Il riciclo – non sano e non sostenibile – di opere d’arte
Se poi si passa ai problemi del riciclaggio ci si rende conto che la situazione è non meno grave di quella del racket delle estorsioni
(Giovanni Falcone)
Ci sono intuizioni, confluite in un metodo strutturato di indagine giudiziaria che, nonostante un po’ datate nel tempo, sono tuttora fondamentali e valide nel contrasto del malaffare. Il crimine, soprattutto quello organizzato, si evolve costantemente nelle modalità esecutive, rimanendo nel contempo fermo nel proposito di ricorrere a qualsiasi mezzo per ottenere un arricchimento. Le geniali intuizioni di Giovanni Falcone, sono partite dalla valutazione attenta della casistica delle fattispecie dei reati contro l’economia, analizzando il modus operandi in connessione al delitto di “Associazione di tipo mafioso”. Sono i presupposti che hanno consentito di strutturare l’impianto accusatorio del Maxi Processo.
Il delitto di riciclaggio (art. 648-bis del Codice Penale) è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 18 maggio 1978, n. 191 di conversione del decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59. In origine, questo delitto prevedeva come reato presupposto la rapina, l’estorsione nelle ipotesi aggravate o il sequestro di persona a scopo di estorsione. Successivamente, la legge 7 agosto 1992, n. 356, ha previsto la possibilità di ritenere l’art. 416-bis del Codice Penale, quale delitto presupposto dei reati di riciclaggio e di reimpiego di capitali quando la contestazione di riciclaggio o reimpiego riguardi denaro, beni o utilità provenienti dal delitto, come stabilito anche dalle Sezioni Unite della Cassazione. È stato sancito infatti che si risponda di illecito reimpiego unicamente quando non sussista alcun concorso nel reato che costituisce il presupposto dell’approvvigionamento dei capitali reinvestiti. In sintesi le condotte tipizzate sono ascrivibili:
– al soggetto che ricicla o reimpiega i proventi derivanti da uno dei delitti fine dell’associazione mafiosa a secondo sia membro interno o esterno del sodalizio e fuori dai casi di concorso di reato;
– al soggetto che ricicla o reimpiega i proventi frutto diretto dell’associazione per delinquere di tipo mafioso (i proventi prodotti dall’associazione mafiosa, attraverso il metodo mafioso, senza la commissione di ulteriori reati).
Rileva un criterio di natura temporale in relazione al concorso di persone nel reato presupposto, allorquando l’accordo fra l’autore di tale reato e il soggetto dedito al riciclaggio, o al reimpiego, sia occorso in un’epoca precedente la commissione del reato stesso. La prospettiva di sostenere le attività di riciclaggio è certamente idonea a rafforzare il proposito criminoso dell’autore materiale. D’altro canto vi sono stati orientamenti difformi a livello giurisprudenziale che valutano il concorso di persone nel reato e l’accordo preventivo sulla base del mero dato temporale per verificare, a seconda della casistica, se la premessa assicurazione di “ripulire il denaro sporco”, o di reimpiegarlo, abbia concretamente influenzato o rafforzato, nell’autore del reato principale, la scelta di delinquere e se, il soggetto dedito al riciclaggio, o reimpiego, si sia attivamente determinato per produrre le conseguenze della propria condotta sull’esecutore materiale, contribuendo consapevolmente alla realizzazione del reato presupposto.
Di fondamentale importanza è valutare le modalità con cui i capitali illeciti contribuiscano alle attività economico-produttive, destinate nel tempo a imporsi sulle altre realtà che offrano beni e servizi ricadenti sull’area geografica di riferimento. L’accertamento di questo aspetto costituisce un’aggravante che – come precisato dalle Sezioni Unite della Cassazione – si profila anche quando gli utili reimpiegati nelle attività produttive non siano totalmente derivanti da delitto ma siano, in parte, scaturiti della gestione formalmente lecita delle attività in questione.
Fatta questa premessa, è opportuno considerare, per avere un quadro più ampio, il contenuto del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 90, di attuazione della Direttiva UE 849/2015 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo. Alla disciplina delle misure antiriciclaggio e di prevenzione del terrorismo, è seguita peraltro la proposta di Direttiva della Commissione Europea, che rafforza l’azione di contrasto e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo. Tale proposta di Direttiva mira a estendere i poteri e le attribuzioni delle polizie specializzate a livello statale per realizzare una rete europea che si possa avvalere di strumenti di accesso alle informazioni e incrementare l’attività di prevenzione. L’attuazione di questa Direttiva ha ampliato e rimodulato le attribuzioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze con riferimento al ruolo di coordinamento e collaborazione con le istituzioni europee e internazionali, nonché con i soggetti che, pubblici e privati, sono chiamati ad adempiere alle prescrizioni orientate e a prevenire e identificare episodi di utilizzo del denaro a fini di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo.
Tra le misure più incisive è stata confermata la confisca, così come introdotta nel 2010 e modificata nel 2012, in relazione agli strumenti utilizzati nel contrasto del reato, applicabile, in connessione alla commissione alla violazione di attività abusiva di prestazione dei servizi di pagamento (art. 131-bis T.U.B.). È prevista pertanto la confisca, in caso di condanna o di applicazione della pena per patteggiamento, per il solo reato di cui al comma 5 – relativo alle carte di pagamento – delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché del profitto o del prodotto, anche nella forma per equivalente. Ai sensi del comma 7, gli strumenti sequestrati ai fini della confisca possono essere affidati alla polizia giudiziaria per essere impiegati nelle loro attività istituzionali.
L’impianto giuridico si è affinato con l’adozione all’articolo 518-sexies del Codice Penale, derivante della riforma apportata con la legge 9 marzo 2022, n. 22, che ha inserito il titolo VIII-bis “Dei delitti contro il patrimonio culturale nel Codice Penale”. La norma recita: “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce beni culturali provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da cinque a quattordici anni e con la multa da euro 6.000 a euro 30.000.
La pena è diminuita se i beni culturali provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni”. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando l’autore del delitto da cui i beni culturali provengono non è imputabile o non è punibile ovvero quando manca una condizione di procedibilità riferita a tale delitto. La norma in disamina è di fatto un reato speciale, atteso che il bene tutelato dalla norma è bene culturale come previsto dall’art. 10 del D.L.vo 42 del 2004. La configurabilità dello specifico reato comporta che il bene culturale debba provenire da delitto. Il soggetto che ricicla il bene culturale non deve aver commesso o concorso a commettere (vedi infra) il delitto presupposto.
La premessa è utile per compiere una sintesi con la disciplina precedente ancora in vigore, tenendo conto che emergono peculiarità a livello oggettivo e soggettivo derivanti in base al principio di specialità1 ex art. 15 C.P.(1). La condotta attiva del reato di riciclaggio consiste nel sostituire o trasferire beni culturali, ovvero compiere in relazione a essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa. In particolare:
– con la sostituzione, il bene culturale viene trasformato, scambiato con altro per scongiurare il collegamento con un reato presupposto (ipotesi diversa dalla ricettazione);
– con il trasferimento, ovvero la circolazione del bene culturale tra vari luoghi e soggetti, si intende evitare la possibilità di identificare la provenienza illecita del bene stesso.
A livello soggettivo, la norma implica la sussistenza del dolo generico, ovvero la coscienza e la volontà del reo di sostituire, trasferire o compiere operazioni tali da rendere difficoltosa l’identificazione della provenienza delittuosa. Il reato di specie si realizza senza che vi sia utilità, essendo sufficiente che il soggetto sia stato consapevole di aver sostituito o trasferito il bene culturale, ovvero aver compiuto operazioni tali da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa. È evidente come sia fondamentale, soprattutto ai fini di recupero, l’individuazione dei beni riciclati e il loro sequestro – anche per equivalente – ai fini della confisca.
Non da ultimo, è stato innalzato ulteriormente il dispositivo di contrasto. L’art. 2 della legge 9 marzo 2022, n. 22, alla lettera b-bis all’art. 9, che disciplina le operazioni sotto copertura, consentono agli ufficiali di polizia giudiziaria degli organismi specializzati nel settore dei beni culturali, nell’attività di contrasto dei delitti di riciclaggio e autoriciclaggio di beni culturali, i quali nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova, anche per interposta persona, compiono le attività di cui alla lettera a). Gli ufficiali di polizia giudiziaria che compiono attività sotto copertura non rispondono di concorso nel reato di riciclaggio o auto riciclaggio di beni culturali in base all’esimente contemplata dal diritto penale vigente.
È indubbio che l’adozione di questo dettame evidenzia come sia maturata la sensibilità verso il patrimonio culturale, fatto che ha certamente influenzato il legislatore anche in un’ottica di cooperazione tra Stati. Al netto di alcune polemiche, che hanno criticato l’introduzione di questo reato e delle altre fattispecie specifiche come espressione autoritaria di uno Stato di polizia, sarà necessario considerare gli approfondimenti di dottrina e soprattutto l’orientamento della giurisprudenza. È il modo migliore per verificare l’effettiva applicabilità ed efficacia dell’intera normativa.
Si è discusso parecchio, di recente, proprio del reato di ricettazione di beni culturali, in relazione a presunte condotte illecite di un noto esponente di governo che, in concorso con altre persone, avrebbe acquisito la disponibilità di un bene culturale (dipinto del Seicento) provento di un furto avvenuto anni fa in un castello della provincia di Torino. La provenienza delittuosa dell’opera sottratta sarebbe stata mascherata con operazioni atte a ostacolarne l’identificazione (nello specifico: facendovi inserire elementi di pittura nella scena ritratta; attribuendola ad autore diverso rispetto a quello individuato in precedenza; ascrivendone la titolarità tra le proprietà mobiliari di una fondazione collegata allo stesso esponente politico). Del caso scottante si sono occupati, ampiamente, testate giornalistiche e trasmissioni televisive attraverso la conduzione di inchieste dedicate. Sarà importante, senza alimentare ulteriori e inutili provocazioni, seguire l’esito dell’indagine, tenuto conto che i Carabinieri del TPC hanno già eseguito, su disposizione della Procura di Macerata, perquisizioni nelle proprietà del noto politico e che il dipinto è stato sequestrato per accertamenti.
Il diretto interessato ha dichiarato di essere assolutamente sereno. A dire dello stesso, il provvedimento a suo carico è un atto dovuto di cui non ha nulla da temere, in quanto vi sarebbero elementi, in primis le misure differenti del dipinto sequestrato con quello sottratto. Questa discrasia, secondo l’indagato, dimostrerebbe la sua piena buona fede. Anche questa volta sarà dunque il tempo, risorsa scarsa per definizione e non riciclabile, che ci condurrà, si spera, alla verità.
- Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito.
Opinionista