Durante il terremoto nessuno guarda una galleria artistica
(Friedrich Hebbel, Diari, 1835/63)
In questi giorni si è ricordato, si spera non solo per riempire i notiziari e i media, il terremoto de L’Aquila che, nell’aprile 2009, provocò la morte di 309 persone, più di 1600 feriti e un danneggiamento materiale stimato oltre 10 miliardi di euro. Danni ingenti furono inferti, inevitabilmente, al patrimonio culturale della regione Abruzzo, in particolare quello della provincia aquilana. La Protezione Civile e una commissione ad hoc hanno coordinato, a seguito della prima emergenza, sopralluoghi, verifiche, procedure di messa in sicurezza e di recupero beni artistici e monumentali, più della metà riferibili al culto religioso, e centinaia di palazzi vincolati. Si parla anche di oltre cinquemila beni culturali e oltre quattrocentomila beni archivistici-librari.
Un’attività di ricostruzione che tuttora perdura tra inchieste, polemiche e ritardi, secondo una falsariga che da sempre connota questi eventi. Memorabili, e sorprendentemente attuali, le parole del compianto Presidente Pertini dopo la sciagura dell’Irpinia del 1980, riferendosi a ciò che era già accaduto nel Belice nel 1967.
“[…] Nel 1970 in Parlamento furono votate leggi riguardanti le calamità naturali. Vengo a sapere adesso che non sono stati attuati i regolamenti di esecuzione di queste leggi. E mi chiedo: se questi centri di soccorso immediati sono stati istituiti, perché non hanno funzionato? Perché a distanza di 48 ore non si è fatta sentire la loro presenza in queste zone devastate?”.
Ci sono ancora due anni per terminare questi interventi, anche sfruttando fondi aggiuntivi del PNRR, in vista della promozione de L’Aquila quale capitale della cultura del 2026. Vedremo se, dopo quasi venti anni, sarà tutto ultimato, ricostruito in modo migliore, e si possa davvero celebrare una sorta di giubileo allargato, nella città della Perdonanza Celestiniana (entrata nel patrimonio immateriale dell’UNESCO nel 2019).
Ormai sappiamo che i terremoti, al pari di altri fenomeni naturali, non sono puntualmente prevedibili. Tuttavia le aree maggiormente a rischio sono ben note e l’unico sistema per mitigare i danni passa attraverso la corretta prevenzione. Nel nostro paese, le prime norme sulle costruzioni antisismiche sono state adottate nel 1981. Nel 2003 l’Italia si è adeguata alla normativa europea, recependo le norme tecniche nel 2008. Ciò significa che la quasi totalità delle costruzioni risale a prima della normativa, quindi non risulta adeguata agli standard. Altri problemi sono connessi al consumo del suolo, al degrado dei territori e, purtroppo, alla puntuale mappatura geologica del territorio nazionale. È sorprendete apprendere come in Italia diminuisca costantemente la popolazione ma aumenti il consumo di suolo. Negli ultimi cinque anni, i residenti del nostro paese sono calati di quasi 1,5 milioni di unità, ma nello stesso arco di tempo il suolo urbanizzato è aumentato di 32.000 ettari.
Sembra che vengano meno gli obiettivi comuni stabiliti dall’UNESCO in vista del 2030, individuati nel 2015, in occasione della 70^ edizione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Con riferimento al post evento, l’Italia ha dimostrato di raggiungere buoni livelli di riposta, soprattutto in tema di interventi sul patrimonio culturale. Nell’ambito del dispositivo di intervento gestito dalla Protezione Civile, in occasione delle emergenze, operano dal 2016 i Caschi Blu della Cultura. Inoltre, partendo dal modello dato dal deposito di Santo Chiodo, vi sono 34 depositi dislocati principalmente nelle regioni dell’Italia centrale: 14 nelle Marche, 3 in Umbria, 9 nel Lazio, 8 in Abruzzo. L’obiettivo, secondo il MiC, è di riuscire a realizzare un deposito in ogni regione, avvalendosi anche degli stanziamenti PNRR, secondo quelle che sono le linee guida con cui si devono organizzare i cosiddetti “ospedali dell’arte”.
Il deposito di Santo Chiodo, è stato un progetto pilota ed è ritenuto un punto di riferimento per il nostro paese. È attivo dal 2012 ed ha mosso le prime attività con il terremoto in Umbria del 1997. Lì le opere, movimentate dai luoghi originari, a seguito di eventi calamitosi, climatici o comunque sfavorevoli, vi entrano per essere restaurate non prima di essere state messe in sicurezza e debitamente catalogate. Vi è da dire che, sul fronte della prevenzione, gli esempi virtuosi sono altri, e si trovano oltre confine. Proprio in queste settimane abbiamo assistito a ciò che è accaduto in Estremo Oriente: il 3 aprile, Taiwan è stato colpito da un terremoto di magnitudo 7.4, il più intenso degli ultimi 25 anni. Le vittime sono state poche decine e i feriti hanno superato il migliaio. L’area di Hualien è stata l’epicentro del sisma e le attività umane hanno subìto una temporanea interruzione solo per consente l’intervento dei soccorsi. Considerando l’intensità del sisma, a cui sono seguite 96 scosse di assestamento, i danni sono stati limitati, contenuti, se paragonati a quelli provocati, nel recente passato, da terremoti che hanno investito, per esempio, la Siria e la Turchia. Il merito è in gran parte attribuibile all’efficienza degli edifici antisismici e alla preparazione della popolazione nell’affrontare questo tipo di eventi, fattori che hanno contribuito a limitare soprattutto le perdite umane. Taiwan ha imparato la lezione dopo che, nel 1999, un altro sisma provocò la morte di oltre duemila persone e la distruzione di decine di migliaia di abitazioni.
La stessa adeguata risposta alla crisi post evento sfavorevole l’ha fornita il Giappone, a seguito del sisma del capodanno 2024, con una magnitudo di 7.6. Lo sconvolgimento geologico è stato impressionante, con movimenti di faglie inerti da millenni. Nella penisola di Noto il terreno è arrivato a sopraelevarsi di quasi 4 metri e la costa si è spostata di oltre 200 metri, danneggiando anche i porti. Dopo due settimane dall’evento si sono avuti 232 perdite e 20 dispersi. In un’area geografica densamente popolata come il Giappone, dove si hanno 340 abitanti per chilometro quadrato (in Italia 195ab/Kmq, dati 2023), dopo la prima ispezione da parte della autorità preposte, sono risultate inagibili 1800 abitazioni a fronte di un totale di edifici danneggiati stimato in diverse decine di migliaia.
Non si vorrebbe essere eccessivamente esterofili e perfino passatisti. Tuttavia, è noto che i Greci prima e i Romani in seguito, più di duemila anni fa, abbiano costruito templi con accortezza, interponendo strati di argilla e/o sabbia tra il suolo e le fondamenta al fine di attutire gli effetti dei terremoti. Il Colosseo, per esempio, ha subìto vari danni, causati da diversi terremoti, come attestato da alcune iscrizioni che citano le ricostruzioni condotte dal Prefetto dell’Urbe Rufius Caecina Felix Lampadius nel 443 d.C. e da analoghe testimonianze risalenti al 484 e al 508 d.C. Vi sono altre testimonianze più recenti che indicano ulteriori altri danni patiti dal Colosseo, come quelli scaturiti dal terremoto di Roma del 1349, descritti da Francesco Petrarca in occasione del Giubileo dell’anno successivo:
“Roma è stata scossa da un insolito tremore, tanto violentemente che dalla sua fondazione, che risale ad oltre duemila anni fa, non è mai accaduto nulla di simile”.
Possiamo senza dubbio affermare, quindi, che anche il monumento romano più noto al mondo ha una sua storia sismica. Ciò che possiamo apprezzare oggi è certamente, seppur in parte, il risultato di questo lungo percorso iniziato con la sua costruzione, voluta dall’imperatore Vespasiano, nel 70 d.C. Tutto questo per dire che la qualità di certe costruzioni è innegabile e continua a rappresentare mirabilmente quella che i Romani chiamavano, dopo l’avvento di Augusto, publica magnificentia.
Non è necessario essere profeti per affermare che purtroppo, come accade anche per gli eventi climatici, gli eventi calamitosi, sismici in particolare, si presenteranno in futuro. Atteso ciò è veramente doveroso prepararsi adeguatamente, se non altro per salvare vite umane e non solo. L’impatto di certi fenomeni, in determinate aree del nostro Bel Paese sarebbe davvero devastante; ed allora non si può fare a meno di pensare alle suggestioni esternate da Plinio Giovane a Tacito, in occasione dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
“[…] Si consultarono se dovessero rimanere in casa o tentare di uscire all’aperto: infatti per frequenti e lunghi terremoti la casa traballava e dava l’impressione di oscillare in un senso o nell’altro come squassata dalle fondamenta. Stando però all’aperto v’era da temere la caduta delle pietre pomici, anche se queste sono leggere e porose. Alla fine confrontati i pericoli, fu scelto quest’ultimo partito. Prevalse in mio zio [Plinio il Vecchio] la più ragionevole delle due soluzioni, negli altri invece il più forte dei timori. Si misero dei cuscini sul capo e li legarono con fazzoletti: e questo servì loro per protezione contro le pietre che cadevano dall’alto. Mentre altrove faceva giorno, colà era notte, più oscura e più fitta di tutte le altre notti, sebbene fosse rischiarata da fiamme e bagliori…”.
Vorremo quindi vivere meglio i nostri giorni futuri e contemplare chiare notti stellate.
Opinionista