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La mostra dei Preraffaelliti a Forlì

(Tempo di lettura: 5 minuti)

Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci rerum magna parens et moriente mori

Iscrizione sulla tomba di Raffaello – Pantheon di Roma


L’esposizione è un evento irripetibile per qualità e numero di opere (350), considerata la più vasta mai proposta in precedenza. L’obiettivo è quello di ripercorrere, in virtù di importanti prestiti da prestigiosi musei internazionali e importanti collezioni private, la storia della Confraternita dei Preraffaelliti, nata in Gran Bretagna nel 1848. Un percorso che, partendo dalle origini, si snoda tra i Nazareni e Ruskin per giungere fino alle esperienze novecentesche. In primo piano, nell’esposizione del Museo San Domenico, sono il parallelo tra gli artisti italiani dal Trecento al Cinquecento e gli esponenti del movimento artistico e, anche, il confronto col Rinascimento che, determinando un ulteriore rinnovamento delle arti e delle lettere, ha influenzato anche alcuni pittori italiani di fine Ottocento, quali De Carolis e Sartorio le cui opere sono la chiosa dell’esposizione forlivese.

Nonostante l’esperienza dei Preraffaelliti sia stata relativamente breve (si è conclusa nel 1853) e circoscritta al Regno Unito, il suo influsso e sviluppo sono stati notevoli, riscuotendo molto successo oltre quei confini, peraltro prolungato nel tempo.
Sarà forse merito della loro incessante ricerca della natura in connessione ad ogni manifestazione dell’agire umano e al concetto di purezza che dovrebbe pervadere la realtà profonda che ci circonda: un modo di dipingere dove i colori sono protagonisti, un elemento essenziale, con tutta la loro vitalità espressiva. Una dimensione creativa che si è opposta a un mondo grigio, inquinato e già sotto il giogo di un industrialismo imperversante.

Fondamentale in questa esperienza è la conoscenza delle fonti letterarie del passato: da Boccaccio a Dante ma anche Shakespeare e i loro contemporanei, Keats, Poe e Shelley, per citarne alcuni. Da tali letture hanno tratto ispirazione per manifestare l’assoluto e la passione amorosa, ovvero i sentimenti trainanti dell’esistenza. Anche questa peculiarità marca una controtendenza con le istanze sociali promosse dalle varie teorie economiche dell’epoca e dai mutamenti operati della cosiddetta Rivoluzione Industriale.

È stato perciò un movimento di assoluta avanguardia, il primo del genere, precursore di altre correnti artistiche come il Simbolismo e l’Art Nouveau.
Le opere degli antichi maestri del Trecento e del Quattrocento italiano, da Beato Angelico a Cimabue, da Giotto a Gozzoli, per arrivare a Ghirlandaio, Botticelli, Lippi e Piero della Francesca, hanno rappresentato il fervore decisivo e più forte, contribuendo, attraverso una sorta di riscoperta, a celebrarne nuovamente l’indiscusso successo. Il caso di Botticelli è emblematico, in questo senso, rielaborato per descrivere le fattezze dei sentimenti e la spiritualità con uno slancio che trae la lectio da questo indiscusso protagonista del rinascimento fiorentino e dopo di lui, allo stesso modo, anche Michelangelo, Giorgione, Veronese e Tiziano.

FREDERIC LEIGHTON (Scarborough 1830 – Londra 1896), La lezione di musica / The Music lesson 1877,
olio su tela / oil on canvas, 93 x 95 cm Guildhall Art Gallery City of London Corporation.

La mostra si articola su tre piani: è organizzata all’interno del complesso di San Domenico, un contesto architettonico risalente al XIII secolo, ed è impreziosita ulteriormente da un allestimento suggestivo e coinvolgente che ben si sposa con le caratteristiche delle opere esposte. Molto suggestivo, in questo senso, l’ambiente dedicato alla presentazione dei trenta lavori di Edward Burne-Jones, al termine del piano terra.
Di particolare rilevanza e significato vi sono opere che, più di altre, pur di eccellente livello, hanno destato la nostra attenzione. In primis la serie dei quattro arazzi che, di grandi dimensioni, richiamano la narrazione de “La Quest del Saint Graal”, romanzo in lingua d’oil, risalente al XIII secolo circa. I soggetti sono riportati su una tessitura di pregio della manifattura Morris & Co e sono realizzati su disegni di Edward Burne-Jones, William Morris e John Henry Dearle. Essi rappresentano quattro scene distinte: i cavalieri pronti a partire per la missione; il fallimento di Sir Lancillotto; il fallimento di Sir Gawaine e, infine, la visione del Graal concessa ai “cavalieri eletti e puri”: Sir Bors, Sir Galahad e Sir Perceval.

Suggestivo il contesto architettonico scelto per ospitarli, in corrispondenza dell’abside della chiesa, ambiente di ampio respiro che il visitatore percorre all’inizio di questa esperienza. Il tema della tradizione cavalleresca medievale è uno dei prediletti dai Preraffaelliti e, attraverso questi splendidi lavori, se ne coglie appieno la forza lirica ed estetizzante, in sintonia con la letteratura dell’epoca. Si pensi, per esempio, ai romanzi storici di Sir Walter Scott che tanta fama hanno riscosso, influenzando nelle epoche successive anche la moderna cinematografia.

La seconda opera è di Evelyn De Morgan, pittrice di recente rivalutata e considerata non solo modella, moglie o amante ma un’artista originale e talentuosa, appartenente alla cosiddetta Pre-Raphaelite Sisterhood. La sua “Aurora Trionfante” è una tela caratterizzata da una prorompente ricerca estetica, da elementi simbolici di matrice mitica e religiosa rimandanti a un messaggio spirituale che si sublima nella vis figurativa. Su uno sfondo tra cielo-terra-mare, è raffigura la dea Aurora che libera le catene della notte. La dea giace nuda in basso a destra, tra serti di rose che ne ornano la figura resa similmente a una scultura classica scolpita nel marmo. Al centro del dipinto, vi sono tre angeli, dalle chiome fluenti, dipinti di rosso e di oro, intenti a suonare le trombe, ovvero i corni. Dall’altro lato della scena, in basso a sinistra, c’è la Notte, ripresa di spalle, abbigliata di scuro, che brandeggia un drappo nero. È chiaro l’intento dell’artista nel voler rappresentare un’opposizione le cui radici che si perdono nel tempo per arrivare agli albori della creazione. È l’energia che si trasforma e trova il suo trionfo nella sfera simbolica e spirituale.

La terza opera è ascrivibile all’ambito delle arti applicate. Si tratta di un pianoforte Graham, così denominato per il cognome del suo committente, William Graham, che voleva fare un dono particolare alla figlia per il suo genetliaco. Lo strumento musicale è stato costruito dalla John Broadwood & Sons ed è stato dipinto da Edward Burne-Jones. Le illustrazioni del noto pittore fanno del pianoforte un’opera unica. L’ispirazione iconografica è riferibile al poema di William Morris intitolato “The Story of Orpheus and Eurydice”. La storia di Orfeo ed Euridice, come noto, è una delle più celebri tragedie mitiche, che parla di amore, di morte e di sfide impossibili. La protagonista femminile ha le fattezze della giovane destinataria del dono con la quale l’artista ebbe una romantica liaison.

Burne-Jones, dopo aver ragionato a lungo sul tipo di strumento, scelse quello che riuniva in sé le forme più adatte per essere decorato; nella realizzazione pittorica, avvalendosi anche del contributo di T.M. Rooke, l’artista si è ispirato alle produzioni rinascimentali e manieristiche, in particolare a Botticelli.
Nella parte del coperchio dello strumento musicale è ripreso il testo del sonetto “Fresca rosa novella” di Guido Cavalcanti. Questo capolavoro sembra sintetizzare, mirabilmente, tutte le caratteristiche più proprie e caratterizzanti del movimento dei Preraffaelliti.

C’è ancora un mese per poter visitare questa esposizione, ne vale la pena. È un’immersione nella bellezza, in un’atmosfera che, risvegliando la sensibilità, ci proietta verso il sentimento dell’Amore, il sentimento virtuoso per eccellenza, contro cui, riprendendo le rime del Cavalcanti, non vale mai opporsi.

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