Fare i conti istituzionalmente con il proprio passato nazionale, rendere la memoria consapevolezza e patrimonio collettivo, trasformare principi e intenzioni in azioni, mediare trovando soluzioni riparative ai soprusi e ai danni subiti anche a distanza di decenni è un percorso che, come cerca di raccontare la recente pubblicazione di Simona Candia, rischia di arenarsi su ogni tornante. Per mancanza di sensibilità e volontà politica, per carenza di fondi, per assenza di documenti o per inaccessibilità degli archivi, per lacune normative o per linee guida non vincolanti, per decorrenza dei termini, prescrizione e oblio. Per un pezzetto, a seconda del caso, anche di tutti questi ostacoli insieme. Porre rimedio alle spoliazioni e alle vendite forzose delle collezioni d’arte di musei e di privati cittadini ebrei, perpetrate in seguito alle leggi razziali fasciste, per mano dei nazisti o durante l’occupazione tedesca, è una delle questioni più complicate e delicate che abbiamo ereditato dal Novecento e che ogni Paese ha affrontato – e continua ad approcciare – con determinazione, tempi e modalità differenti. Questo è quanto emerge piuttosto chiaramente dal lavoro di Candia.
È sufficiente il confronto tra Germania e Italia per comprendere come questo capitolo della Storia sia stato maneggiato con strumenti e urgenze diversi. Sul versante tedesco, decreti dal raggio e dagli effetti limitati, anche nel tempo, hanno indotto a ritenere negli anni ’60 che la partita fosse chiusa, salvo poi riprendere vigore con la caduta del Muro di Berlino e la definitiva unificazione attraverso nuovi interventi normativi e la costituzione di una banca dati, liberamente consultabile, in conformità con gli impegni sottoscritti a Washington nel 1998. E l’Italia? Rispetto agli altri Paesi occidentali ha fronteggiato con notevole ritardo «il tema della spoliazione dei beni ebraici da parte dei nazisti ma anche a seguito delle leggi antiebraiche fasciste, non creando la banca dati prevista dagli Accordi di Washington e da quelli successivi, pur avendoli sottoscritti, effettuando solo in modo parziale la ricognizione negli inventari delle proprie istituzioni museali pubbliche, avviando solo episodicamente e su iniziativa spesso dei singoli dirigenti (come ben esemplificato in questo saggio) l’attività di recupero», scrive in prefazione Micaela Procaccia, componente del Gruppo di lavoro per lo studio e la ricerca sui beni sottratti in Italia agli ebrei tra il 1938 e il 1945 a seguito della promulgazione delle leggi razziali, istituito solo nel 2020 e privo di una solida dotazione finanziaria a supporto. Più o meno una foglia di fico.
La collezione di Bruno Lohse, vicedirettore della Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg a Parigi, una costola del regime nazista con il mandato di saccheggiare e sequestrare le opere d’arte nei Paesi occupati, è stata ritrovata nel caveau di una banca a Zurigo nel 2007; quella di Hildebrand Gurlitt, storico dell’arte, mercante e collaboratore di Hitler, che negli anni raccolse e occultò 1.280 opere, per lo più ritenute perdute, è stata rinvenuta nel 2012 a Monaco di Baviera, presso l’abitazione del figlio Rolf Nikolaus Cornelius. Questi due esempi, sebbene clamorosi, testimoniano quanto il tema sia ancora di viva attualità. E sono inoltre indicatori di come, abbastanza di frequente, i termini delle controversie e delle restituzioni riguardino questioni tra privati ed eredi – che sono altra cosa dai contenziosi tra musei di Paesi diversi e tra istituzioni e cittadini – la cui soluzione è spesso piuttosto lunga e affatto scontata.
“L’indifferenza è il peso morto della storia”, ha scritto Antonio Gramsci, ed è un peso con cui stiamo ancora facendo i conti, grazie al cincischiare dei nostri Governi che si sono succeduti e alternati. Eppure, anche nei periodi più bui della Storia, se guardiamo con attenzione, possiamo trovare degli spiragli di luce: a Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri accondiscendente con il regime, si oppose Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione Nazionale. Non gli riuscì di trattenere il Discobolo Lancellotti, ma il suo documentato rifiuto alla “vendita” ed esportazione fu determinante per la restituzione dell’opera. Ai predatori si contrappose un minoranza di militari tedeschi che contribuì alla salvaguardia e al rientro delle collezioni italiane. Alle razzie e ai bombardamenti, uomini e donne, che oggi ricordiamo come Monuments Men and Women, vi posero argine e rimedio a costo anche della propria incolumità personale. È doveroso tenerlo a mente.
La strada è in salita, ma il viaggio è giusto e necessario che sia ancora raccontato.
SCHEDA
Autore: Simona Candia
Titolo: Il viaggio dell’arte rubata. Ricerca e restituzione delle opere d’arte trafugate durante la Seconda Guerra Mondiale
Editore: Ravizza Editore
Anno edizione: 2023
Pagine: 121
Prezzo: 18,50 E
Dopo la laurea a Trento in Scienze dei Beni Culturali, in ambito storico-artistico, ho “deragliato” conseguendo a Milano un Perfezionamento in Scenari internazionali della criminalità organizzata, un Master in Analisi, Prevenzione e Contrasto della criminalità organizzata e della corruzione a Pisa e un Perfezionamento in Arte e diritto di nuovo a Milano. Ho frequentato un Master in scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Colleziono e recensisco libri, organizzo scampagnate e viaggi a caccia di bellezza e incuria.