.
In Italia, ad esempio, sono molti i siti archeologici che in passato sono stati depredati. Spesso però non sono stati effettuati studi ad hoc o approfondimenti storici per delineare le dinamiche e i personaggi responsabili del prelievo indebito. L’annosa questione è legata in primis ad una conoscenza superficiale, alla mancanza di censimento e catalogazione. Queste attività benemerite, purtroppo, non vengono attuate sempre con la necessaria incisività e continuità.
Le istituzioni museali potrebbero, per facilitare questi lavori, rendere pienamente fruibili le loro collezioni, comprese quelle stipate nei magazzini, pubblicandole sui propri siti on line e sui social network, contesti ove già diffondono, peraltro, altri contenuti.
A riguardo potrebbe essere molto utile conformarsi, laddove non già attuato, agli standard ICOM creati sin dal 1997:
• misurazioni;
• iscrizioni e segni;
• caratteristiche distintive;
• titolo;
• soggetto;
• data o periodo;
• autore.
È fondamentale la documentazione fotografica, la corretta identificazione degli elementi poc’anzi elencati, corredati da una descrizione puntuale e da eventuali informazioni aggiuntive.
Qualcuno potrebbe storcere il naso, avanzando motivazioni di privacy o di altra natura. È noto, ne abbiamo parlato spesso anche su questo giornale, con riferimento alle indicazioni di UNESCO, OMD, ma anche dei corpi di polizia aderenti ad INTERPOL, come sia centrale la documentazione per attuare la prevenzione e il contrasto riguardo la dispersione e la sottrazione di beni d’arte. La documentazione è indispensabile per assicurare la tutela dei beni culturali, per il fatto che raramente si recuperano e restituiscono oggetti non fotografati e/o adeguatamente descritti. Tale necessità è altresì dimostrata dal fatto che gli organi di controllo, di frequente, affidano in custodia a musei o alle strutture ministeriali della cultura numerosi oggetti recuperati nel corso delle operazioni, ma che non possono essere ridestinati correttamente perché difetta la presenza di riscontri documentali utili all’identificazione delle parti lese.
Altri potrebbero altresì sostenere che è sistematicamente necessario l’intervento dell’autorità giudiziaria per dirimere le controversie sulle restituzioni. Certamente l’azione giudiziaria deve focalizzarsi sull’accertamento delle condotte criminose. L’azione restitutoria, nell’ambito del procedimento penale, si colloca in un secondo momento, ovvero quando il quadro probatorio è chiaro e sono state identificate le responsabilità e le connesse istanze di restituzione valutate dopo un preciso riconoscimento. Questo avviene nell’ordinaria amministrazione. Tuttavia, è abbastanza frequente che le condotte criminali, quali sottrazioni e violazioni ad esse collegate, siano remote nel tempo, per cui sono andate prescritte o non siano state valutate attentamente, nel caso ad esempio dei reati transnazionali, per cui l’azione giudiziaria, mediante rogatoria, non viene autorizzata o non sortisce esito positivo. Si pensi, su tutti, al noto caso dell’Atleta di Fano, oggetto di confisca definitiva da parte della magistratura italiana, contestata dalla controparte, il Getty Museum di Malibu, che si è costituito davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a tutela dei propri diritti legati essenzialmente a dimostrare la propria buona fede quale presupposto per mantenerne la proprietà. Se, al pari di altri musei, la direzione del Getty fosse stata più sensibile? Di fatto, avrebbe potuto già restituire il bene, al netto delle schermaglie giudiziarie.
Riflettiamo su questo aspetto secondo il concetto per cui vi è una giustizia “giusta” che va oltre l’ordinario. Su quest’ultimo frangente si dovrebbe agire valendosi, in senso più ampio, della cosiddetta diplomazia culturale. Questa buona pratica, che si sta evolvendo nell’ambito delle relazioni internazionali, si muove in un contesto di cooperazione multilaterale, soprattutto nelle democrazie più progredite che condividono un’agenda globale in termini di governance. Ѐ l’affermazione del principio del soft power che passa attraverso l’orizzonte culturale, influenzando le scelte degli Stati nei rapporti di potere sotto l’egida della pace, utile per suggellare alleanze e mediare conflitti.
È un paradigma che ha radici lontane, nella Roma imperiale, passando per le talassocrazie, il rinascimento e il colonialismo, fino al ruolo che, in questo campo, hanno assunto gli USA nella veste di superpotenza mondiale sin dal secolo scorso. Un ruolo che si è sviluppato attraverso l’industria cinematografica e di iniziative artistico-culturali connesse ai media e alla rete. In tal senso, l’Agenda 2030 dell’ONU comprende la diplomazia culturale nei diciassette Sustainable Development Goals, riconoscendone il ruolo chiave in ambito internazionale per diffondere pace e sicurezza prevenendo forme di contrasto o discriminazione.
La cultura rappresenta il mezzo privilegiato con il quale ogni nazione può rivendicare il proprio posizionamento a livello internazionale, secondo un elemento di civiltà e di identità valutabili in termini strategici. È di fatto l’affermazione dei principi fondamentali e universali, eticamente vincolanti, richiamati dalle carte dei diritti di molti paesi. La diplomazia declinata in questa modalità, è centrale nell’azione politica che considera la forza attrattiva del proprio patrimonio culturale, per potenziare anche lo sviluppo economico della comunità, nell’ottica di un proficuo interscambio globale.
Opinionista