Gaio Cilnio Mecenate, raffinato e colto uomo romano di origine etrusca, grande amico e consigliere di Augusto, diede vita ad un importante circolo letterario dove poeti e scrittori potevano trovare protezione e finanziamenti per le loro opere. Da allora il suo nome è legato al sostegno di artisti e alla commissione di opere d’arte, e ancora oggi molti si dedicano al mecenatismo. È il caso della Maison Bulgari che nel 2019 ha scelto di finanziare i lavori di recupero dell’importante sito archeologico di Largo Argentina a Roma: è grazie a questo interessamento se oggi un’area a lungo preclusa ai visitatori e in stato di degrado è finalmente accessibile al pubblico.
Il grandioso complesso religioso di età repubblicana venne scoperto durante dei lavori, eseguiti alla fine degli Venti del Novecento, che non avevano nulla a che fare con le indagini archeologiche. In quel periodo l’area aveva una fisionomia completamente diversa ed era caratterizzata da una serie di edifici eretti intorno alla chiesa di San Nicola de’ Cesarini, del XII secolo. Alcune strutture adiacenti alla chiesa mostravano elementi architettonici e colonne pertinenti sicuramente a strutture di epoca romana, ma nessuno immaginava cosa potesse essere nascosto sotto terra. Nel 1917 venne approvata una proposta di variazione al Piano Regolatore del 1909, in base alla quale gli edifici compresi in questa area avrebbero dovuto essere demoliti per realizzare il collegamento diretto tra via Arenula e corso Vittorio Emanuele II ed un nuovo edificio con tre corpi di fabbrica. I lavori di demolizione iniziarono nel 1926 portando alla luce un’enorme area sacra caratterizzata dai resti di 4 templi di età repubblicana. Data l’importanza e l’unicità della scoperta, il progetto iniziale non venne più eseguito, fu revocata la concessione edilizia e i lavori di demolizione si trasformarono in un lungo scavo archeologico diretto e seguito da Giuseppe Marchetti Longhi. Furono portati alla luce i basamenti dei templi e numerosi reperti, tra i quali i pezzi del monumentale acrolito della dea Fortuna, attualmente esposti alla Centrale Montemartini. La grande scoperta non poteva non essere condivisa con la città sfruttandone le potenzialità: ci fu un gran fermento per poter concludere scavi e allestimento entro il 21 aprile 1929, data nella quale si voleva inaugurare il nuovo complesso. I lavori furono coordinati da Antonio Munoz, Direttore della X Ripartizione Antichità e Belle Arti del Governatorato.
Nonostante i numerosi e importanti reperti rinvenuti, comprese teste di statue femminili probabilmente di culto, non fu possibile dare un’identificazione precisa alle divinità ivi venerate. Si decise allora di indicare convenzionalmente i templi con le prime dell’alfabeto, partendo da corso Vittorio Emanuele II si ebbe il Tempio A, Tempio B, Tempio C e Tempio D. Ancora oggi continuano ad essere chiamati così, anche se le ipotesi di attribuzione sono ben note.
Il primo dei quattro ad essere stato realizzato è il Tempio C, eretto agli inizi del III secolo a.C.. Probabilmente si tratta di quello voluto dal console Manio Curio Dentato per celebrare la sua vittoria sui Sabini e per questo dedicato alla dea Feronia, sacra ai vinti e assorbita tra le divinità venerate anche a Roma. Era legata alla fertilità, a ciò che uscendo dalla terra si mostrava alla luce del sole e protettrice di schiavi liberati. La presenza di un tempio in suo onore nel Campo Marzio è riportata dalle fonti almeno dal 217 a.C. e i materiali rinvenuti nei pressi del tempio confermerebbero tale ipotesi.
Il secondo è il tempio A realizzato alla metà del III secolo a.C.. Si pensa possa essere quello edificato per volere del console Gaio Lutazio Catulo in Campo Marzio per celebrare la sua importante vittoria contro i Cartaginesi nel 241 a.C. e dedicato forse alla ninfa Giuturna, donna amata da Giove e che da lui ricevette l’immortalità e il potere di controllare i corsi di acqua dolce e le fonti del Lazio.
Il tempio D, il più grande di tutti e terzo in ordine cronologico, è degli inizi del II secolo a.C. ed è l’unico ad essere in parte conservato al di sotto di via Florida. Le ipotesi per la sua attribuzione sono due e la prima è che potrebbe essere stato dedicato ai Lares Permarini. Questi erano considerati i protettori dei naviganti e a loro si affidavano i marinai quando erano lontani da Roma, creando appositamente un piccolo larario sulla prua delle navi. Il loro culto fu introdotto a partire dal 190 a.C. e le fonti ricordano che un tempio in Campo Marzio fu a loro eretto per volere di Marco Emilio Lepido nel 179 a.C. dopo la vittoria navale presso Capo Mionneso. I Fasti Prenestini, inoltre, ricordano la presenza di un tempio per i Lares Permarini nei pressi della Porticus Minucia. Un’altra ipotesi sostiene che il Tempio D fosse invece dedicato alle Ninfe: le sue grandi dimensioni, nello specifico quelle della cella, ben si sarebbero adattate ad ospitare al suo interno la sede del censo con il relativo archivio. Se così fosse bisognerebbe quindi invertire le identificazioni con il tempio rinvenuto su via delle Botteghe Oscure e considerare quello per i Lares Permarini.
L’ultimo dei quattro edifici di culto ad essere stato realizzato è il tempio B, alla fine del II a.C.. È l’unico ad avere un impianto circolare e un’attribuzione certa alla Fortuna huiusce diei, la Fortuna del Giorno Presente. Venne fatto erigere per volere di Quinto Lutazio Catulo per la vittoria del 101 a.C. conseguita contro i Cimbri e che segnò la loro definitiva sconfitta. L’identificazione è stata fatta sulla base del rinvenimento nei pressi del tempio stesso delle grandiose parti dell’acrolito di Fortuna che furono immediatamente portate via dal sito per essere esposte, a differenza di tutte le altre parti di statue, più o meno colossali, che vennero invece lasciate in situ.
A seguito del grandioso incendio dell’80 d.C., che danneggiò anche questa area, l’imperatore Domiziano fece restaurare gli edifici e costruire sulle macerie una nuova pavimentazione in lastre di travertino, dalla quale emergevano le scalinate dei templi, dando l’idea di un unico grande complesso. Dal V d.C. secolo tutta la zona iniziò ad essere abbandonata e, tra VIII e IX sec. d.C., si impostarono nuove strutture, compreso il primo impianto della successiva chiesa di S. Nicola de’ Cesarini, dedicata nel 1132.
Nonostante la grande importanza storica e archeologica e la presenza, alle spalle del Tempio B, dei resti della Curia di Pompeo, luogo dell’assassinio di Giulio Cesare, quest’area con il tempo è stata chiusa, resa inaccessibile e di conseguenza abbandonata al degrado: con gli anni è diventata famosa non tanto per il suo passato ma per la presenza della più antica colonia felina della città.
Grazie però all’opera di mecenatismo della Maison Bulgari è stato possibile intraprendere nuovi lavori, durati circa due anni, che hanno interessato le indagini archeologiche, il posizionamento della pavimentazione domizianea su strutture metalliche e tutte le operazioni necessarie a rendere il sito fruibile e accessibile a chiunque. Elemento centrale è stata la creazione di una passerella lignea reversibile, una struttura non invasiva che non impatti sullo stato di conservazione delle strutture antiche, realizzata con materiali idonei a non danneggiare quello che si trova al di sotto, e soprattutto priva di barriere architettoniche. Si è voluto che l’accesso fosse possibile a tutti e per questo è stata creata una pedana elevatrice a cabina aperta accanto all’ingresso che permetta di scendere al piano archeologico e di poter percorrere la lunga passerella senza ostacoli o salti di quota.
Tutto il percorso è corredato da pannelli esplicativi con disegni ricostruttivi dell’area ed è formato da elementi legati tra loro. Il primo è una passeggiata sulla passerella lignea di fronte ai poderosi resti dei Templi A, B e C per poi proseguire al di sotto di via Florida. Qui è possibile, entrando nella prima delle due aree espositive, ammirare parte del basamento e della gradinata antistante del Tempio D, il più grande e maestoso tra i quattro.
Si ritorna poi sui propri passi per poter accedere all’area espositiva più grande, allestita negli ambienti posti al di sotto di via S. Nicola de’ Cesarini. Anche qui la visita prosegue seguendo la pedana che caratterizza il sito e si possono ammirare una serie di materiali selezionati, tutti provenienti da questo contesto archeologico. La scelta dei reperti da esporre è stata difficile soprattutto per l’elevato numero di oggetti ritrovati, spesso fuori contesto originario: non va infatti dimenticato che a poca distanza da quest’area, nelle adiacenze della Crypta Balbi, è stata rinvenuta una calcara di epoca carolingia, utilizzata per polverizzare marmi di ogni tipo che venivano accatastati in aree a poca distanza. La scelta si è basata sul criterio di mostrare materiali, divisi per tipologia e rinvenuti nel sito stesso, per rinsaldare lo stretto legame tra luogo di rinvenimento e luogo di esposizione, volto a ricostruire una parte importante della storia di questa porzione di tessuto urbano.
Il progetto di riqualificazione dell’area ha interessato anche la limitrofa Torre del Papito con l’annesso portico moderno: al piano terra della torre è stata allestita la biglietteria mentre nel portico sono stati esposti i capitelli di parasta provenienti dalla chiesa di San Nicola de’ Cesarini: la scelta di porli qui, invece che nell’area archeologica vera e propria, è stata fatta in base alla volontà di mantenere la quota originaria di questi materiali.
Va infine sottolineato che la volontà di rendere inclusiva l’intera area ha portato a ideare un percorso anche per i visitatori non vedenti e ipovedenti, con la realizzazione di due pannelli tattili caratterizzati dalla riproduzione planimetrica dei singoli edifici e da testi in italiano e in inglese. Inoltre nella sezione espositiva sotto via San Nicola de’ Cesarini sono state posizionate due riproduzioni di opere esposte scansionate in 3D: si tratta di una lastra con uccellino che becca un frutto e la testa di culto femminile, in formato minore dell’originale, probabilmente rappresentante Feronia.
Consegue a pieni voti la laurea in Lettere Antiche con Indirizzo Archeologico presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” con una tesi in Metodologia e Tecnica della Ricerca Archeologica. Successivamente, consegue il Diploma di Specializzazione in Archeologia Classica presso l’Università La Sapienza di Roma con una tesi in Teorie e Tecniche del Restauro Archeologico. Ha approfondito gli studi inerenti al Patrimonio Culturale e la sua tutela e difesa attraverso l’analisi dell’Operazione Ifigenia del CC TPC. Dal 2004 si occupa di assistenza archeologica, di direzione di scavi archeologici e della redazione della relativa documentazione. Ha partecipato a missioni archeologiche in Giordania presso il sito di Wadi Useykhim. Dal 2012 al 2016 ha collaborato occasionalmente con il Museo Civico Archeologico di Albano Laziale. Dal 2014 al 2016 ha rivestito il ruolo di socio fondatore e vice presidente dell’ associazione culturale Honos et Virtus e per il sito www.honosetvirtus.roma.it, ha curato la rubrica “Recensiones”. Dal 2017 è socio fondatore e vice presidente dell’associazione culturale no profit Niger Lapis. Dal 2018 ricopre il ruolo di OS 25 e da giugno 2021 collabora con Munus srl come operatore didattico presso Musei Capitolini, Mausoleo di Augusto, Ara Pacis e Mercati di Traiano. Ѐ iscritta nell’elenco nazionale ai sensi del DM 20/05/2019 n. 244 per il profilo di “Archeologo di I Fascia” ed è iscritta con il n. “RM – 2472” nel ruolo di Periti ed Esperti Sezione Unica della CCIAA di Roma per la Categoria XXIV ANTICHITÀ E BELLE ARTI.
Ѐ tra gli autori del progetto “Assassini dell’Arte — I podcast che raccontano le storie dei Crimini contro la Cultura”, patrocinato dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e sponsorizzato da Intesa San Paolo. A maggio 2022 ha ricevuto il Premio “Jean Coste” per la sezione Università – Archeologia.