(Tempo di lettura: 5 minuti)

Una cosa è giusta non perché è legge, ma deve esser legge perché è giusta

(Montesquieu).

Immagine tratta dal Calendario dei Carabinieri ed. 2019.

È trascorso più di un anno dall’entrata in vigore, in Italia, delle norme penali riguardanti i beni culturali. La Convenzione di Nicosia, ad un livello più alto, in un’ottica di contrasto su scala internazionale, prevede specifici delitti di: furto, scavi illegali, importazione e l’esportazione illegali e l’acquisizione-commercializzazione dei beni. Riconosce, inoltre, come reato, la falsificazione di documenti e la distruzione e/o il danneggiamento intenzionale di beni culturali. È stata più volte sottolineata la necessità di attendere l’esito dei procedimenti penali istruendi, per valutare meglio l’impatto della normativa, attesa anche le criticità sollevate su alcuni aspetti di rilevanza giuridica, già emersi nelle fasi propedeutiche all’adozione della normativa. Uno degli aspetti su cui gli esperti si sono confrontati è stata proprio la definizione di bene culturale, che la norma penalistica fa derivare dal Codice dei Beni Culturali, ex artt. 2-10-12-13.

L’art. 2, c. 2 prevede: «Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà». I presupposti, da cui discende il requisito della culturalità, sono: l’interesse storico (es. la Costituzione italiana); artistico (es. l’opera un artista non più vivente o testimonianza di un’epoca o movimento: “Preraffaelliti”); archeologico (es. un’anfora romana); etnoantropologico (es. un Presepe della tradizione napoletana risalente al ‘700); archivistico (es. un documento pre-unitario, ante 1861); bibliografico (es. carta geografica del ‘400). La norma stabilisce che sono beni culturali tutte le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge.

L’individuazione dei beni culturali rimanda all’art. 10 del Codice; la dicitura “in base alla legge” attiene all’attribuzione della culturalità mediante le procedure ex artt. 12-13 del Codice. L’art. 10 c. 1-3, identifica i beni culturali pubblici e privati, prevedendo per questi ultimi vi sia stata la «dichiarazione di interesse culturale», ex art. 13 del Codice, affinché possano ritenersi appunto beni culturali.

Vige pertanto la presunzione di culturalità dei suddetti beni, anche in via provvisoria, poiché rileva fino a quando non sia stata esperita una verifica del MiC, che può attivarsi d’ufficio o su istanza delle parti a cui appartengono i beni, circa l’effettiva sussistenza dell’interesse culturale del bene stesso. Sui beni culturali sussiste parimenti una presunzione di proprietà pubblica, con la conseguenza che essi appartengono allo Stato italiano in virtù della L. n. 364 del 1909, R.D. n. 363 del 1913, L. n. 1089 del 1939, art. 826 CC (Patrimonio pubblico, indisponibile) la cui disciplina è rimasta invariata anche con l’entrata in vigore del Codice dei Beni Culturali. Ciò, evidentemente, assume una valenza che si rispecchia nella sfera costituzionale, laddove si considera il contenuto dell’ art. 9 Cost., in termini di tutela dell’interesse culturale rispetto agli altri interessi pubblici o privati concorrenti.

Fino all’entrata in vigore delle norme recepite nel Codice Penale, il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, prevedeva, all’art. 176, le sanzioni penali previste per la violazione della parte seconda dello stesso decreto, relativo ai beni culturali, un’ipotesi di delitto per chiunque si impossessasse di beni culturali appartenenti allo Stato.

La configurabilità di questo specifico reato, frequentemente ipotizzato in casistiche di rilevanza marginali, quali il possesso ingiustificato di “frammenti archeologici”, ha animato per lungo tempo il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, in particolare sulle modalità di acquisizione della “culturalità” del bene che sotto il profilo del regime probatorio sull’esonero da responsabilità penale. Il suddetto articolo è stato abrogato. Attualmente vige l’art. 518 bis cp: (Furto di beni culturali) – Chiunque si impossessa di un bene culturale mobile altrui, sottraendolo a chi lo detiene, al fine di trarne profitto, per sé o per altri, è punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500.

In questo alveo si colloca la massima della Cassazione Penale Sez. II, 10/10/2023, n. 41131 sul Patrimonio Culturale e i Beni di interesse storico-artistico. Con riferimento al reato abrogato di impossessamento illecito di beni culturali (già art. 176 cod. beni cult., ora art. 518-bis, comma primo, seconda parte, cod. pen.), non è richiesto, quando si tratti di beni appartenenti allo Stato, l’accertamento dell’interesse culturale, né che i medesimi presentino un particolare pregio o siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, essendo sufficiente che la “culturalità” sia desumibile dalle caratteristiche oggettive dei beni, quali la tipologia, la localizzazione, la rarità o altri analoghi criteri, e la cui prova può desumersi o dalla testimonianza di organi della P.A. o da una perizia disposta dall’autorità giudiziaria.

Questo ulteriore tassello, ribadisce la necessità stringente, su vari livelli, di tutelare il patrimonio culturale nazionale, come confermato anche da precedenti pronunciamenti dell’alto consesso giudiziario con riferimento particolare:
– desumibilità della “culturalità” in base alle caratteristiche oggettive dei beni (Cass. pen. Sez. III Sent., 02/09/2020, n. 24988 – rv. 279756-01);
– alla non punibilità della speciale tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis c.p. in presenza di condotte di impossessamento di reperti archeologici, quand’anche questi siano di scarso valore economico, se l’impossessamento è avvenuto a mezzo di scavi clandestini e non autorizzati (Cass. pen. Sez. III, 22/04/2020, n. 12653).

Al di là dell’aspetto della prevenzione, che permane cruciale, il contrasto ai crimini contro il patrimonio culturale per essere effettivo, necessita della cooperazione tra stati, non solo per il singolo caso giudiziario. Le autorità giudiziarie e di polizia, devono migliorare competenze e strumenti per individuare e indagare sui vari casi di traffico illecito. La tecnologia fornisce un contributo spesso determinante per le autorità di contrasto ed è fondamentale per proteggere i beni culturali dai traffici illeciti, coinvolgendo anche esperti del mondo accademico e di ricerca. I reati contro il patrimonio culturale, in molti casi, sono transfrontalieri. Questa peculiarità implica il rafforzamento degli scambi info-operativi tra autorità nazionali, per sopperire alla mancanza di uniformità nella configurazione di reati specifici.

In merito al contrasto, quindi, la Commissione europea ad esempio, grazie all’attività svolta da Europol, potrebbe contribuire alla una raccolta di dati a livello europeo tramite EUROSTAT. Valutare di introdurre misure per l’armonizzazione e l’interconnessione delle banche dati degli Stati membri sui beni culturali sottratti, in connessione quella ad uopo dedicata gestita da Interpol. È fondamentale sviluppare le soluzioni volte a migliorare l’individuazione e la tracciabilità dei beni culturali, tenendo conto dei i vari aspetti di tutela amministrativa dei singoli stati. Per questo è necessario effettuare una mappatura delle legislazioni nazionali degli Stati membri, che prevedono il reato di traffico illecito di beni culturali, anche in attuazione della Convenzione di Nicosia. Rafforzare il potenziale di EMPACT1 anche per il traffico illecito di beni culturali, per le indagini sulle associazioni criminali e i flussi illeciti di denaro. Il ruolo di Eurojust è molto importante per i collegamenti dei sistemi giudiziari nazionali al fine di promuovere anzitutto le procedure di restituzione.

È giunto probabilmente il momento di compiere il salto di qualità e di confermare il ruolo di capofila del nostro paese in questo settore.

Ultimi articoli

error: Copiare è un reato!