La domanda è: chi non mastica bene la storia italiana del Novecento e le vicende incredibili che hanno segnato le sorti del nostro patrimonio artistico, potrà mai comprende fino ad apprezzare la cura certosina e raffinata della ricostruzione romanzata della figura (molto controversa) di Rodolfo Siviero nel libro di Giorgio Radicati? La risposta è sì, basta avere la pazienza di dedicarsi alla corposa lettura, o al suo ascolto visto che questo è un Meta Libro, a patto che si coltivi un aspetto, argomentato con efficacia, di recente, dal professor Alessandro Barbero durante lo speciale In viaggio con Barbero – Democrazia e dittatura, trasmesso su La7 lo scorso 11 settembre.
«Nei primi anni ’30, con il regime che si stava consolidando e che voleva dare prova di forza, a dimostrazione che il Paese era fascista, fu deciso che tutti i professori universitari dovevano prestare un giuramento, appunto, di fedeltà al Duce e al regime. I professori universitari all’epoca erano pochissimi, non erano i 100mila di oggi, erano qualcosa come 1200 in tutta Italia, una élite ristrettissima anche a livello intellettuale, sociale, e quindi al fascismo interessava far vedere che i professori universitari erano allineati. Ognuno dovette decidere che cosa fare, se firmare o non firmare, e quasi tutti firmarono. Per esempio, ai parecchi professori universitari iscritti al Partito Comunista, che chiaramente era illegale, clandestino però esisteva, il partito disse: “non fate cazzate, giurate. A noi servite lì, dentro le università e non sbattuti fuori, giurate”. Quello che noi fatichiamo a ricostruire è l’enorme pressione della contingenza specifica: tu cosa avresti fatto? E tu, però, chi sei? Sei un soldato di leva? Sei uno studente? Nella tua scuola cosa sta succedendo? Dove abiti esattamente? Tuo papà che lavoro sta facendo? Senza pensare a tutte queste cose, non puoi dire cosa [avresti fatto], perché l’insieme di tutti questi elementi determina una scelta o l’altra. Se il giuramento arrivasse adesso, dopo anni di successo, che sono economicamente tranquillo e quasi in pensione, ne discuterei ovviamente con mia moglie, ma in questo momento potrei anche concedermi il lusso di dire: “no, non giuro. Pensionatemi, andate tutti a fanculo, non giuro”. Se invece il giuramento fosse arrivato quando avevo 28 anni, appena diventato ricercatore universitario, appena sposato e con un bambino appena nato, io non credo che avrei rifiutato».
Valeva per gli accademici, ma in quegli anni schierarsi era, di fatto, richiesto a tutti e a ogni livello: è tenendo presente questa riflessione di contesto e di contingenza – o di convenienza, come nel caso di Siviero – che va approcciato, senza pregiudizio, il suo entusiasmo giovanile e l’adesione al fascismo.
La metamorfosi umana – la vicinanza, il turbamento del giovane Siviero, la messa in discussione del regime, la presa di coscienza, il progressivo allontanamento e il bisogno di riparazione – coinciderà con il passaggio all’età adulta (e il piano di sequestrare Pietro Nenni in Francia) e inciderà in maniera determinante sul recupero delle opere d’arte italiane razziate, estorte e acquistate a prezzi stracciati dai nazisti ed esportate all’estero. Ma questo è solo uno dei quattro filoni narrativi su cui si innesta il lavoro di scavo e di cesello dell’autore: attorno all’indagine psicologica del protagonista, c’è il racconto della Grande Storia attraverso la lingua e la postura mentale di chi è entrato e ha osservato la stanza dei bottoni. Non dimentichiamoci che Giorgio Radicati è un diplomatico di lunghissimo corso, che ha rappresentato l’Italia in almeno tre continenti ed è stato Console Generale a New York, Ambasciatore a Praga e Rappresentante OSCE a Skopje. E poi ci sono le sfumature umane, quelle intime, profonde, inconfessabili, come i vizi, le ossessioni, le fragilità, che caratterizzano – anche di ridicolo – e accompagnano chiunque, specie i potenti, in ogni momento. Nella gioia e nel conflitto, durante la vita e verso la morte. E infine le dissertazioni, frequenti e puntuali, su arte e propaganda, censura e cultura, nazismo e fascismo, economia e società, Mussolini e Hitler, e molto molto altro, che si sostituiscono ai dialoghi. I personaggi non parlano tra loro, tengono lezioni e questa è una scelta tecnica rischiosissima, che potrebbe far abbandonare il libro ben prima delle sue cinquecento pagine. Invece queste “pillole” ci tengono lì, incollati.
Siviero era un impenitente donnaiolo? Vide davvero a Monaco di Baviera la mostra di “arte degenerata”? Mussolini, durante la visita di Hitler alle Gallerie degli Uffizi, veramente intervenne dicendo: «Ben fatto, dell’opera è rimasto evidentemente l’essenziale», a proposito della mutilazione di Leda ed il Cigno di Tintoretto? Non ci interessa più se quello che Radicati scrive sia storia o romanzo, sia finzione o verità, è verosimile, e tanto basta affinché le sue creature si muovano in autonomia e autorevolezza nel loro spazio di realtà per prendere il sopravvento sulle pagine. E su di noi.
SCHEDA
Autore: Giorgio Radicati
Titolo: Agente segreto 1157. La vita romanzesca di Rodolfo Siviero, un formidabile cacciatore di opere d’arte trafugate
Editore: Mazzanti Libri
Anno edizione: 2023
Pagine: 504
Prezzo: E 20,00
Dopo la laurea a Trento in Scienze dei Beni Culturali, in ambito storico-artistico, ho “deragliato” conseguendo a Milano un Perfezionamento in Scenari internazionali della criminalità organizzata, un Master in Analisi, Prevenzione e Contrasto della criminalità organizzata e della corruzione a Pisa e un Perfezionamento in Arte e diritto di nuovo a Milano. Ho frequentato un Master in scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Colleziono e recensisco libri, organizzo scampagnate e viaggi a caccia di bellezza e incuria.