La spada, la gemma e lo specchio. Sulle tracce della katana perduta
“Attraverso gli atti puri si diventa candidi, attraverso gli atti malvagi si diventa sporchi”.
(Y. Mishima)
Il Giappone, per lungo tempo, a torto o a ragione, è stato considerato dagli occidentali il paese dei samurai senza tuttavia, salvo rari casi, approfondirne la peculiare cultura, la storia, i significati e i passaggi epocali che la casta di quei “guerrieri-servitori” ha assunto, nel corso del tempo, per l’Impero del Sol Levante. Una visione superficiale e distorta ci è pervenuta, in maniera massiccia, tramite i contenuti generalisti dell’industria cinematografica, dai fumetti-manga e soprattutto dalle serie di cartoni animati, a partire dagli anni ‘70 , trasmessi anche dalle TV italiane.
Un po’ come è avvenuto per i nativi americani, i samurai sono stati spesso rappresentati cattivi, rozzi, riottosi, spietati e dediti al consumo di alcolici (sake), impegnati in perenni contrasti e sanguinosi duelli.
In realtà i fatti storici rimandano tutt’altro, ma purtroppo la storia nota, per certi versi semplicistica, è solitamente quella scritta dai vincitori, a volte perfino per marginalizzare, se non cancellare, la memoria dei popoli sconfitti seppur caratterizzati da una civiltà millenaria ed evoluta che ha la “colpa imperdonabile” di essere diversa da quella dominante. I “pellerossa” e i “musi gialli” (ndr. per ricordare due espressioni spregevoli e per dovere di cronaca, spero mi perdonerete) sono accomunati per certi versi da un destino analogo. Sono stati bersaglio di attacchi e persecuzioni inaccettabili, di matrice razzista, non dimentichiamolo, anzitutto per onestà intellettuale, ma andiamo oltre.
Teniamo, passatemi la provocazione, il colore giallo, in coerenza con la rubrica di riferimento, per raccontare una storia poco conosciuta, misteriosa, pregna di fascino esotico, che riguarda il patrimonio culturale giapponese, in particolare un simbolo la cui importanza attiene all’essenza più pura e identitaria di quella nazione: la spada.
Per secoli il Giappone è stato teatro di scontri interni ed esterni per il dominio e il controllo dei territori, in un contesto geografico molto complesso e particolare, dove ogni attività umana richiede dedizione e sforzi, anche per procacciare le risorse minime funzionali alla sopravvivenza. Un territorio dove l’ordine e il potere, per più di settecento anni, sono stati in mano agli imperatori e agli shogun (capi militari) che si sono avvalsi dei servigi dei samurai, legittimati a portare ed usare la spada, ormai nota unanimemente fino ai giorni nostri come katana.
Il “mestiere delle armi” ha rivestito un ruolo centrale nella storia giapponese anche in relazione alla sfera religiosa: la dottrina shintoista individua tra gli attribuiti della dea del sole Amaterasu proprio la spada, nata dalla coda del drago. Questo simbolo, insieme con lo specchio e la gemma, rappresenta la suprema autorità ed il potere tramandato dalla dinastia regnante che, secondo la tradizione, discende dalla dea stessa.
Per secoli il culto dei Kami (antenati) ha avuto un ruolo centrale nella società giapponese, soprattutto nel periodo feudale, epoca in cui nelle casate più importanti, proprio il corredo del guerriero (kabuto, yoroi, katana, wakizashi ecc..) ha cominciato a tramandarsi di generazione in generazione, tanto da costituire un vero e proprio oggetto di culto, gelosamente custodito e venerato in appositi spazi nella casa avita.
La spada è divenuta il simbolo eletto nei vari campi della cultura nipponica. La sua presenza e la sua simbologia è entrata nel mito, mantenendo un prestigio indiscusso nel vissuto quotidiano a partire dal periodo Kamakura (1185-1333). Un simbolo intriso di contenuti filosofici, fondamento della cultura bushi e con la storia dell’arte decorativa giapponese in connessione a motivi e temi sempre più collegati ad un’estetica identitaria se non nazionalista.
La potenza di questo simbolo è stata messa in discussione in due periodi della storia giapponese, ambedue connessi alle relazioni che quel paese ha intrattenuto con gli USA.
Durante il periodo Meiji (1868-1912), il Giappone ha attraversato un periodo di grandi riforme, sposando un modello di società filo statunitense. Furono avviati numerosi cambiamenti e soprattutto fu abolita la casta dei samurai, sostituendola con un’organizzazione militare di ispirazione occidentale. Fatto che portò a tensioni interne degenerate con la Ribellione di Satsuma del 1877 che sancì la fine definitiva di questi guerrieri che, per secoli, avevano servito l’imperatore. Vi furono ingenti perdite umane, soprattutto nelle fila dei samurai che combatterono valorosamente con armi tradizionali contro le artiglierie pesanti e le mitragliatrici. Oltre al sangue versato vi fu un dispendio notevole di risorse economiche che provocarono malessere nel popolo. Un evento a cui si è ispirata la cinematografia statunitense con la realizzazione del film “L’Ultimo Samurai” (2003).
Lo spirito samurai è ritornato prepotentemente alla ribalta in concomitanza con gli eventi che hanno preceduto la Seconda Guerra Mondiale, epoca in cui il Giappone adottò una politica espansionistica e di aggressione, alleandosi con la Germania nazista e l’Italia fascista. La figura del samurai fu per così dire riproposta sotto una nuova veste, funzionale all’ideologia di regime. Tutti gli appartenenti alle forze armate furono dotati di spada (katana o affini) e soprattutto fu esaltata e distorta la figura del kamikaze ispirata allo shintoismo e dai rituali riconducibili alla condotta guerriera che non contempla disfatta disonorevole.
Il Giappone è stata potenza sconfitta dalla Seconda Guerra Mondiale, costretta ad una resa dopo gli eventi atroci di Hiroshima e Nagasaki. Per anni è stato posto sotto l’egemonia degli USA che vi hanno installato numerose basi militari, tuttora operative. Tra le tante clausole post belliche, imposte dal comandante supremo delle forze alleate in Giappone, Generale Douglas Mc Arthur, vi fu la requisizione di tutte le armi delle forze armate nipponiche, comprese quelle in dotazione individuale, che più di un effettivo potenziale offensivo erano talvolta espressione della tradizione culturale.
Le spade, appunto, dovevano essere consegnate per essere distrutte dalle autorità statunitensi. A nulla valsero le proteste avanzate anche dagli esperti del Museo di Tokyo che sottolinearono come non tutte le spade fossero dello stesso pregio. É noto che molte katane e armi affini, la maggior parte, non lo fossero affatto, in particolare quelle che erano in dotazione ai reparti dell’esercito, fabbricate secondo criteri seriali ed industriali. Cosa ben diversa erano i corredi di armi bianche della tradizione storico-artistica giapponese, realizzate da abilissimi artigiani con tecniche particolari di forgiatura e finemente decorate. Non da ultimo, alcune erano beni d’arte veri e propri, con più di cinquecento anni di storia, tesori tradizionali di famiglie che, a vario titolo, erano legate alle caste vicine all’imperatore.
Il caso emblematico è rappresento dalle spade create da Masamune. Veri e propri cimeli, celebri per rarità se non unicità. Su tutte spicca la leggendaria Honjo Masamune.
Questa spada è entrata nel mito ed è tra le più conosciute in Giappone.
Si narra che molti secoli addietro, un apprendista di nome Sengo Muramasa fu convocato a corte dall’Imperatore con il suo maestro, Goro Masamune. Ambedue erano noti come artigiani di altissimo livello, in grado di realizzare lame di qualità eccelsa. L’Imperatore, secondo la leggenda, era deciso a stabilire una volta per tutte chi fosse il migliore tra i due. Così commissionò ad ognuno la fabbricazione di una katana, per poi determinare quale fosse quella perfetta.
A turno, le due armi bianche sarebbero state poste nelle acque di un fiume, con la lama rivolta contro corrente. La spada Muramasa, denominata “Diecimila Inverni”, si dimostrò affilatissima riuscendo a recidere ogni cosa che ne veniva in contatto col filo. Masamune dunque immerse la sua spada, “Mani Leggere”, nel fiume: una foglia fu divisa a metà, ma immediatamente le due parti si ricomposero. I fiori ed i pesci, invece, aggiravano la sua lama ed il vento che la sfiorava emetteva un armonico suono.
Muramasa derise per questo il suo maestro, dicendo che la spada non aveva superato la prova, mentre Masamune, incurante e tranquillo, asciugava accuratamente la lama e la riponeva nel saya (fodero). Un monaco che aveva assistito alla contesa intervenne ammonendo: «La prima delle due spade è un’ottima lama, però è malvagia e assetata di sangue, perché non fa distinzione riguardo a cosa taglia: potrebbe trattarsi di un’ala di farfalla o del capo di un uomo. La seconda spada, invece, è fuori di dubbio la migliore, perché non taglia ciò che è puro o innocente». L’Imperatore convenne con il parere del monaco, sancendo il successo del maestro Masamune con la sua spada perfetta.
Questa narrazione, al pari delle leggende del resto del mondo, ha attraversato i secoli, ed ha alimentato la fama delle spade di Masamune, vere e proprie opere incomparabili, straordinarie.
Anche in questo caso la settima arte ha reso una sorta omaggio alla preziosa lama, indicandola come quella del maestro d’armi del Re di Spagna, Juan Sánchez Villa-Lobos Ramírez (Sean Connery), nel film “Highlander-L’ultimo immortale” (1986).
Torniamo alla vicenda delle armi bianche requisite dagli americani, dopo il secondo conflitto mondiale.
Il casato dei Tokugawa dovette consegnare alla stazione di polizia di Niyiro, dodici spade di notevole pregio e rarità, tra cui la Honjo Masamune, che furono prelevate da un militare incaricato in forza al 7 Reggimento Cavalleria, reparto inquadrato nell’Ottava Armata statunitense.
Dopo le prime confische e distruzioni, le autorità e gli esperti giapponesi riuscirono ad ottenere la possibilità di recuperarne alcune, ma non la Honjo Masamune.
Se ne sono perse definitivamente le tracce. Le inchieste condotte successivamente, pubblicate negli anni ‘50, anche su magazine americani, non sono riuscite a ricostruire i passaggi e soprattutto ad individuare chi si è occupato materialmente del ritiro di cotanto bene. Tra le varie ipotesi, vi è quella secondo cui la preziosa spada sia custodita da qualche parte, come un souvenir prelevato da un “seguace dello zio Sam”, riposto in casa tra i ricordi e poi magari lasciato in cantina o soffitta senza nemmeno sapere bene di cosa si tratti.
Vi è da dire che questi oggetti, a partire della fine degli anni ‘70 del secolo scorso, hanno cominciato a destare l’interesse degli antiquari e delle case d’asta per essere rivenduti agli stessi giapponesi. Nel 1992 una Katana fu battuta da Christie’s a New York alla cifra record di 418.000 dollari. La spada faceva parte di una raccolta di oltre un migliaio di pezzi collezionati del medico statunitense Walter Ames Compton sin dal 1930.
La Honjo Masamune è qualcosa di più di un bene dall’ingente valore economico. Se dovessimo fare un paragone, giusto per essere chiari, potrebbe corrispondere alla nostra Natività di Caravaggio.
È un unicum, irripetibile, invendibile. Sarebbe auspicabile la sua restituzione, nella speranza non sia stata distrutta. È bello pensare che da qualche parte vi sia un erede di quel soldato che se ne impossessò in maniera un po’ leggera. La forza della consapevolezza, della sensibilità e perché no, un gesto dall’alto contenuto simbolico, ispirato alla ben nota cortesia nipponica, potrebbe ridare al Giappone uno dei suoi beni artistici più preziosi.
La cortesia è da sempre fondamentale per i giapponesi, è uno stile di vita basato sui sette principi del Bu-Shi-Do (il codice dei Samurai) che ha ancora influenza quella civiltà e non solo, rimandando ad una profonda saggezza, che sarebbe il caso di rivalutare e condividere in un’ottica di pacificazione definitiva.
礼, Rei: Gentile Cortesia
[I Samurai] non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza. [Un Samurai] è gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale. Il Samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini. Il miglior combattimento è quello evitato.
Opinionista