La grandezza di un uomo risiede per noi nel fatto che egli porta il suo destino come Atlante portava sulle spalle la volta celeste
(M. Kundera)
Fino a pochi giorni fa, se avessimo chiesto in giro chi o cosa sia un telamóne avremmo ottenuto le risposte più disparate: un salame, un formaggio, un attrezzo. Forse i più anziani, i più informati, seppur un po’ smemorati lo avrebbero confuso con il termine partenopeo “sarchiapone”, rimandando alla celeberrima scenetta comica, ambientata in uno scompartimento di un treno, con Walter Chiari e Carlo Campanini: tante risate. Niente di tutto questo però. Bisogna essere seri, scomodare l’architettura classica e il vocabolario on-line di Treccani:
Telamóne s. m. [dal lat. telămo(n)-onis, gr. τελαμών -ῶνος, affine al gr. τλῆναι «sostenere» e al lat. tollĕre«sollevare»]. – In architettura, figura maschile scolpita (detta anche atlante), usata in luogo di colonna o pilastro a sostegno di sovrastanti membrature architettoniche.
Non basta. Wikipedia ha riattualizzato, in ossequio alla frenetica contemporaneità, il termine. Nella pagina dedicata propone infatti la fotografia proprio del “Il telamone del tempio di Zeus Olimpio” custodito al Museo Archeologico Regionale “Pietro Griffo” di Agrigento: siamo al solito “purché se ne parli?”. E in effetti se n’è parlato tanto, anche a sproposito, ma al di là delle varie declinazioni dell’ironia, non proprio tutte divertenti e intelligenti, forse è il caso di affrontare l’argomento che, riguardando un bene culturale (sic!), desta il nostro interesse.
Dobbiamo fare un salto nel passato, più di due millenni, quando fu realizzato, ad Akragas, il tempio dedicato a Zeus Olimpio. A sostenere la struttura i telamoni, sculture di grandi dimensioni che assolvevano la duplice funzione di elemento architettonico e di ornamento. Dopo attenti studi, è stato deciso di riproporre la statua, anche in previsione del fatto che Agrigento, nel 2025, sarà la Capitale italiana della cultura. Fervono dunque i preparativi in una provincia che, tradizionalmente, è stata un punto di riferimento per le proprie vestigia, in particolare il Parco Archeologico della Valle dei Templi.
Le indagini condotte nel sito, a partire dagli anni Venti, hanno consentito l’identificazione di oltre novanta parti di statue tutte ricondotte ai telemoni del tempio, che probabilmente erano otto. La polemica di questi giorni è scaturita dal fatto che la ricostruzione della scultura, alta circa otto metri, è stata possibile grazie all’assemblaggio di questi frammenti, tenuti insieme da una lamina di acciaio alta oltre dieci metri.
Il monumento è stato presentato alle autorità nel corso di una cerimonia il 29 febbraio scorso e i commenti si sono sprecati, come sempre divisi nelle fazioni del pro e del contro. La scelta è stata criticata da numerosi archeologi ed esperti, soprattutto per la metodologia con cui è stata effettuata la ricostruzione della statua, unita al fatto che l’opera risulta di fatto decontestualizzata dal sito originario e, pertanto, non soddisfa i criteri del rigore scientifico, bensì soggiace a mere logiche di marketing. Ovviamente la decisione è, viceversa, supportata da coloro che hanno portato avanti il progetto in vista dell’evento culturale del prossimo anno. Per costoro infatti costituisce un’opportunità imperdibile per attirare media e turisti al Parco Archeologico e alla città di Agrigento dove, peraltro, al Museo Archeologico Regionale, è custodito, come già detto, un altro telamone ricomposto di cui i più ignorano l’esistenza.
Questa iniziativa si inserisce in un progetto più ampio che aspira a musealizzare il sito ove sorgeva il tempio di Zeus. Tale intervento prevede la ricostruzione di una parte delle strutture e della cornici del tempio, con l’obiettivo di restituire al visitatore una visuale aderente alle dimensioni originarie del monumento e prevedendo altresì la realizzazione di una struttura dove possano essere custoditi i reperti di riferimento. Gli studi preliminari sono stati avviati nel 2004 dall’Istituto Archeologico Germanico di Roma e, finora, sono stati spesi cinquecentomila euro di fondi del Parco.
Preso atto che il mondo scientifico è tutt’altro che concorde in merito alla bontà del risultato, vi è da chiedersi se le azioni finora compiute siano davvero positive, se intendono dare valore a un bene che, ricordiamolo, fa parte del patrimonio culturale, e se vogliono sviluppare le potenzialità culturali e turistiche, vista di un miglioramento delle condizioni e delle modalità di fruizione dello stesso in relazione al suo contesto di origine.
Sospendiamo perciò il giudizio fino alla conta delle visite e dei biglietti staccati? Probabilmente è un approccio un po’ superficiale. Non possiamo evitare di fare una valutazione dell’espressione estetica: come giudichiamo questo telamone? Possiamo definirlo bello? Se fossimo coerenti con la maggior parte dei giudizi espressi dal pubblico potremo azzardare il termine “divertente”. Questo giudizio però sarebbe più aderente a un’opera pop, non certo a un bene archeologico di epoca classica. Se, come accaduto, passa poi l’equazione per cui questa statua mitica è ormai considerata dai più alla stregua di un gadget pubblicitario, o erroneamente associato al mostro di Frankenstein, non abbiamo fatto un buon servizio alla cultura, se non altro alla sua corretta diffusione.
Ora non si vorrebbe far inquietare gli dèi, in particolare Zeus, e assistere a una nuova guerra tra Titani (?), semmai esistano ancora, e di cui, a dirla tutta, trattandosi pur sempre di un sanguinoso conflitto, non ne abbiamo certo bisogno.
Opinionista