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L’oro degli dèi e dei mortali. Le opere d’arte depredate dai nazisti alla luce della contemporaneità

Hermann Goring
(Tempo di lettura: 6 minuti)

La triste verità è che molto del male viene compiuto da persone che non si decidono mai ad essere buone o cattive

(Hannah Arendt)

Dal 1 al 6 settembre 1939, la Germania nazista attuò il piano di invasione della Polonia. Il cosiddetto blitzkrieg fu l’azione spavalda, di fronte al mondo, di una compagine guerrafondaia e criminale, che cercò di legittimare l’iniziativa con la propaganda e la comunicazione distorta, per mascherare i reali obiettivi di un piano preordinato e liberticida.

Negli stessi giorni Hitler annunciò al Reichstag che il suo successore sarebbe stato Hermann Göring, un nazista senza scrupoli sin dalla prima ora, con una fama di combattente, che aiutò il dittatore nell’ascesa al potere sfruttando le proprie aderenze tra le file delle forze armate, frustrate dalle clausole postbelliche del trattato di Versailles (1919). Per la sua affermazione pesarono molto la reputazione che si guadagnò per le schermaglie aeree della I GM, nella stessa squadriglia di Manfred von Richthofen (il Barone Rosso) e gli stretti contatti con le alte sfere imprenditoriali, industriali e politiche della Germania dell’epoca.

Un vero e proprio genio del male che accumulò cariche e privilegi come pochi. Condannato a morte a seguito del processo a Norimberga per crimini di guerra e contro l’umanità, si suicidò prima dell’esecuzione della condanna. Si dice che non avrebbe sopportato l’onta di essere impiccato alla stregua di un delinquente comune.

Ne parliamo su queste pagine perché tra le tante nefandezze che commise ve n’è una che lo ha contraddistinto in modo peculiare: il saccheggio di opere d’arte.

Göring diede disposizione di requisire il maggior numero di opere, attuando un disegno scellerato, concordato con Hitler sin dal 1933. Tra le acquisizioni durante il conflitto armato, assunse rilevanza il conseguimento di questo specifico target, in parallelo all’avanzata delle truppe. L’accaparramento dei beni d’arte era ritenuto necessario per supportare una politica culturale che portasse prestigio al III Reich. La Polonia, in questo senso, rappresentò il primo banco di prova. Nel giro di pochi mesi, gli incaricati di Göring si impossessarono di gran parte del patrimonio artistico polacco. Sfrenato collezionista, il potente gerarca fu il dominus di una strategia sistematica, finalizzata a confiscare d’autorità il patrimonio artistico degli stati occupati, facendo in modo che una parte delle opere confluisse nella sua esclusiva disponibilità.

Va sottolineato che tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il contributo determinante di un apparato appositamente creato, per la disponibilità di ingenti risorse e di contatti internazionali con altri soggetti, in particolare mercanti d’arte spregiudicati, interessati all’acquisizione diretta dei beni o dagli utili derivanti dall’attività di intermediazione. Questo è un aspetto cruciale per una giusta ricostruzione dei fatti, per delineare correttamente le responsabilità politiche di regime e personali, evitando che la portata e le conseguenze negative di questi delitti si dissolvano col tempo o peggio infanghino la memoria collettiva e il senso di giustizia.

Göring non fu l’unico nazista ad organizzare queste squallide imprese. Non furono da meno il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, al vertice della Wermacht e l’ideologo generale delle SS Alfred Rosenberg, ambedue processati e condannati a morte a Norimberga (1946).

Keitel, durante la campagna di Francia (1940), ordinò al generale von Bockelberg, comandante della piazza di Parigi, di prelevare, oltre i beni d’arte di proprietà dello Stato Francese, anche le opere e i documenti storici privati, in particolare degli ebrei. Questa vera e propria espropriazione, fu attuata per assicurare alla Germania nazista una sorta di pegno per eventuali negoziazioni diplomatiche. Il comando tecnico dell’operazione fu affidata Otto Kummel, direttore generale dei musei tedeschi, che ne sottolineò l’importanza definendola come una sorta di compensazione per le spoliazioni subite durante il periodo napoleonico (sic!).

A queste attività partecipò attivamente l’unità creata da Rosenberg, denominata ERR (Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg), che aveva il compito di saccheggiare ogni oggetto che avesse una rilevanza culturale per il Fürehr, che ambiva fondare nella sua città natale un museo intitolato a sé stesso, che raccogliesse tutti gli oggetti più pregiati reperiti in giro per il mondo. L’attività dell’ERR proseguì per tutto il periodo del Secondo Conflitto mondiale, in tutti quei contesti che hanno visto le truppe naziste come occupanti dei vari territori conquistati.

Pare che Göring si vantasse con il suo entourage delle azioni che fecero crescere a dismisura il valore economico del suo patrimonio privato, stimato in più di 50 milioni di marchi tedeschi. È noto altresì che per il trasporto delle opere impiegò convogli ferroviari composti da decine di carrozze. Dopo un primo esame dei suoi esperti di fiducia, Walter Hofer e Bruno Lose, pare venissero stipati oggetti preziosi di ogni genere, che lo stesso Reichmarschall si riservava di valutare personalmente, ambendo di costituire la più grande raccolta di beni d’arte della storia, da custodire nella sua dimora di caccia, il castello di Carinhall nel Brandeburgo.

Talmente tronfio delle sue diavolerie, fece realizzare un catalogo degli oggetti indebitamente prelevati. I beni trafficati dall’Italia furono numerosi. A volte perfino omaggiati sotto varie forme da Mussolini a Hitler (si pensi al ritratto equestre di G.B. Doria di Rubens), a dispetto dei vincoli della legge Bottai già vigente (1939) e delle strombazzanti quanto blande resistenze del ministro degli esteri Galeazzo Ciano e di Rodolfo Siviero, che ne recupererà successivamente alcuni, a cannoni spenti.

Tra queste, nel 1943, anche le opere depredate e Capodimonte e a Montecassino, che Göring fece spedire alla miniera di Altaussee come beni di sua proprietà, probabilmente con l’intento di utilizzarle come contropartita per la sua stessa incolumità, vista la piega che stava prendendo il conflitto sui vari fronti.

In effetti le centinaia di migliaia di beni, sequestrate in gran parte a famiglie di origine ebraica, furono impiegate in trattative particolari o poste in vendita come “arte degenerata” tramite intermediazioni elvetiche. In Italia, già prima dell’armistizio, furono esportate illecitamente molte opere. Fra queste, proprio per lusingare Göring e i vertici nazisti, il più celebre fu il Discobolo Lancellotti.

Dopo l’8 settembre venne istituita la Kunstschutz, l’ennesima commissione speciale nazional-socialista per la protezione della cultura, con lo scopo di custodire in luoghi idonei, previo inventario, i dipinti, le sculture e i documenti storici italiani. Tutti questi pezzi furono caricati su automezzi, depositati in contesti provvisori e, dopo una prima selezione, spediti in Trentino-Alto Adige o in Germania.

L’Italia, a seguito dell’adesione alla Dichiarazione di Londra, avanzò richiesta di restituzione delle opere requisite dalla Germania. Nel 1946 fu creata la Delegazione per le restituzioni, guidata da Siviero, che nel corso degli anni riuscì a riportare in patria 141 opere. Vi è da dire che la Germania, dopo il secondo conflitto mondiale, fu posta sotto il controllo delle potenze occupanti: Francia, Gran Bretagna, URSS e USA.

I due “scagnozzi” di Göring, per ottenere sconti di pena a seguito delle malefatte compiute, collaborarono con gli USA segnalando i nascondigli in cui erano state occultate alcune opere oggetto di spoliazione. I due, dopo aver scontato condanne esigue, continuarono a svolgere la loro attività di antiquari, come del resto altri personaggi invischiati a vari livelli in questi traffici illeciti. Il lavoro di recupero dei beni depredati dai nazisti continua ancora oggi sotto varie forme ed è certamente un’attività benemerita che dovrebbe essere condotta anzitutto dagli Stati nazionali, attraverso le istituzioni di riferimento in conformità con le leggi nazionali, i trattati internazionali e gli accordi bilaterali.

Il nazismo, la guerra e gli eventi collegati sono stati materia di numerose ricerche storiche, di libri, di film. L’obiettivo principale è comprendere e spiegare, soprattutto alle future generazioni, i motivi per cui in passato si siano verificati questi eventi drammatici che, oltre il sacrificio di milioni di vite umane, comportarono la dispersione e purtroppo anche la distruzione del patrimonio culturale ovvero la prima testimonianza di una civiltà. Nel caso di Göring, come risulta da alcuni saggi, tra i quali Le Catalogue Goering edito da Flammarion (2015), si parla di vicende legate al traffico di 1376 dipinti, 250 sculture e 168 arazzi, sottratti durante la campagna di Francia.

Non dimentichiamo le razzie a scapito della Polonia. In quel contesto furono saccheggiati migliaia di beni d’arte e distrutti 25 musei. Le stime parlano della distruzione di oltre il 40% del patrimonio culturale polacco. Analogo destino riguardò gli altri territori occupati durante altre campagne del conflitto mondiale: Belgio, Lussemburgo e Olanda.

Il castello di Carinhall fu fatto distruggere, nel 1945, su ordine dello stesso Göring, probabilmente per evitare che diventasse una prova della sue bestialità e/o cadesse nelle mani degli anglo-americani o dei russi. Molte opere d’arte in esso custodite furono per questo già trasferite in alcuni nascondigli intorno a Berchtesgaden, località delle Alpi bavaresi, dove furono individuate in seguito dai Monuments Man statunitensi.

Perché parlare ancora di questi eventi? Probabilmente c’è ancora tanto da indagare e ritrovare. Sarà anche la concomitanza con eventi bellici riguardanti la guerra tra la Russia e l’Ucraina, che inducono preoccupazioni per la sorte dei beni culturali di quest’ultima: abbiamo davvero imparato qualcosa dal passato? Sembrerebbe di no. La perversa macchina da guerra continua ad evolversi e ad affermarsi. Il male si annida ovunque e si palesa sotto varie forme, ma nella sostanza poco è cambiato. In un mondo che si proclama, spesso solo a parole, aperto al dialogo, la politica degli stati ricorre ancora alla guerra: è perciò un problema per tutti. L’arma migliore per evitare i conflitti è la cultura. Significa anzitutto adottare una politica responsabile e di mediazione intelligente, coerente con i principi universali, in antitesi con quella di Göring e dei signori della guerra contemporanei: mettere al centro la condivisione dei valori nella diversità. La cultura è il vero oro dell’umanità e non ha prezzo, un aspetto questo che va compreso e sostenuto in ogni favorevole occasione. Sarebbe perciò auspicabile assistere, quanto prima, al crepuscolo definitivo degli dei del male e dei loro servi. Quanto al “tes-oro” non vi sarebbe nessun problema, nella misura in cui tutti ne fossimo attenti e leali custodi.

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