L’Atleta Vittorioso è dell’Italia: è davvero finita?
Il 2 maggio 2024 potrebbe rappresentare la data di svolta del lungo contenzioso tra lo Stato italiano e il J. Paul Getty Trust
Il verdetto che aspettavamo – e che volevamo – è arrivato. Per la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), l’Atleta Vittorioso è di proprietà dello Stato italiano. Il Tribunale di Strasburgo ha riconosciuto i diritti rivendicati a più riprese dall’Italia e già confermati dalla Cassazione il 18 novembre 2018: l’Atleta di Fano è un “bene inalienabile dello Stato e oggetto di trafugamento” che va rimpatriato. Nel respingere il ricorso del J. Paul Getty Trust, la CEDU ha escluso che le azioni intentate dal governo italiano, per ottenere la restituzione della statua in bronzo, abbiano violato le disposizioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sulla tutela della proprietà privata.
L’odissea dell’Atleta Vittorioso ha inizio il 14 agosto 1964. Agganciata dalle reti di alcuni pescatori in acque territoriali al largo di Fano, la scultura è stata riportata a terra da Romeo Pirani, senza essere denunciata alle autorità competenti, e occultata a Carrara di Fano. Pirani la cede a degli antiquari per circa 3 milioni e 500mila lire. Il bronzo viene trasferito a Gubbio, nascosto fino a maggio 1965 presso l’abitazione di un sacerdote, Giovanni Nagni, e venduto nuovamente.
Le indagini condotte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia nel frattempo ipotizzano il reato di ricettazione, ex art. 67 della legge n. 1089 del 1939, a carico di Pietro, Fabio e Giacomo Barbetti, gli antiquari, e di Nagni. Il procedimento in primo grado si conclude con l’assoluzione di tutti gli imputati, in appello il Tribunale di Perugia condanna i Barbetti per ricettazione e Nagni per favoreggiamento. Impugnata la sentenza, la Corte di Cassazione annulla la pronuncia e rinvia il processo alla Corte di appello di Roma che l’8 novembre 1970 assolve definitivamente gli imputati per assenza di prove.
L’Atleta di Fano s’inabissa fino al 1972, quando viene intercettato a Monaco di Baviera presso il mercante d’arte Herman Heinz Herzer. La Pretura di Gubbio iscrive Herzer nel registro degli indagati con l’accusa di esportazione clandestina di opere d’arte e avvia la rogatoria internazionale. La giustizia tedesca non accoglie l’istanza: l’ipotesi di reato non rientra tra quelli previsti dai termini di estradizione e nel 1974 il procedimento è archiviato. Herzer può disporre pienamente della statua e la vende ad Artemis, una società lussemburghese, attraverso una sua filiale di Londra, la David Carritt Ltd, che provvede al restauro. Il 15 agosto 1977 Artemis spedisce il bronzo negli Stati Uniti che arriva al porto di Boston. Per un breve periodo la scultura è al Museo delle Belle Arti di Boston, transita dal Museo di Denver, in Colorado, per poi essere esposta definitivamente in una sala della Getty Villa, sede di Malibu del Getty Museum: il J. Paul Getty Trust l’acquista per 3,5 milioni di dollari.
I Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale non demordono e raccolgono le dichiarazioni di Renato Merli, un commerciante di Imola che nel 1964 aveva visionato il bronzo presso i pescatori che l’avevano rinvenuto poco a largo di Pedaso, in provincia di Ascoli Piceno, e non nelle acque fanesi. Merli conferma la cessione ai Barbetti e consegna una fotografia del reperto ancora ricoperto di concrezioni marine. Il 25 novembre 1978 il Pretore di Gubbio è costretto a disporre il non luogo a procedere per l’ipotesi di illecita esportazione del bene: respinte le rogatorie aggiuntive sia dalle autorità del Regno Unito sia da quelle statunitensi, gli autori del reato restano ignoti.
Passano “indisturbati” quasi trent’anni.
Nel 2007 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro avvia un nuovo procedimento, il n. 2042/07 R. G. N. R., a carico di Pirani, Ferri e dei Barbetti. Nello stesso anno il pubblico ministero inoltra la richiesta di archiviazione: i reati sono estinti per sopraggiunta prescrizione. E deposita l’istanza di confisca dell’Atleta Vittorioso per il combinato disposto dell’art. 66 della legge n. 1089 del 1939 e delle norme in tema di contrabbando. Il giudice per le indagini preliminari, con un decreto del 19 novembre 2007, archivia il caso e rigetta la richiesta del pm perché i responsabili del Getty Museum devono essere considerati estranei al reato presunto. La Procura impugna il dispositivo e il 10 febbraio 2010 si arriva alla confisca della statua “ovunque essa si trovi”. Il museo statunitense ricorre alla Corte Suprema di Cassazione che si pronuncia il 18 gennaio 2011 e ritrasmette gli atti al giudice delle indagini preliminari: il 3 maggio 2012 viene depositata una nuova ordinanza di confisca.
Grazie alla perseveranza dei Carabinieri dell’Arte e alle prove raccolte nei decenni, “nella condotta dei titolari del Getty Museum non può ravvisarsi alcuna buona fede, essendo emerso con chiarezza che l’acquisto è stato effettuato nonostante i dubbi sulla liceità dell’esportazione manifestati dal sig. Paul Getty Sr., nonostante l’assenza di valida documentazione, nonostante si sia omesso di interessare le autorità italiane al fine di verificare l’esistenza di autorizzazioni, mai prodotte dal venditore”. Si susseguono i ricorsi fino all’ordinanza del Tribunale di Pesaro, firmata del gip Giacomo Gasparini l’8 giugno 2018, tesi poi confermata dalla Corte di Cassazione il 18 novembre 2018, che dichiara l’Atleta di Fano un “bene inalienabile dello Stato e oggetto di trafugamento” che deve essere restituito. La Suprema Corte evidenzia inoltre che da parte del Getty Museum era “doverosa la conoscenza della normativa italiana in tema di esportabilità e commerciabilità dei beni culturali”.
Nonostante le pronunce annullate per vizi procedurali (2009 e 2013), i dispositivi di confisca, il sigillo della Cassazione e ora la sentenza della CEDU favorevole allo Stato italiano, la questione non è ancora davvero conclusa: il J. Paul Getty Trust ha tre mesi di tempo per presentare appello ed è quasi certo che proverà a giocarsi anche l’ultima carta, rimettendosi al giudizio della Grande Camera (Grand Chamber) della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Un punto per l’Italia, l’Atleta Vittorioso sembra più vicino, ma non è ancora tempo di festeggiamenti.
Dopo la laurea a Trento in Scienze dei Beni Culturali, in ambito storico-artistico, ho “deragliato” conseguendo a Milano un Perfezionamento in Scenari internazionali della criminalità organizzata, un Master in Analisi, Prevenzione e Contrasto della criminalità organizzata e della corruzione a Pisa e un Perfezionamento in Arte e diritto di nuovo a Milano. Ho frequentato un Master in scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Colleziono e recensisco libri, organizzo scampagnate e viaggi a caccia di bellezza e incuria.