“Caso Discobolo”. Facciamo il punto
Qualche mese fa, in occasione della mostra alle Scuderie del Quirinale Arte Liberata. Capolavori salvati dalla guerra (1937-1947), abbiamo raccontato la storia di uno dei pezzi più rappresentativi dell’esposizione: il Discobolo Lancellotti, una scultura in marmo, copia romana di un capolavoro bronzeo dello scultore greco Mirone. In questi giorni l’atleta immortalato mentre si accinge a lanciare il suo disco durante una gara, come nel Dopoguerra è tornato di nuovo a essere oggetto di una disputa tra Italia e Germania. E in maniera paradossale la discussione riparte proprio dal punto in cui si era interrotta al termine del Secondo Conflitto mondiale: a chi appartiene la scultura?
I fatti hanno avuto inizio sabato 2 dicembre, quando le più importanti testate giornalistiche italiane, tra cui il Corriere della sera e La Repubblica, hanno riferito che il direttore del Museo Nazionale Romano Stéphane Verger avrebbe fatto richiesta di restituzione della base settecentesca della statua, rimasta alla Glyptothek di Monaco al momento del recupero della scultura. Florian S. Knauß, direttore del museo tedesco, avrebbe risposto non solo negando la possibilità di una restituzione, ma richiedendo a sua volta indietro la stessa scultura, oggetto di regolare acquisto da parte del governo tedesco. La replica del Ministro italiano della Cultura, Gennaro Sangiuliano, è stata immediata: «È una richiesta irricevibile. Io ho fatto una battuta, ho detto che dovranno passare sul mio cadavere». Queste le sue parole in un’intervista rilasciata al Tg1 lo stesso 2 dicembre. Da parte dei media tedeschi, c’è stato però il silenzio assoluto: nessun riferimento alla questione.
Per capire le ragioni di questa richiesta, che ha suscitato indignazione, in ambito non solo italiano ma anche internazionale, bisogna fare un passo indietro e ritornare al maggio del 1938: all’indomani della visita di Hitler in Italia, infatti, venne formalizzata la vendita della scultura da parte del Principe Lancellotti al governo tedesco. La famiglia proprietaria, per via di una contesa ereditaria, aveva in effetti già provato a venderla al Metropolitan Museum di New York; la trattativa tuttavia era fallita a causa della legge Rosadi-Rava (n. 364 del 1909) – che stabiliva le “norme per l’inalienabilità delle antichità delle belle arti” – che vincolava questo capolavoro al patrimonio culturale italiano, rendendolo invendibile all’estero. Nel caso della transazione con la Germania, invece, venne fatta una deroga a questa legge, su pressione dello stesso Mussolini e del ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, ma con il parere contrario del ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai.
Al termine del conflitto, mentre i politici si occupavano di ratificare i trattati di pace, i Monuments Men lavoravano nei Collecting Points per individuare e restituire le opere trafugate. In particolare riguardo l’Italia, questo diventò un punto molto caldo di discussione: era chiaro infatti, che si dovesse rendere indietro tutto ciò che era stato trafugato o acquisito illegalmente o forzatamente, ma questo valeva soprattutto dall’inizio dell’occupazione tedesca, nel settembre del 1943. Ma che ne era di tutto ciò che il governo di Mussolini aveva venduto nel periodo in cui i due Paesi erano alleati? Nel Trattato di Parigi del 1947, l’art. 77 al comma 2 prevedeva solo che: «I beni identificabili appartenenti allo Stato italiano e a cittadini italiani, che le Forze armate germaniche o le autorità germaniche abbiano trasferito con la violenza o la costrizione, dal territorio italiano in Germania, dopo il 3 settembre 1943, daranno luogo a restituzione». Non era previsto, dunque, che venissero rese anche quelle vendute legalmente prima di quella data. A mancare all’appello, in effetti, non era solo il Discobolo, ma anche altri capolavori dell’arte italiana, come il Ritratto d’uomo di Hans Memling della collezione Corsini, una Madonna con Bambino di Masaccio, la Leda di Tintoretto e tanti altri.
In questa questione a giocare un ruolo essenziale, fu Rodolfo Siviero. Quello che viene spesso definito come “agente segreto dell’arte” si appellò in prima istanza alla “Dichiarazione di Londra” del gennaio 1943, con la quale si esprimeva l’intenzione di annullare molte compravendite dei tedeschi, considerate illegali perché ottenute, appunto, con la forza. Anche se di fatto questo punto risultava un po’ debole per via degli accordi amichevoli che c’erano all’epoca tra i due Stati, si cercò di porre l’accento sul fatto che una volta terminato l’acquisto, non erano state pagate le dovute tasse doganali e quindi l’esportazione risultava illegale.
Oltre al Governo alleato, la decisione di restituire le opere doveva però essere ratificata anche da quello bavarese e qui Siviero incontrò un ostacolo sul suo cammino: il direttore del Central Collecting Point di Monaco, Herbert S. Leonard, con il quale i rapporti non erano propriamente amichevoli. Si dice, anzi, che gli abbia riso in faccia leggendo che il Discobolo figurava tra i pezzi rivendicati. Dopo una lunga contrattazione, a suon di lettere ufficiali e relazioni scritte, Rodolfo Siviero riuscì a ottenere la modifica dell’art. 77 del trattato di pace e, l’assenso del governo americano, in seguito al quale Leonard decise di dimettersi per protesta. Così nel novembre del 1948 si riportò in patria la statua di Mirone.
C’è da aggiungere a questa storia a lieto fine (quantomeno per l’Italia), che Siviero nel suo operato non fu osteggiato solo dai tedeschi, ma in parte anche dagli stessi italiani. L’allora ministro degli Esteri, Carlo Sforza, lo avrebbe rimproverato per aver esagerato nel farsi restituire anche ciò che era stato legalmente acquistato.
D’altra parte dietro la concessione americana, potrebbero esserci stati anche dei motivi politici: in vista delle elezioni nel nostro paese, si aveva infatti il timore di una “pericolosa” deriva verso sinistra, come racconta Francesca Bottari, autrice di una delle più recenti biografie sul capo della delegazione per le restituzioni “Rodolfo Siviero. Avventure e recuperi del più grande agente segreto dell’arte”.
Qualunque sia stata la motivazione, nonostante le vive proteste da parte dei tedeschi, l’atleta di Mirone è ritornato in Italia, assegnato allo Stato italiano e oggi custodito ed esposto nella sede del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo.
E in tutta questa storia, che fine ha fatto la base della statua? Come riportato in un recente articolo dell’Università di Heidelberg, “Der Diskobol des Myron. Eine Ikone des Sports”: «Evidentemente la spedizione in Italia dovette andare molto di fretta, perché la base di marmo tardo-barocca della statua, fu dimenticata a Monaco».
Ed è stata proprio quest’ultima ad accendere nuovamente il “caso Discobolo”, nato tra i due direttori dei musei, che ha avuto ancora ulteriori sviluppi. Il 5 dicembre l’agenzia di stampa LaPresse ha in parte smentito la notizia o comunque ha contribuito ad abbassare i toni. Alle domande su quanto accaduto, da Monaco ha risposto il vice direttore delle Antikensammlungen und Glyptothek Christian Gliwitzky, il quale ha dichiarato che da lì non è partita alcuna richiesta, semmai solo una risposta a una lettera inviata dal Museo Nazionale Romano. Nel frattempo qualcosa si è mosso anche da parte della stampa tedesca; il Morgenpost ha riportato in gran parte quanto riferito dal Corriere della sera, riportando la notizia della richiesta di restituzione da parte del direttore di Monaco, mentre la rivista Abendzeitung München ha ribadito che da parte del Governo tedesco non è stata fatta alcuna richiesta ufficiale.
A chiarire il tutto è stato l’incontro tra il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano e l’Ambasciatore tedesco Hans-Dieter Lucas. Al termine del colloquio, il 5 dicembre è arrivata una dichiarazione ufficiale da parte del Ministero della Cultura: «Il Ministero ha preso nota dei chiarimenti forniti dall’Ambasciatore, esprimendo l’auspicio che la base marmorea settecentesca conservata allo Staatliche Antikensammlungen di Monaco di Baviera possa essere ricongiunta all’opera esposta al Museo Nazionale Romano». Anche lo stesso Ministro, sui social, ha rassicurato tutti sulla questione: «Mi è stato riferito che il Governo di Berlino non chiede alcuna restituzione e non rivendica il Discobolo e che si è trattato di un’iniziativa del direttore del museo bavarese. Credo che questo direttore ci debba delle scuse».
Insomma, per il momento solo un gran polverone, nell’attesa di conoscere l’evoluzione dei fatti.
Mi sono laureata a Roma in archeologia e storia dell’arte greca e romana e ho conseguito la specializzazione nello stesso ambito a Lecce. Dopo diversi anni di esperienza sui cantieri urbani ho frequentato un master incentrato sui temi della tutela e dei reati contro il patrimonio culturale, discutendo una tesi sulla ricerca della provenienza e la restituzione dei beni trafugati durante la Seconda Guerra Mondiale. Dal 2015 sono guida turistica autorizzata di Roma: tra le visite che propongo più spesso, oltre la Roma antica, ci sono quelle su Occupazione tedesca e Resistenza, e sulla Street Art. Oggi divido la mia vita tra i tour con i turisti, lo studio e la ricerca.