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Furto al museo. Il British e la “fuga” di reperti

British Museum
(Tempo di lettura: 3 minuti)

Goodbye, my London town!

(dal film “Fumo di Londra” con A. Sordi)

La notizia ha fatto il giro del pianeta. Uno dei più celebri musei, certamente la più prestigiosa istituzione culturale britannica, è al centro di un’indagine di Scotland Yard, per la sparizione di numerosi oggetti facenti parte di collezioni storiche. Un dipendente è già stato licenziato. Hartwig Fischer, direttore dal 2016, si è dimesso oggi. Pare siano in corso ulteriori accertamenti: ci saranno altre sorprese?

I beni – si parla di circa 1500 pezzi del valore di milioni di sterline – sarebbero principalmente oggetti in oro, preziosi risalenti ad un periodo che va dal XV a.C. al secolo XIX. Si tratterebbe di reperti non esposti al pubblico, conservati per motivi di ricerca e studio.

Vi sono tutti i contorni per uno scandalo clamoroso, che potrebbe allargarsi a causa della prolungata mancata attenzione e vigilanza della direzione della struttura, che per anni non avrebbe protetto adeguatamente i beni. Per questo è già stata avviata un’inchiesta interna per far luce sull’accaduto e adottare più adeguate misure di sicurezza a favore della struttura e delle collezioni di cui molte, comprese quelle sottratte, pare non siano mai state assicurate.

L’aspetto che più sconvolge è che il dipendente infedele, conservatore museale per più di trent’anni, avrebbe agito praticamente indisturbato e per lungo tempo. Dalle prime indiscrezioni risulterebbe aver venduto alcuni di questi oggetti a importanti case d’asta e dal 2016 ne avrebbe posti in vendita anche mediante una nota piattaforma commerciale on-line: incredibile!

L’imbarazzo delle autorità preposte è forte e a poco, se non a nulla, serve la manifesta volontà, invero drammaticamente tradiva, di recuperare gli oggetti. I gioielli sono tra quei beni che purtroppo, salvo rari casi, rischiano di non essere rintracciati in quanto facilmente tagliati, fusi e rivenduti sul mercato illegale.

La delusione per quanto accaduto è profonda, soprattutto tra gli addetti ai lavori. Il British Museum è stato valutato fino a ieri un esempio virtuoso, un modello da imitare per la capacità di valorizzazione, lungimiranza e sensibilità culturale, con particolare riguardo al tema delle restituzioni di beni legati all’epoca del colonialismo britannico.

Questo evento, tuttavia, deve farci riflettere in ottica di più ampio respiro. A questo punto, è lecito chiedersi se i beni siano davvero al sicuro in tutti i musei che, di base, dovrebbero garantire un certo grado di custodia. Va ricordato in questo senso che vi sono degli standard internazionali condivisi, basati su criteri tecnico-scientifici, concernenti il corretto funzionamento dei musei che fanno riferimento anche codice deontologico di ICOM e di realtà associative analoghe di minore diffusione:
– status giuridico;
– assetto finanziario;
– strutture;
– personale;
– sicurezza/gestione delle collezioni;
– rapporti con il pubblico e servizi.

In questo caso le raccomandazioni sono state evidentemente disattese, soprattutto per quanto attiene il personale e la sicurezza della gestione delle collezioni, che rappresenta l’attività principale di ogni museo e si basa su presupposti imprescindibili. Si presume perciò che le collezioni siano opportunamente incrementate e non depauperate. La conservazione dei beni, parimenti, dovrebbe essere perciò assicurata mediante un’adeguata collocazione, in spazi idonei e sicuri. Il personale dedicato dovrebbe essere qualificato, costantemente formato, indirizzato e in numero tale da far fronte alle esigenze della sede, per assicurare la preservazione degli oggetti attraverso la corretta catalogazione/documentazione e la periodica inventariazione.

Insomma, anche un’istituzione longeva e granitica come il British Museum vacillaa, fallisce proprio nella mission, dopo aver superato, più di venti or sono, problemi finanziari e tagli di personale (avessero fatto il “taglio all’inglese”, quello giusto? Sic!). Sarà anche questo un evento da ascrivere alla “maledetta contemporaneità”? Probabilmente no. Le vicende umane sono, nella sostanza, da sempre le stesse, si ripropongono con alcune varianti superficiali, in concomitanza dello scorrere inesorabile del tempo.
Del resto l’”Albertone nazionale”, quasi 60 anni fa, col film Fumo di Londra, da lui magistralmente diretto e interpretato, ci aveva avvertiti: certi miti sono destinati probabilmente ad un inesorabile quanto squallido tramonto.

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