Perché non parli? Matteo Messina Denaro, il traffico di reperti archeologici, i soldi
In concomitanza con il ricovero ospedaliero in quel de L’Aquila del “catturato de’ catturati”, ora certamente il più braccato dai media, sono filtrate indiscrezioni sul contenuto dell’interrogatorio a suo carico, condotto dai magistrati palermitani lo scorso 13 febbraio. Come da copione, il boss di Castelvetrano nega tutto e non dichiara nulla di nuovo su fatti/reato gravissimi, per cui è già stato giudicato, nega la sua affiliazione alla mafia, auto definendosi semplicemente un “criminale onesto”, in pratica una sorta di novello Robin Hood. La cosa che per certi versi non sorprende, come già ipotizzato anche su queste pagine in occasione del suo arresto, sono le boutade in ambito artistico-archeologico.
Non a caso riferisce di una passione familiare in linea paterna, definendo appunto il padre Francesco un appassionato esperto, a dispetto degli studi condotti, di reperti archeologici in particolare di lekythoi (sic!) e monete antiche. Tutto materiale che a suo dire sarebbe stato scavato ddiuturnamente da altri, soprattutto in quel di Centuripe e Selinunte. Don Ciccio si limitava a proporre questi articoli particolari agli acquirenti interessati, non prima di averli comprati a sua volte direttamente alla fonte. Fra la clientela di Messina Denaro Senior vi sarebbero stati soggetti svizzeri, arabi e statunitensi di cui però non è dato sapere i nomi.
Ma non si era già ampiamente al corrente di questa “mirabile attività” a conduzione familiare allargata?
A me pare di ricordare di sì, anche perché i responsabili di questi traffici sono stati individuati – illo tempore – in varie indagini condotte dalla magistratura romana, in particolare dal compianto Procuratore Ferri, ma anche oggetto di puntuali ricostruzioni giornalistiche: si pensi al filone della cosiddetta “archeologia rubata” curato da Fabio Isman.
Il boss malato non dice nulla di concreto ma allude, probabilmente nel tentativo di suscitare l’interesse di qualcuno o peggio di avviare una sorta di trattativa che partirebbe con i peggiori presupposti. Le ricostruzioni sui fatti dovrebbero essere il più possibile aderenti ad eventi specifici e non a condotte ormai penalmente prescritte, estinte, ascrivibili ad autori non identificati/identificabili e soprattutto ai defunti che, come noto, non sono affatto loquaci a dispetto dei vivi.
Le trattative su questi fronti non hanno portato mai niente di buono, tanto meno chiarezza. Si pensi alla vicenda legata al possibile recupero di alcune tele rubate alla pinacoteca di Modena nel ’92, che ha visto coinvolti mafiosi a suoi tempi membri e collaboratori dei servizi segreti e appartenenti alle forze dell’ordine, che hanno poi dovuto deporre in più processi collegati, anche per fatti gravissimi come le stragi, come emerso dalle risultanze della “prima trattativa stato-mafia”.
Corsi e ricorsi? Tentativi di manipolazione e sviamento dell’opinione pubblica? Un banale riempire le pagine di giornali e telegiornali nel periodo estivo, tradizionalmente meno caratterizzato da notizie più pregnanti?
Stiamo attenti dunque a non farci fuorviare e soprattutto a sottovalutare. Dopotutto, queste dichiarazioni ammettono la commissione di reati ancorché datati nel tempo, di fatto molto edulcorati da pratiche di neutralizzazione delle condotte a cui ricorrono i criminali, specie quelli più incalliti e pericolosi, che negano pervicacemente la loro colpevolezza.
È necessario concentrarsi sui beni ancora da ricercare o comunque su quelli possibile provento di reato in relazione a quella specifica area geografica. Probabilmente bisogna indagare meglio su questo e porre molta attenzione su quei casi per cui l’origine e la provenienza di un reperto archeologico e/o di una moneta antica non sono chiaramente provati da documentazione. È l’annoso problema dell’origine e della provenance. Dal punto di vista operativo è necessario attivare ulteriori fonti informative, aggiornare le banche dati ed effettuare controlli su scala internazionale. Insomma, il lavoro per le forze di polizia, in particolare per quelle specializzate nel contrasto ai crimini contro il patrimonio culturale, non manca e non mancherà. Se vi saranno successi significativi in questo ambito sarà merito anzitutto degli investigatori che operano sul campo, dei magistrati, degli operatori amministrativi della tutela e degli studiosi/esperti di settore, che vi si dedicano con spirito di servizio e professionalità, non certo di “spifferate interessate”.
Si potrebbe infine – passatemi la provocazione – interrogare i singoli reperti e sperare che rispondano il vero, confidando nell’esito positivo di una mirata attività di recupero e restituzione.
Opinionista