Numerosi sono i reperti scavati illecitamente nel territorio etrusco e che hanno preso il largo verso il Nuovo Mondo, ma molti di questi sono stati recuperati: è il caso di una kylix attica a figure rosse con scena della guerra di Troia firmata dall’artista Euphronios, restituita grazie ad un lavoro lungo e tenace condotto dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, dalla Soprintendenza per l’Etruria Meridionale e dal CNR.
La kylix, esposta nel Museo Nazionale Archeologico Cerite, ha affrontato un lungo viaggio prima di tornare “a casa”. Venne trafugata tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta dal territorio di Cerveteri e venduta frammentaria, per poter ricavare il più possibile da ciascuna vendita, al J. P. Getty Museum di Malibù, che ne acquistò una prima parte nel 1983, una seconda nel 1984, poi nel 1985, 1986, 1987 e 1989, ricomponendo parzialmente la coppa.
Nel 1989, sul bollettino del museo americano, fu pubblicata la notizia dell’acquisizione di una coppa con scene della guerra di Troia con due iscrizioni: una in alfabeto etrusco sul fondo del piede dedicata ad Hercle, l’altra, nella parte esterna della coppa, con la firma del vasaio greco Euphronios seguita dal termine epoiesen (fece).
Tale notizia attirò l’attenzione dell’archeologa M. A. Rizzo (Soprintendenza per l’Etruria Meridionale) che identificò come ceretano il tipo di alfabeto utilizzato nell’iscrizione sul fondo del piede della kylix, dando quindi un primo contesto originario di provenienza e di probabile acquisizione illecita. Non era però noto quando, dove e come la coppa fosse stata scavata e portata all’estero. La fortuna in questo caso fu dalla parte della Soprintendenza: infatti la Dott.ssa Rizzo, nell’agosto del 1990, mentre era in attesa di un autobus per Cerveteri, ascoltò casualmente la conversazione tra due persone che stavano parlando di un nuovo frammento appartenente alla “grande coppa con la guerra di Troia”, usando quindi lo stesso termine con il quale era identificata la kylix nel catalogo del Getty Museum, trovata in pezzi anni prima e venduta a un museo straniero. Convinti di non essere ascoltati avevano continuato la loro conversazione dicendo che, essendo quei pezzi eccezionali, gli scavatori avevano continuato lo scavo riuscendo a trovarne altri, ugualmente poi venduti, e parlando anche del luogo dove erano stati trovati. La Soprintendenza non divulgò la notizia, se non alle autorità, in attesa che il nuovo frammento fosse immesso nel mercato ma dando nel frattempo il via alle ricerche archeologiche per individuare il luogo dello scavo clandestino. Seguendo le informazioni ascoltate casualmente si poté identificare l’area di interesse sul pianoro sopra la porta di Sant’Antonio, nei pressi della necropoli di Greppe S. Angelo, dove, a seguito di indagini archeologiche scientifiche, condotte dal 1993 al 2004, fu possibile individuare un grande santuario dedicato ad Herkle con due templi, databili tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C., uno per il semidio ed uno per Apollo. Da questi scavi emerse un ulteriore frammento che poteva appartenere alla kylix.
Le indagini si concentrarono a quel punto anche sulle pubblicazioni e sulle dichiarazioni di provenienza: per i primi frammenti il Getty Museum aveva indicato un European Art Market, che li aveva ricevuti da una galleria che a sua volta li aveva avuti da due collezioni private, delle quali però non vi era traccia.
Successivamente altri frammenti erano stati donati al museo da una galleria che si legava a Giacomo Medici, per moltissimi anni mercante di reperti scavati illecitamente in Italia e per questo condannato. Nel suo studio nel porto franco di Ginevra, durante le perquisizioni svolte durante le indagini, vennero trovate sia foto che lo ritraevano accanto alla kylix nel museo, come era sua abitudine fare con gli oggetti più importanti che riusciva a vendere a prestigiosi musei, sia quelle della stessa coppa in frammenti.
Ormai per il reperto si stava dimostrando la provenienza illecita e quindi lo stesso Medici consegnò al PM Paolo Giorgio Ferri, che allora si occupava delle indagini, altri due pezzi che non avrebbe più potuto vendere.
A distanza di poco tempo anche il frammento della discussione ascoltata per caso venne messo in vendita ma il Getty non lo acquistò.
La prova definitiva, che fugò ogni dubbio sul fatto che la coppa fosse stata scavata illecitamente a Cerveteri e, pertanto, appartenente al territorio etrusco, fu mettere il frammento proveniente dagli scavi archeologici regolari vicino all’opera esposta al Getty e dimostrare che le fratture combaciavano.
Tutti questi elementi permisero di ottenerne la restituzione nel 1999. La coppa fu esposta al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia fino al 2015 e nello stesso anno trasferita al Museo Archelogico Nazionale Cerite per essere esposta temporaneamente insieme al Cratere di Euphronios. Da allora è tornata definitivamente nel suo luogo di rinvenimento.
Ma altri pezzi continuano ad essere trovati: nel 2008 due volontari avevano consegnato un frammento della coppa sostenendo di averlo scoperto casualmente durante le fasi di pulizia nell’area archeologica di Cerveteri, il tutto per intascare il premio di rinvenimento. Dopo le indagini condotte nei loro confronti hanno confessato di non averlo trovato per caso ma di aver volutamente cercato nell’area dove si sapeva essere stato trovato il grosso della kylix nella speranza di trovarne ancora delle parti con le quali ricavare soldi facili.
La kylix è ora a casa e l’analisi stilistica e decorativa ha permesso di apprezzarne a pieno il grande valore. Si tratta, come già accennato, dell’opera di uno tra gli artisti ateniesi più famosi del VI/V secolo a.C. cioè Euphronios, esponente dei cosiddetti Pionieri, prima ceramista e ceramografo poi solo ceramista aiutato per la decorazione da Onesimos, il suo miglior allievo. Era però sempre Euphronios a decidere quale forma realizzare: la scelta era dettata dalla volontà di avere la tipologia migliore per esaltare la scena da rappresentare.
Questa coppa per il vino, realizzata tra il 500 ed il 490 a.C., è alta 20,5 cm, ha un diametro pari a 46,5 cm ed è stata decorata con la tecnica a figure rosse. La nuova forma decorativa era stata introdotta proprio dal maestro di Euphronios e consisteva nel disegnare sull’argilla i contorni delle figure e poi ricoprire di pittura nera il resto della superficie del vaso; dopo questo passaggio, sempre con il nero, venivano realizzati tutti i dettagli e i particolari delle figure.
La coppa è decorata sia nella parte interna che in quella esterna con scene ispirate al tema dell’Ilioupersis, con varie scene della guerra di Troia; è considerata tra le rappresentazioni più elaborate e complesse del tema.
Vi sono episodi dell’inizio dell’Iliade e quelli della parte finale ma nel tondo centrale, considerato la parte più importante della kylix, vi è la scena più drammatica e densa di significato. Sono rappresentati, partendo da sinistra, il vecchio Priamo che sta per essere ucciso da Neottolemo, figlio di Achille, alla presenza di Polissena, la figlia più giovane del re troiano. Contemporaneamente Neottolemo tiene per i piedi il piccolo Astianatte, figlio di Ettore e Andromaca, e sta per gettarlo dalle mura della città. Ogni personaggio è indicato dal proprio nome, elemento che permette una chiara lettura ed identificazione di scena e protagonisti. Onesimos mise insieme questi momenti, nella narrazione separati, per rendere ancora più forte il senso di quanto succede e fece diventare Neottolemo l’esecutore materiale della fine della stirpe di Priamo.
Subito al di sopra della figura di Polissena è rappresentato un altro episodio violento: il guerriero acheo Aiace Oileo prende per i capelli la giovane Cassandra per muoverle violenza. Lei si aggrappa con il braccio sinistro al Palladio di Athena in cerca di protezione mentre con il destro teso prova invano a chiedere pietà al suo aggressore.
Entrambe le scene sono rappresentate in tutta la loro crudeltà ed Onesimos è stato il primo a farlo.
La decorazione della parte esterna è più lacunosa ma la presenza dei nomi permette di identificare Patroclo, Thetis e probabilmente Achille: sarebbe dunque il momento in cui Patroclo conduce Briseide da Agamennone, episodio che genera l’ira funesta di Achille.
L’opera presenta all’interno del piede un restauro antico, testimoniato da una colatura di bronzo.
Sia i nomi dei personaggi che la firma di Euphronios vennero scritti prima della cottura del vaso. Ma l’iscrizione più importante è la dedica che si trova sotto il piede non in caratteri greci, come tutto il resto, ma in quelli dell’alfabeto ceretano: sono due righe, purtroppo lacunose, con la formula dedicatoria e il nome della divinità, Hercle. Si tratta del dio etrusco figlio di Tinia e Uni, simile al semidio greco Eracle e al latino Ercole, protettore dei pastori e legato alle sorgenti d’acqua. Era particolarmente amato e venerato nel mondo etrusco e questa iscrizione è considerata la più antica epigrafe etrusca relativa al culto di Hercle.
Dunque la kylix venne importata da Atene e poi, prima della dedica nel santuario, venne incisa l’iscrizione in etrusco.
La presenza di tali reperti nel territorio dell’antica Caere (si pensi al cratere del medesimo artista) testimoniano una fiorente attività di scambio tra la città etrusca – l’unica ad aver dedicato un suo tesoro a Delfi – ed il mondo greco e porta ad ipotizzare che il dedicante della kylix, oggetto votivo dedicato nel tempio di Hercle all’interno del suo santuario, fosse un ricco ceretano che poteva permettersi vasi di siffatta fattura. L’aspetto fondamentale legato a questa kylix è che è stato possibile ricontestualizzarla e capirne la funzione sia in ambito ateniese, dove è stato prodotto, che poi in quello etrusco, dove ha assunto il ruolo di oggetto votivo.
Consegue a pieni voti la laurea in Lettere Antiche con Indirizzo Archeologico presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” con una tesi in Metodologia e Tecnica della Ricerca Archeologica. Successivamente, consegue il Diploma di Specializzazione in Archeologia Classica presso l’Università La Sapienza di Roma con una tesi in Teorie e Tecniche del Restauro Archeologico. Ha approfondito gli studi inerenti al Patrimonio Culturale e la sua tutela e difesa attraverso l’analisi dell’Operazione Ifigenia del CC TPC. Dal 2004 si occupa di assistenza archeologica, di direzione di scavi archeologici e della redazione della relativa documentazione. Ha partecipato a missioni archeologiche in Giordania presso il sito di Wadi Useykhim. Dal 2012 al 2016 ha collaborato occasionalmente con il Museo Civico Archeologico di Albano Laziale. Dal 2014 al 2016 ha rivestito il ruolo di socio fondatore e vice presidente dell’ associazione culturale Honos et Virtus e per il sito www.honosetvirtus.roma.it, ha curato la rubrica “Recensiones”. Dal 2017 è socio fondatore e vice presidente dell’associazione culturale no profit Niger Lapis. Dal 2018 ricopre il ruolo di OS 25 e da giugno 2021 collabora con Munus srl come operatore didattico presso Musei Capitolini, Mausoleo di Augusto, Ara Pacis e Mercati di Traiano. Ѐ iscritta nell’elenco nazionale ai sensi del DM 20/05/2019 n. 244 per il profilo di “Archeologo di I Fascia” ed è iscritta con il n. “RM – 2472” nel ruolo di Periti ed Esperti Sezione Unica della CCIAA di Roma per la Categoria XXIV ANTICHITÀ E BELLE ARTI.
Ѐ tra gli autori del progetto “Assassini dell’Arte — I podcast che raccontano le storie dei Crimini contro la Cultura”, patrocinato dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e sponsorizzato da Intesa San Paolo. A maggio 2022 ha ricevuto il Premio “Jean Coste” per la sezione Università – Archeologia.