Possiamo chiudere con il passato, ma il passato non chiude con noi.
W. Shakespeare, Il mercante di Venezia
“Pax tibi, Marce, evangelista meus”. Secondo la leggenda, il Santo Patrono della Serenissima è stato colà accolto da un angelo, gratuitamente (sic!) dopo un naufragio e, successivamente nella condizione di pace eterna, come giustappunto riporta il libro aperto ghermito dal leone alato, divenuto simbolo della città lagunare. Ma visto che, parafrasando un antico adagio, è meglio scherzare con i fanti e lasciar perdere i santi, tranne San Matteo, affronteremo, con le dovute accortezze, il tema della tassazione turistica in quel di Venezia che ha sollevato, in questi ultimi giorni e in concomitanza dei ponti vacanzieri, molte polemiche.
Contrari e favorevoli, l’un contro l’altro armati, come sempre purtroppo. La scelta del sindaco Brugnaro è motivata – a suo dire – dal fatto che è necessario salvaguardare la città dal cosiddetto turismo mordi e fuggi il quale non porta risorse economiche bensì solo costi, ricadenti questi ultimi solo sui residenti. Residenti che, loro malgrado, sono stati costretti, nel corso del tempo, a lasciare la città divenuta invivibile. Stiamo assistendo, in effetti, al fenomeno della gentrificazione che, accomunando le più grandi città italiane a vocazione turistica, è dovuto alla prolificazione indiscriminata di bed and breakfast, al caro affitti e a formule di fruizione urbana e turistica e che sfavorisce le classi sociali meno abbienti. Vi è da dire che, a Venezia, si paga anche la tassa di soggiorno, la quale differisce da questa ultima imposizione riguardando infatti coloro che pernottano almeno un giorno nel centro lagunare.
I contrari, dal canto loro, ritengono questa scelta illegittima, perfino incostituzionale. In effetti in nessuna città al mondo si sborsano denari per farvi ingresso, un po’ come avveniva nel medioevo. I visitatori pagano già tariffe altissime per i trasporti rispetto ai residenti e non si comprende perciò il motivo per cui si debbano sborsare denari anche per entrare in città pedibus calcantibus. Questa è la posizione dell’ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari che, coerentemente con queste convinzioni, invita tutti a non corrispondere il fio.
Proprio per il 25 aprile, giorno del Santo Patrono (sic!), più di 80.000 persone hanno tuttavia registrato la loro presenza in città. Solo uno su dieci però parrebbe aver pagato i 5 euro per raggiungere il centro storico. Gli altri ingressi si riferiscono a coloro che sono esenti: cittadini veneti, lavoratori, studenti e altre categorie autorizzate, invitati a registrarsi sulla piattaforma on-line per evitare il pagamento. Oltre 30.000 sono gli occupanti delle strutture ricettive, più di 9.000 i veneti, probabili turisti giornalieri. Non sono mancati, già il primo giorno sperimentazione, proteste accese tra le frange più determinate dei contrari al provvedimento e le forze di polizia.
Come spesso accade, determinate scelte, cadute per così dire dall’alto e non condivise, se non poco accorte dal punto di vista della reale sostenibilità ed inclusione, provocano tensioni che complicano ulteriormente la situazione urbana.
Sarebbe opportuno effettuare studi seri, e non servi, sulla questione. Il problema è il flusso enorme di turisti concentrato in particolari periodi dell’anno. Bisognerebbe valutare la possibilità di contingentare queste presenze, limitandole con un tetto massimo. Probabilmente questo è l’unico modo per cercare di arginare il fenomeno dell’overtourism nella città lagunare che, nel 2019, prima della pandemia, ha registrato presenze turistiche per oltre nove milioni a fronte di una popolazione residente nel centro storico cittadino di meno di cinquantamila abitanti. È la seconda città italiana più visitata, dopo Roma: è evidente che l’industria turistica, sviluppatasi nel capoluogo veneto, sia per certi versi una notevole fonte di occupazione e di reddito per il territorio, ma è altresì palese come tutto ciò pregiudichi la fruizione, aumentando potenzialmente i rischi e generando impatti negativi sul patrimonio culturale e sui servizi urbani.
Tra i primi problemi vi è quello del trattamento dei rifiuti, i cui costi di gestione sono tra i più alti del nostro paese, stante la produzione giornaliera su cui grava la presenza dei turisti. Non da meno le problematiche legate all’inquinamento con la produzione di anidride carbonica e di liquami derivanti dall’erosione dei canali e delle costruzioni ma, soprattutto, dalle scie delle imbarcazioni in relazione alle loro dimensioni e ai continui transiti. Si pensi a questo proposito alle grandi navi che, a breve, torneranno a transitare in laguna. Non ci soffermeremo oltre se non che, a queste problematiche arcinote, non si considera adeguatamente anche la questione della sicurezza, soprattutto in relazione all’abusivismo commerciale, amplificato a livelli fuori controllo in concomitanza proprio all’aumento delle presenze di visitatori. Si tratta di coniugare la presenza turistica con la vivibilità cittadina: tutti vogliono visitare Venezia ma sembra che siano molto meno gli intenzionati ad abitarvi stabilmente. Una contraddizione questa che ci deve indurre alla riflessione, nella misura in cui è fondamentale comprendere i fenomeni in funzione delle possibili soluzioni.
Gli scenari non sono idilliaci, non solo per quanto attiene la valorizzazione culturale e lo sviluppo di una vocazione turistica di qualità. La scelta impositiva sembra anzitutto non considerare il contenuto dell’art. 16 della Costituzione nei termini di libertà di circolazione e soggiorno sul territoriale nazionale. L’adozione di questo dazio marca ancor di più una frattura sociale preesistente, di cui tuttavia in pochi si avvedono cogliendone appieno la portata. È doveroso, inoltre, tutelare il nostro patrimonio storico-artistico nell’interesse delle future generazioni alla luce delle diversità, tenendo conto delle di condizioni personali e sociali, così da garantirne la corretta fruizione. Si ricordino, in tal senso, i principi fondamentali parimenti enunciati nella nostra Carta Costituzionale, agli artt. 3 e 9.
Non è consolante, tanto meno costruttivo, sentire parlare di questi problemi senza che si schiuda all’orizzonte la possibilità di un rimedio sensato. Si ricorre, anche in questa occasione, al termine emergenza ormai più che inflazionato per giustificare scelte non ponderate. I media hanno una grande responsabilità. Non è mai un bene alimentare sterili polemiche, essere servi del mainstream, senza che vi sia un approfondimento critico sull’argomento. Questa è la base per una corretta informazione, non disgiunta da un’azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Non bisogna temere censure se si ricerca la verità, soprattutto non si vorrebbe che Venezia diventasse una sorta di ghetto di sé stessa.
Basterà una benedizione?
Opinionista