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La modernità di Fernanda Wittgens

Fernanda, Copertina
(Tempo di lettura: 5 minuti)

Laureatasi nell’ottobre 1925 all’Università degli Studi di Milano con una tesi su I libri d’arte dei pittori italiani dell’Ottocento, Fernanda Wittgens l’anno successivo pubblica con il suo relatore, il professor Paolo D’Ancona, La moderna critica d’arte, un volume a cui seguiranno diverse ristampe, destinato a entrare nella manualistica scolastica di riferimento per lo studio della storia dell’arte. Frequenta la casa di Margherita Sarfatti, dà lezioni private alla figlia di lei, Fiammetta, di sei anni più giovane. “Il ruolo che può aver avuto Sarfatti nella vita di Wittgens è molto più che una semplice iniziazione all’arte del Novecento, piuttosto deve essere stata – per lei appena ventenne entrata in contatto con una donna di cui chiaramente subiva il fascino – una sorta di iniziazione alla vita moderna. Anche dal punto di vista del ruolo della donna all’epoca, di ciò che le era concesso e di ciò che le era proibito” (p. 36). Un’amicizia che Wittgens coltiva nonostante la distanza politica che le separerà sempre. Insegna in alcuni licei della città, compreso il Liceo Classico Statale “Luigi Parini”, dove si era diplomata a pieni voti nel 1919. Il 2 febbraio 1928 prende servizio come operaia avventizia, da precaria con paga giornaliera, alla Pinacoteca di Brera, assunta da Ettore Modigliani, a quel tempo direttore della Pinacoteca, soprintendente alle Gallerie d’arte della Lombardia e suo mentore che le assegna compiti di grande responsabilità come la ricognizione dei beni culturali da restaurare. Nel 1933 vince il concorso da ispettrice e nel 1935 Modigliani viene demansionato e trasferito con effetto immediato a L’Aquila: un esilio politico che durerà fino al 1946 per non aver aderito al fascismo ed essersi opposto alle scelte, a suo avviso scellerate, di modernizzazione della città di Milano. Il rigore morale e l’amore per l’arte, la competenza e l’autorevolezza, il legame con D’Ancona, Sarfatti e Modigliani, le leggi razziali e lo scoppio della guerra sono gli elementi, i protagonisti e gli scenari che condizionano irrimediabilmente le scelte personali e la vita professionale di Fernanda Wittgens.

Nel 1938 ottiene l’abilitazione a direttrice, ma solo due anni più tardi e dopo un altro concorso vince il posto a Brera: il primo agosto 1940 è la prima donna in Italia a guidare un museo statale. Il Paese è entrato in guerra da un mese e l’urgenza della neodirettrice, tra il 1941 e il 1944, è quella di mettere in salvo “i capolavorissimi”. Dipinti di Mantegna, Piero della Francesca, Caravaggio e di tanti altri maestri lasciano le sale della pinacoteca per essere nascosti alle razzie nazifasciste e messi in sicurezza dai bombardamenti alleati. Nell’agosto 1943 Brera, Santa Maria delle Grazie e tutta Milano sono ferite a morte. Il Cenacolo Vinciano è miracolosamente integro. Opere d’arte e vite umane trovano la salvezza grazie all’infaticabile impegno e all’eroica protezione di Wittgens. Il 21 luglio 1944 viene arrestata, con l’accusa di aver offerto aiuto all’espatrio clandestino in Svizzera di oppositori politici ed ebrei, come D’Ancona e la sua famiglia, e condannata dal Tribunale Speciale alla pena di quattro anni. Sconterà sette mesi, scrivendo e studiando inglese, e sarà liberata il 25 aprile 1945.

“Fernanda Wittgens non era un’intellettuale da torre d’avorio, né solo un’appassionata storica dell’arte, Fernanda Wittgens – scrive James M. Bradburne nel saggio di apertura di “Fernanda! Fernandissima!” – era una modernista in tutti i sensi, soprattutto per la ricostruzione della città che amava – una città lasciata in rovina, una città nelle cui prigioni aveva trascorso sette lunghi mesi, una città che aveva visto liberata dai nazifascisti” (p. 8) e che contribuì a risollevare. A partire da Brera che per tre anni era stata lasciata in totale abbandono. E “solo attraverso un’opera di svecchiamento della realtà artistica – sottolinea Erica Bernardi -, si possono superare gli orrori degli anni appena trascorsi e ridisegnare una nuova società civile” (p. 64). Il 9 giugno 1950 la Pinacoteca di Brera riapre con il discorso di inaugurazione di Wittgens: parole forti per “la vittoria spirituale della rinascita” e parole di gratitudine verso Modigliani, che il volume curato da Bernardi e Giuseppina Di Gangi riporta integralmente in appendice. “Volete una confessione? In queste raccolte e armoniose sale ove non vi è più neppure l’eco dello sforzo compiuto, noi sentiamo quasi la nostalgia di quello che era il cantiere di Brera: un cantiere ove la comunione commovente di operai o artisti, dirigenti ed esecutori creava l’armonico ritmo dell’alveare” (p. 130).

A soli 54 anni Fernanda Wittgens muore il 12 luglio 1957. È però nell’ultimo decennio, in concomitanza con la reggenza di Bradburne alla Pinacoteca di Brera, che la memoria di Wittgens ha conosciuto una riscoperta, anche mediatica, e il legittimo riconoscimento sociale e pubblico. Il 6 marzo 2014, insieme a Giuseppe Sala e Don Giovanni Barbareschi, le è stato dedicato dalla Fondazione GariwoGardens of the Righteous Worldwide un cippo e un albero nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo a Milano, in ricordo di quei Giusti milanesi “che salvarono numerosi ebrei e altri perseguitati durante l’occupazione nazista, sostenuti dalle reti di soccorso sul territorio”.

Diverse sono state le monografie, i podcast e le produzioni televisive che l’hanno recentemente celebrata. Il 31 gennaio 2023, la rete ammiraglia della Rai ha trasmesso, in prima visione nella prima fascia serale, Fernanda, un film diretto da Maurizio Zaccaro e interpretato da Matilde Gioli nei panni di Wittgens. Un prodotto modesto, purtroppo va detto, scolastico nella scrittura e poco espressivo nella recitazione, che ha comunque conquistato 3.231.000 spettatori con uno share del 17.1%, secondo solo a Inter-Atalanta, partita valevole per il quarto di finale di Coppa Italia (4.418.000spettatori, share del 21.2%).

Questa è la cartina tornasole di come l’interesse verso la vita e l’eredità morale e civile di Fernanda Wittgens sia più vivo e moderno che mai. Inoltre il 6 marzo scorso, in occasione della Giornata europea dei Giusti, Paolo Mieli ha condotto una puntata di Passato e Presente su Rai 3 interamente dedicata alla persona e alle opere di Wittgens. Ma è forse la pubblicazione della Biblioteca d’Arte di Skira, che tratteggia il quadro più rigoroso e ricco, anche dal punto di vista documentale, di Fernanda Wittgens: “Fernanda! Fernandissima!“, che dà il titolo al saggio, è l’incipit di una delle lettere della corrispondenza con Margherita Sarfatti. “La damnatio memoriae che aveva colpito Sarfatti, senza possibilità di recupero, doveva davvero essere rimasta impressa a Wittgens, che ha espunto dalle proprie lettere prima di morire ogni accenno alla vita privata che non fosse stato da lei stessa vagliato” (p. 37) o dalla sorella Mariuccia, dopo la sua morte. Nel volume curato da Bernardi e Di Gangi resta qualche frammento superstite del carteggio con l’amica Paola della Pergola, direttrice della Galleria Borghese dal 1949 al 1973. “Oggi in parte, si fatica a capire cosa venisse ritenuto così sconveniente nelle lettere all’amica, ma certamente in una prospettiva storica è meno difficile da comprendere: spesso la storia delle donne tende a ricordare solo le relazioni amorose, gli scandali, ponendo in ultimo piano l’attività politica, culturale, storica o artistica svolta, gli esempi in questo senso sono molti ed erano già molti a quei tempi. Nelle lettere che lei voleva distrutte, però, non solo c’è la donna da tenere nascosta, ma c’è anche la politica, c’è la museologa e c’è forse persino la ministra che avrebbe potuto essere” (pp. 38-39). Carte che sentiamo di dover proteggere e di dover far conoscere A futura memoria (se la memoria ha un futuro).

SCHEDA LIBRO

Autori: Erica Bernardi e Giuseppina Di Gangi

Titolo: “Fernanda! Fernandissima!” Wittgens alla prova della modernità

Editore: Skira

Anno edizione: 2023

Pagine: 159

Prezzo: 19,00 E


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