Uno scudo per difendere la cultura. I settant’anni della Convenzione dell’Aja
Dopo i tragici eventi bellici connessi al secondo conflitto mondiale, oltre a milioni di vittime umane, sono stati distrutti numerosi beni culturali e furono 37 gli Stati, tra cui l’Italia, a decidere di sottoscrivere il primo trattato internazionale per la tutela del patrimonio culturale nei conflitti armati
Difesa migliore che usbergo o scudo, è la santa innocenza al petto ignudo
Torquato Tasso
Con l’entrata in vigore il 14 maggio 1954 della Convenzione dell’Aja, promossa dall’UNESCO, e con l’integrazione dei due protocolli aggiuntivi del 1954 e del 1999, è stata normata la tutela di “beni, mobili o immobili, di grande importanza per il patrimonio culturale dei popoli” ed è stata sancita la necessità di individuarli, anche in tempo di pace, tramite lo Scudo Blu. L’articolo 16 introduce e definisce l’apposito contrassegno: “il segno distintivo della Convenzione consiste in uno scudo appuntito in basso, inquadrato in croce di sant’Andrea in blu e bianco (uno scudo, formato da un quadrato blu, uno dei cui angoli è inscritto nella punta dello stemma, e da un triangolo blu al disopra del quadrato, entrambi delimitati dai triangoli bianchi ai lati)”.
La protezione dai rischi di un confitto armato riguarda tutto il patrimonio culturale, immobile e mobile: monumenti, siti di valore artistico, storico o archeologico, opere d’arte, manoscritti, libri, oggetti di interesse artistico, storico o archeologico, comprese le collezioni scientifiche di ogni genere, a prescindere dall’origine o dalla proprietà. La Convenzione prevede che gli Stati aderenti implementino le misure più opportune a tutela del patrimonio culturale, prevenendo le conseguenze derivanti dai conflitti armati, anche in tempo di pace. Tra queste, assume la massima rilevanza la stesura dell’elenco dei beni protetti dallo Scudo Blu, di cui deve essere assicurata la diffusione tra tutti gli operatori delle forze armate, in conformità a quanto indicato dagli artt. 3-6-7 della Convenzione.
Non solo: l’art. 25 prevede che i contraenti si obbligano a divulgare quanto possono nei loro Paesi, in tempo di pace e di conflitto armato, il testo della presente Convenzione e del suo Regolamento di esecuzione. In particolare, sono obbligati a introdurne lo studio nei programmi d’istruzione militare e, se possibile, in quelli civili, in maniera che l’insieme della popolazione, in particolare delle forze armate e del personale addetto alla protezione dei beni culturali, ne possa conoscere i principi.
L’adozione dello Scudo Blu, durante un conflitto armato, intende prevenire la possibilità che beni culturali possano essere danneggiati deliberatamente o distrutti, al pari degli obiettivi militari, oppure lo siano come “effetto collaterale”, ovvero come conseguenza incidentale di un attacco. L’utilizzo che le forze militari possono fare dei luoghi della cultura è una minaccia: costruire difese o minare il territorio delle aree limitrofe pone a rischio l’integrità dei beni stessi. La mancanza di consapevolezza e conoscenza, da parte delle forze in campo, dell’importanza e del valore storico e culturale di un bene costituisce un fattore di rischio a cui è esposto l’intero patrimonio. Purtroppo, la storia ce lo insegna. Il patrimonio culturale è anche oggetto di saccheggio, rappresentando il cosiddetto “bottino di guerra” sia per le forze militari sia per i civili.
Sebbene non sia possibile scongiurare in toto tali eventualità, l’apposizione dello Scudo Blu è certamente un’azione preventiva utile, già in tempo di pace, per mitigare e limitare i rischi derivanti da azioni belliche. Il simbolo, di rilevanza e riconoscimento internazionale, segnala che i beni culturali devono essere preservati da qualunque azione ostile o che possa provocarne depauperamento, danneggiamento, distruzione, consentendo altresì di rendere riconoscibile il patrimonio da tutelare non solo in ambito dei conflitti, ma anche, ad esempio, in caso di disastri ambientali.
La Convenzione dell’Aja e l’intero apparato internazionale di protezione del Patrimonio dell’Umanità, si ispira ai valori che sono a fondamento delle norme a protezione dei Diritti Umani. Gli Stati e tutte le istituzioni che si occupano di patrimonio culturale, sono chiamate a collaborare nella gestione ordinaria con la prevenzione rispetto ai rischi, connessi anche ai conflitti armati, per evitare perdita e deterioramento del patrimonio. La Convenzione dell’Aja ha permesso di agevolare un percorso legislativo, a livello internazionale, teso a riconoscere la distruzione del patrimonio come crimine di guerra, perciò perseguibile dalle corti di giustizia internazionali. Il protocollo aggiuntivo del 1999 ha introdotto inoltre una disciplina penale speciale connessa alle diverse fattispecie di reati militari in danno di beni culturali. L’Italia, lo ha ratificato con la legge 45/2009, predisponendo così una normativa integrata e specifica sulla protezione del patrimonio culturale in caso di conflitti armati.
In occasione del settantesimo anniversario della Convenzione, sono numerose le iniziative e le cerimonie di apposizione dello Scudo Blu, promosse dalla Croce Rossa Italiana. Tra queste ricordiamo le due più recenti: l’8 maggio è avvenuta l’apposizione al Castello di Fenis, in Valle d’Aosta, e il 10 maggio quella al Castello Sforzesco a Milano, con l’intervento delle autorità locali, delle istituzioni e della cittadinanza. Le due iniziative coincidono con l’anniversario dei 160 anni della CRI nell’impegno umanitario.
In un momento in cui molti sembrano voltarsi dall’altra parte, privilegiando interessi personali a ben più nobili intendimenti, queste benemerite iniziative sono utili ad affermare la centralità dei diritti umani nel consesso mondiale, coniugata alla protezione del patrimonio culturale, quale testimonianza di civiltà.
Il 22 agosto 1864, è stata firmata da 12 Stati europei la Prima “Convenzione di Ginevra per il miglioramento delle condizioni dei feriti delle forze armate in campagna”. Il documento, ispirato al celebre testo di Henry Dunant (Souvenir di Solferino-1862), ha posto le basi del diritto internazionale umanitario contemporaneo, adottando regole di portata universale per la protezione delle vittime nei conflitti, l’obbligo di curare, senza alcuna discriminazione, tutti i militari feriti e malati, il rispetto del personale sanitario, del materiale e delle attrezzature dedicata attraverso l’emblema della Croce Rossa, fondata un anno prima. C’è un forte bisogno di ritrovare la vera umanità, di affermare un nuovo umanesimo costellato di esempi virtuosi, di simboli positivi che diffondano la pace e la cultura nel rispetto delle diversità, di disseppellire le coscienze indolenti e smettere di seppellire vittime innocenti.
Opinionista