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Una mostra “color del vino”: i tesori di Spina a Villa Giulia, dopo 100 anni dalla scoperta

(Tempo di lettura: 5 minuti)

L’arrivo di questa incredibile esposizione di 700 reperti proprio nel luogo simbolo della cultura etrusca, segna la fine di un progetto che ha visto la creazione e il consolidamento di sinergie non solo sul territorio italiano, ma anche su quello internazionale. Di fatti, il progetto “Spina100” vanta un Comitato Promotore d’eccezione, coordinato dal Ministero della Cultura e composto dalla Direzione Generale Musei, la Direzione Musei Emilia Romagna, la Sovrintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Bologna e le Province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, il Museo Archeologico di Ferrara, la Regione Emilia Romagna, I Comuni di Ferrara e Comacchio, l’Istituto Nazionale di Studi Etruschi e Italici e le Università di Bologna, Ferrara e Zurigo. Il progetto espositivo è coordinato dal direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Valentino Nizzo, con l’ausilio di un comitato scientifico d’eccellenza e con la direzione artistica dell’architetto Nicola Nottoli.

Il “mare colore del vino” è il filo conduttore di questo percorso che, nella sede di Villa Giulia, vuole ulteriormente glorificare il nome di Spina e la sua scoperta il 3 aprile del 1922 – uno dei pochi siti, come dichiara il direttore Valentino Nizzo, di cui conosciamo una “data di nascita” – attraverso un’immersione non solo nel ricchissimo contesto archeologico del sito ferrarese, ma anche con un sapiente inserimento del porto dell’Adriatico nel contesto culturale, commerciale e politico del Mediterraneo intero, creando un dialogo molto diretto e profondo con la “gemella” Pyrgi, porto di Cerveteri, che costituiva l’affaccio sul Tirreno.

Due luoghi strategici che si incontrano, senza toccarsi mai, il porto tirrenico e il porto adriatico, un viaggio in cui si fa quasi fatica a distinguere la storia dal mito. Il percorso espositivo inizia in dialogo con la collezione permanente, rompendo immediatamente la discontinuità tra mondo greco e mondo etrusco, anche attingendo ai miti di Eracle e Odisseo, visti come eroi civilizzatori per eccellenza e progenitori della stirpe etrusca.

Una delle grandi novità introdotte dalla mostra sono le videoproiezioni, a cura di Katatexilux, che ricostruiscono, partendo dal famoso altorilievo del Tempio A di Pyrgi, il santuario della città portuale. Il soggetto del rilievo fittile, che rappresenta la lotta fratricida per eccellenza, i Sette contro Tebe, è accostato al gigantesco cratere della tomba 579 di Valle Trebba, nei pressi di Spina.

Sullo sfondo l’altorilievo del Tempio A di Pyrgi, 470-460 a.C. In primo piano il cratere della tomba 579 di Valle Trebba, 440 a.C., Museo del Delta Antico (FE).

Le successive sale espositive della mostra introducono un percorso allo stesso tempo cronologico e tematico, un viaggio nei tre secoli di storia di Spina, con ambienti intermezzati dai nuovissimi “igloo” circolari, che custodiscono i tesori più preziosi della mostra, accompagnati da video esplicativi.

La narrazione ha inizio dalla scoperta, nel 1922, del primo nucleo di tombe, durante i lavori di bonifica di Valle Trebba, passando per gli scavi di Valle Pega e per la prima mostra a Bologna nel 1960 (di cui si conserva una simpatica foto di Alfred Hitchcock davanti ai reperti). Il visitatore viene immediatamente accolto dal Giornale di Scavo estremamente artistico di Francesco Proni, assistente dell’allora Sovrintendente dell’Emilia Romagna, Salvatore Aurigemma.

Il percorso si articola nelle sale del piano nobile, dominate da questo color violaceo, che riprende il colore del vino, il quale, oltre a ricordare l’aforisma omerico sopracitato, è l’elemento che simboleggia la civilizzazione, l’unione, la riconciliazione e l’oggetto dei commerci per eccellenza, ma anche Dioniso, rapito dai pirati tirreni – così erano identificati i primi etruschi nelle fonti greche – trasformati poi dalla divinità in delfini. Il mito appena nominato è illustrato sulla celebre Hydria simbolo della mostra, recuperata dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale nel 2014, proveniente da scavi clandestini effettuati in Etruria Meridionale.

Hydria etrusca a figure nere con il mito dei pirati tirreni trasformati in pesci, 510-500 a.C., provenienza sconosciuta (Vulci?), Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

Non mancano oggetti preziosi come i gioielli in ambra recuperati dai quasi 4000 contesti funerari intatti di Spina, le grandiose anfore da trasporto, a ricordare la vocazione commerciale del porto sull’Adriatico, il cippo di pietra che segna l’atto di fondazione della città, che reca l’iscrizione mi tular = “io sono il confine”, il vaso in bucchero con Dedalo, mitologico inventore del labirinto, che viene paragonato, in un brano dello pseudo-Aristotele, agli uomini che hanno saputo domare l’impervio territorio del delta del Po; il tutto è affiancato da opere provenienti dalla sua gemella tirrenica Pyrgi che, contrariamente a Spina, custodiva un santuario e un’area sacra. A destare particolare attenzione è l’incredibile frammento di tripode con l’apoteosi di Eracle riconducibile alla scuola di Vulci, ma consacrato nel V secolo a.C. sull’acropoli di Atene e in prestito dall’omonimo museo greco.

Cippo in arenaria rinvenuto nella parte meridionale della città. Museo Archeologico Nazionale di Ferrara.

L’esposizione si conclude con l’epilogo di Spina e l’avvento dei Romani che, nel 268 a.C. fondarono Rimini, deviando tutte le precedenti rotte commerciali e riducendo il porto, come ricorda lo storico Strabone, ad un piccolo villaggio. Il frammento che chiude la mostra è una terracotta proveniente da Veio con Enea e Anchise che, non solo richiama la nascita della stirpe latina, ma è anche il medesimo soggetto di un candelabro di bronzo che fu il primo reperto venuto alla luce a Spina, nel 1668, ora custodito a Bologna. Una conclusione che è anche un punto di partenza.

Con questa nuova mostra, il Museo di Villa Giulia non ha solo concluso più che degnamente un progetto già estremamente prestigioso, ma ha avuto l’occasione di dare spazio all’innovazione e ad un dialogo geniale tra ciò che il museo custodisce in maniera permanente e gli oggetti provenienti da altre collezioni. Come ha affermato il direttore Nizzo, durante la visita guidata da lui tenuta per la stampa, ogni visitatore, anche chi ha l’occhio più esperto, tende a soffermarsi su un’opera esposta non più di 30 secondi; ed è proprio questo “blocco” che nella comunicazione culturale contemporanea bisogna provare a superare e, il percorso alla scoperta del sito ferrarese al Museo ETRU, ci è riuscito. Altro approccio estremamente positivo è il modo in cui il mito e la storia siano quasi un tutt’uno e non racchiusi in un confine territoriale.

Questo dialogo continuativo permette di comprendere ancora di più quanto il mondo etrusco non sia limitato al suo territorio del centro Italia, ma abbia meno confini di quanto l’immaginario collettivo tenda ad assegnargli. La divisione per temi aiuta inoltre a leggere correttamente i 700 reperti esposti, superando la semplice ricchezza numerica della mostra e riuscendo nel suo scopo didattico. Portare “Spina Etrusca” a Villa Giulia è il degno epilogo per la celebrazione di una straordinaria scoperta che ha permesso di riconoscere come altrettanto grande anche quell’Etruria considerata spesso più periferica, ma che ha costituito per secoli una rotta d’eccellenza e un centro nevralgico per lo scambio di merci e culture.

Il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia ha fatto centro!

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