di Fab.Fe
Il procuratore della Repubblica di Torre Annunziata, Nunzio Fragliasso, l’ha detto senza mezzi termini: “Della restituzione all’Italia del Doriforo bisogna parlarne. E più l’opinione pubblica riuscirà a farsi sentire più ci saranno probabilità di rompere il muro di indifferenza e di silenzio dietro il quale si è trincerato il Museo di Minneapolis, dove è esposta la statua”. Nel corso della conferenza stampa tenuta con il direttore del Parco Archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel, il procuratore Fragliasso (competente anche per l’area dell’antica Stabia) ha ricostruito le iniziative adottate dalla magistratura di Torre Annunziata, dal Parco Archeologico di Pompei e dal Ministero della Cultura per riportare a casa il Doriforo.
Trafugato nel 1975 nell’area archeologica dell’antica città di Stabia (oggi Castellammare di Stabia), a due passi da Pompei, il Doriforo di Stabia è considerato la più bella copia romana dell’originale, ormai perduto, realizzato dal greco Policleto, ed è oggi uno dei “pezzi forti” del museo americano, sordo, ormai da due anni, alle richieste di restituzione che arrivano dall’Italia. Richieste fondate sul diritto: non solo norme italiane ma anche ben tre trattati, siglati da Italia e Stati Uniti per la tutela dei beni culturali. E tutto puntellato da elementi di prova – ha spiegato il procuratore Fragliasso-: testimonianze, documenti, scambi di corrispondenza, nei quali la vicenda del Doriforo è raccontata nei minimi particolari. E spesso, negli scambi epistolari che fanno parte del fascicolo di indagine, compaiono affermazioni che valgono quanto una confessione. Ad esempio non viene nascosto il timore che venga scoperta la vera storia del viaggio del Doriforo da Stabia a Minneapolis. E cioè che la statua, tagliata in 4 pezzi, non era stata ritrovata in mare ma scavata a Stabia. Al punto che alcune tracce trovate sull’opera potevano essere state prodotte solo da una lunga permanenza sotto terra. Per non parlare degli elementi che provavano il percorso fatto dalla statua, dal trasferimento in Svizzera e poi in Germania, a Monaco di Baviera dove fu esposto nella Gliptoteca. Quindi il sequestro deciso dalla magistratura tedesca, il successivo dissequestro e infine la sparizione dell’opera che sarebbe ricomparsa più tardi al Museo di Minneapolis. Operazione che sarebbe stata gestita dal mercante d’arte di Varsavia, con uffici a Basilea, Elie Borowski.
Purtroppo fino ad ora la documentazione, gli atti e i risultati delle indagini prodotti dalla Procura con i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale non hanno prodotto i risultati sperati. Il decreto di confisca immediata del Doriforo è stato notificato al museo americano che non ha fiatato (e comunque non ha nemmeno dato il via ad una azione legale per opporsi al provvedimento). E nessuna notizia è arrivata nemmeno da Washington, dalle autorità federali. Insomma, diversamente da quanto è accaduto negli ultimi quattro anni, in occasione dell’individuazione di tanti preziosi reperti archeologici scavati dai tombaroli in Italia e portati via dai trafficanti, cui è seguito il rientro nel nostro Paese di centinaia di opere in particolare da musei e fondazioni di New York ma anche dal Getty Museum di Los Angeles.
Ad aprile 2023 Gabriel Zuchtriegel, il direttore di Pompei, e il generale Vincenzo Molinese, allora al vertice del Comandante Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri, avevano tentato una mediazione, offrendo alla direzione del Museo di Minneapolis prestiti a lungo termine di reperti archeologici da Pompei in cambio della restituzione del Doriforo. Ma niente da fare. Così alla fine il direttore generale dei Musei del Ministero della Cultura, Massimo Osanna, ha deciso di bloccare ogni forma di collaborazione con il Museo di Minneapolis, almeno fino a quando il Doriforo (manifestamente provento di un reato) non tornerà in Italia. Una decisione che pare non riguardare solo il museo del Minnesota. Tutti gli altri che espongono o conservano nei depositi reperti portati via clandestinamente dal nostro Paese sono avvertiti.
The Journal of Cultural Heritage Crime (JCHC), con sottotitolo L’Informazione per la Tutela del Patrimonio Culturale, è una testata giornalistica culturale, registrata presso il Tribunale di Roma con n. 108/2022 del 21/07/2022, e presso il CNR con ISSN 2785-7182. Si configura sul web come contenitore di approfondimento, il primo in Italia, in cui trovano spazio i fatti che quotidianamente vedono il nostro patrimonio culturale minacciato, violato e oggetto di crimini. I fatti sono riportati, attraverso un linguaggio semplice e accessibile a tutti, da una redazione composta da giornalisti e da professionisti del patrimonio culturale, esperti nella tutela. JCHC è informazione di servizio, promuove le attività di contrasto ai reati e sostiene quanti quotidianamente sono impegnati nella attività di tutela e valorizzazione del nostro patrimonio culturale.