Lo scriviamo subito per non incorrere in tediosi fraitendimenti: il Castello del Buonconsiglio, insieme al MUSE – Museo delle Scienze e al Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (e al Museo Diocesano Tridentino ai – bei – tempi della guida corsara di Domenica Primerano), rappresenta la punta di diamante della proposta culturale trentina. La cornice prestigiosa e monumentale in centro città, la storia che lo precede per fascino e fama, dal raffinato mecenatismo di Bernardo Clesio all’impiccagione di Cesare Battisti, la cura, la ricerca e le relazioni istituzionali e scientifiche che tessono ogni esposizione, la professionalità di dirigenti e funzionari, che offrono il meglio di sé, e ne hanno dato ulteriore conferma nel corso della pandemia, e le offerte diversificate, dai laboratori alle lezioni tematiche con bollicine di Trento DOC fino agli spettacoli che sempre incantano grandi e piccini, ultimo in ordine di tempo il delizioso La bella e la bestia, sono lo scheletro, i muscoli, la testa e il cuore di un bene che è dei trentini e di tutti coloro che passano da lì. Per questo le aspettative su Museo Anno Zero. Opere recuperate (1919-1923) non potevano che essere alte, visti i precedenti e considerata la ricorrenza che il Castello, nella veste di museo, si appresta a celebrare: cento anni di tutela e valorizzazione delle collezioni provinciali sono un traguardo importante che perfettamente si sposa con un ritorno alle origini.
E allora si riparte dal 10 settembre 1919. La Grande Guerra è terminata da quasi un anno e la firma del trattato di Saint Germain ufficializza il passaggio del Trentino Alto Adige, dopo secoli di dominio asburgico, al Regno d’Italia. Non un semplice cambio di casacca, ma uno dei più controversi e sofferti cambi di paradigma – politico, culturale, sociale e linguistico – che la storia locale abbia mai attraversato. A ciò si somma la delicata partita attorno al patrimonio storico e artistico, pubblico e privato, che nel corso dell’Ottocento e durante gli anni del conflitto era stato smembrato, portato in Austria, disperso nei possedimenti dell’impero e confluito nelle maggiori istituzioni museali austro-ungariche. Giuseppe Gerola, a quel tempo Soprintendente ai Monumenti della Romagna, ottiene il trasferimento a Trento e prende servizio come responsabile della struttura di tutela e conservazione: grazie alla capacità diplomatica e alla caparbia abnegazione, che Gerola esercita incessantemente fino al 1923, e all’intervento di personalità del calibro di Corrado Ricci, Ettore Modigliani, Gino Fogolari e Giovanni Battista Rossano, giusto per citarne alcuni, si deve il rientro in regione di molti beni artistici, archeologici, bibliografici e archivistici.
«Tre vagoni ferroviari contenenti il patrimonio artistico riscattato nei musei austriaci hanno finalmente varcato la frontiera… in uno dei vagoni sono contenute le opere d’arte del Trentino che quanto prima saranno esposte nel Museo nazionale al Castello del Buonconsiglio». È il 31 ottobre 1921 e Il Nuovo Trentino annuncia il primo successo di una lunga e complessa missione. Il 27 aprile 1924 inaugura il Museo nazionale, ora semplicemente Castello del Buonconsiglio, con Gerola primo direttore per meriti acquisiti sul campo. Dall’esempio e dalla gratitudine verso questo monuments man del patrimonio culturale trentino prende le mosse la mostra del Centenario a cura di Laura Dal Prà e Claudio Strocchi; un evento che coincide con una ricorrenza altrettanto importante come i cinquant’anni dall’attuazione del passaggio di competenze del settore culturale dallo Stato alla Provincia autonoma di Trento, per effetto del secondo Statuto di Autonomia (1973/1974). Ma, se l’intenzione era quella di far «scoprire un capitolo poco conosciuto della nostra storia e riconsiderare il passato con i corretti strumenti critici», dobbiamo purtroppo constatare che la figura di Giuseppe Gerola non sembra sufficientemente inquadrata: avrebbe forse meritato una introduzione esclusiva, a inizio esposizione, anziché un racconto frammentario che si perde nelle didascalie. Non tutti i visitatori hanno sensibilità, curiosità e tempo per leggere l’intero corredo e il rischio è di lasciare il Castello senza aver chiaro che Giuseppe Gerola lì sia stato il primo custode e direttore: le opere sono e devono essere il centro della narrazione, ma senza quel suo provvidenziale impegno oggi si troverebbero chissà dove e in chissà quali altre vetrine.
Tra i pezzi più importanti rientrati, appartenenti alle attuali collezioni e ora disponibili al piano nobile, si incontrano i sei Codici musicali trentini del XV secolo, un “unicum” che rappresenta la più significativa raccolta di musica polifonica quattrocentesca esistente al mondo, diversi gioielli e reperti archeologici provenienti da località come Civezzano e il Doss Trento, codici e documenti archivistici del Principato vescovile, conservarti presso l’Archivio di Stato di Trento, un rarissimo Evangeliario del V secolo su pergamena color porpora, il Sacramentario Udalriciano del 1042, la Fontanella bronzea madruzziana. Il progetto espositivo ha il pregio di mettere in relazione un patrimonio estremamente eterogeneo e si avvale della collaborazione delle principali istituzioni culturali provinciali con prestiti dall’Archivio di Stato, dalla Fondazione Museo Storico e da alcune parrocchie trentine, nonché del supporto conservativo assicurato dalla Soprintendenza per i beni culturali.
Rarità, pregio, valore storico e simbolico degli oggetti selezionati non sono argomento di critica né di discussione, ma l’allestimento proposto non è all’altezza della creatività scenografica a cui il Castello del Buonconsiglio ci ha abituati negli ultimi decenni di apprezzatissime – e riuscite dal punto di vista scientifico – mostre temporanee. La cupezza di alcune sale, giustificata dalla necessità di preservare il più possibile codici e documenti, mal si combina con la scelta cromatica che accompagna le didascalie. La sostanza c’è, sulla forma probabilmente si potevano trovare altre soluzioni, e prova ne è il trionfo della Sala degli Specchi, iconica e sfarzosa già per sua natura, chiude la mostra con Lo strano caso di Castelnuovo in Valsugana e il recupero del parato liturgico settecentesco – un piviale, due dalmatiche, una pianeta, una stola, tre manipoli e un velo da calice – in raso di seta ricamato in ciniglia policroma e argento dorato, trafugato durante l’occupazione napoleonica.
Cosa ci è piaciuto: lo Sposalizio di santa Caterina tra santi e devoti, un olio su tela di Marcello Fogolino, dipinto nel 1520 e riscattato da Gerola nel 1933 «come opera significativa per la storia locale», il morione della seconda metà del XVI secolo, rivendicato, scambiato e rilasciato nel 1921, e il calice in argento dorato della metà del XV secolo, uscito dalla bottega di Bartolomeo da Bologna (Antonio di Giovanni e Francesco di Comino), da soli valgono il prezzo del biglietto.
Cosa ci è piaciuto poco: l’allestimento e le due vetrine, entrambe spaccate, della prima sala. Non è l’incipit che ci si aspetta, figuriamoci a pochi giorni dall’inaugurazione. L’abbiamo segnalato il 5 dicembre e abbiamo nuovamente verificato: sono ancora rotte.
Poteva essere l’occasione per segnare un rigore a porta vuota, per celebrarsi perché di ragioni per farlo il Castello del Buonconsiglio ne ha solo l’imbarazzo della scelta, per riscoprire e valorizzare la figura e l’impegno del primo direttore, e per ricordare a tutti, trentini e non, che il patrimonio culturale è nostro solo se qualcuno lo reclama e se ne prende cura, invece è parsa, stranamente, una mostra un po’ sottotono. In ogni caso una visita non può che far bene alla salute e alla memoria.
Museo Anno Zero. Opere recuperate (1919-1923) al Castello del Buonconsiglio di Trento fino al 5 maggio 2024. Aperto al pubblico dal martedì alla domenica, con orario 09:30-17:00, chiuso i lunedì non festivi.
Dopo la laurea a Trento in Scienze dei Beni Culturali, in ambito storico-artistico, ho “deragliato” conseguendo a Milano un Perfezionamento in Scenari internazionali della criminalità organizzata, un Master in Analisi, Prevenzione e Contrasto della criminalità organizzata e della corruzione a Pisa e un Perfezionamento in Arte e diritto di nuovo a Milano. Ho frequentato un Master in scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Colleziono e recensisco libri, organizzo scampagnate e viaggi a caccia di bellezza e incuria.