Ai «custodi di ogni fine». La chimera di Alice Rohrwacher
«Agli archeologi, custodi di ogni fine», con questa frase la regista Alice Rohrwacher conclude il suo nuovo film La chimera, presentato in anteprima al 76esimo Festival del Cinema di Cannes e attualmente distribuito in pochissime sale italiane.
Si tratta di una storia ambientata negli anni ’80, la cui dimensione temporale non è l’elemento più importante. Arthur (Josh O’ Connor) è un archeologo inglese. O irlandese? Non lo sapremo mai, dice solo di venire da molto lontano. Egli ritorna in Italia dopo un arresto e viene arruolato da un gruppo di tombaroli attivo nell’Etruria toscana, alla ricerca di deposizioni da saccheggiare e reperti da vendere sul mercato illecito, tramite il misterioso Spartaco.
Le chimere sono le visioni e il dono di Arthur, che, in maniera quasi sciamanica e un po’ fiabesca, si fa guidare dal suo bastoncino biforcuto per individuare il luogo esatto in cui scavare. L’archeologo vede ciò che gli altri non riescono a vedere, attraversando con facilità il mondo dei vivi e quello dei morti, il presente e il passato, un po’ alla ricerca di bellezze proibite – che lo rendono il bandito della sua stessa arte -, nel tentativo di mantenere vivo il legame, il filo rosso, con l’amata defunta Beniamina (Yile Yara Vianello). Il protagonista ricerca, rubando oggetti funerari di secoli fa, una via di fuga per consolarsi della morte del presente. Non a caso viene richiamato L’Orfeo di Monteverdi.
Attorno ad Arthur e agli scavatori clandestini ruotano altri personaggi, insieme al loro individuale rapporto con il passato: c’è chi come Flora (Isabella Rossellini) non accetta la morte, il tempo che passa, né la sua casa che va a pezzi, e chi come Italia (Carol Duarte) che cerca nelle cose antiche una nuova vita, perché quello che adesso è «di nessuno» può diventare «di tutti».
La seconda chiave di lettura è strettamente legata alla scelta del tema. Le avventure alla ricerca di “tesori” intoccabili svelano l’aspetto decisamente meno affascinante e la dura realtà di molti beni culturali e siti archeologici: mostrando l’avidità, la brama sterile di collezionare oggetti senza comprenderne il valore, l’incuria e l’abbandono. Ed è qui che anche la più bella delle sculture di Cibele, trovata tra una discarica, i sotterranei di una fabbrica e il mare, diventa «non per gli occhi degli umani».
La continua rottura tra un mondo che esiste e un mondo che è esistito, tra il terreno pesante e un sottosuolo in cui, invece, sembra di poter volare, nuotare o stare a testa in giù (come lo splendido disegno sulla locandina), fa riflettere anche su come la bellezza del passato abbia bisogno di essere valorizzata da chi è capace di amarla e che, se non si è capaci di farlo, forse è meglio lasciarla nelle viscere della terra, così come voluto coloro che avevano deciso di essere seppelliti in quei luoghi.
I lavori di Rohrwacher hanno sempre affrontato il tema del passato, ma questa volta la regista ha attinto al suo personale amore verso l’archeologia e verso il popolo etrusco di cui ammira il culto dell’anima e il l’impegno nel creare degli oggetti bellissimi, riservati alle tombe e al mondo del defunto. È una scelta estremamente importante quella di portare al cinema anche l’oscurità legata al mondo archeologico, senza fronzoli, così come l’intenso traffico illecito nell’Italia degli anni ’80, che innesca sicuramente una riflessione nello spettatore. Nonostante la tematica possa sembrare ostica ai non esperti, La chimera è un film per tutti: poetico, nostalgico, avventuroso, sognante, ma anche catartico, senza cadere in aspetti forzatamente didattici, puro, così come lo si vede.
«Signore, stava sognando? Mi spiace, ma non saprà mai come andrà a finire».
Nemmeno gli Etruschi sapevano come sarebbe andata a finire, né che degli uomini senza scrupoli, qualche secolo dopo, avrebbero disturbato il loro profondo sonno; ma non sapevano nemmeno che, dall’altra parte, sarebbe arrivato qualcuno per preservare e condividere il loro mondo, mettendolo a disposizione della comunità intera.
Grazie ad Alice Rohrwacher. Era davvero il momento che qualcuno parlasse al pubblico del valore autentico di un passato lontano e in modo semplice.
Nata a Messina, ma vive a Roma. Si è laureata in Archeologia presso l’Università di Roma Tor Vergata con una tesi che coniuga Archeologia della Magna Grecia e Diritto dei Beni Culturali, in collaborazione con il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. Si è quindi specializzata in Management delle Risorse Artistiche e Culturali, presso l’Università IULM, sede di Roma. Collabora da diversi anni con l’Associazione Culturale Arkekairos, che si occupa di promozione del Patrimonio Culturale in ambito romano e laziale, con particolare interesse verso gli studenti della scuola superiore. Attualmente lavora nei Servizi e Rapporti con il Pubblico presso i Musei Vaticani. Precedentemente ha collaborato con FOROF, spazio espositivo al Foro di Traiano e con Museiincomune Roma, con mansioni di accoglienza e biglietteria. Nel tempo libero le piace conoscere posti nuovi, esplorare e condividere le piccole scoperte attraverso il suo profilo “Letiziachefacose”.