(Tempo di lettura: 6 minuti)

“Accidere ex una scintilla incendia passim”
Lucrezio

Col fuoco bisognerebbe illuminarsi, scaldarsi, evitare di bruciarsi, peggio provocare ulteriori danni a persone e/o a cose. Quando pensiamo al fuoco, uno dei quattro elementi fondamentali insieme ad acqua, aria e terra, vi approcciamo con riverenza, quasi con timore perché forse non si riesce a governarlo del tutto, nel bene e nel male. Si immagini il fuoco infernale, contrappasso perenne, così come lo descrive Dante nella Divina Commedia, da cui scaturiscono fulmini contro coloro che violano le leggi di natura. Viceversa l’interpretazione di San Giovanni della Croce della fiamma divina ed eterna che è fonte di luce per le anime, affinché esse non si perdano nelle oscure tenebre. Che dono ci ha fatto dunque Prometeo? A lui è costato il supplizio eterno aver sottratto il fuoco agli dei per regalarlo al genere umano. Al di là della leggenda, del mito, l’uomo, dal canto suo, ne ha fatto davvero buon uso secondo il suo libero arbitrio? Forse sì, forse no.

Non si può fare a meno di riferirsi alle armi a cui, guarda caso, è associato il termine fuoco. Strumenti pensati ed utilizzati per recare offesa alla persona, congegni letali che, nel corso dei secoli, si sono affinati nella scellerata rincorsa bellica. Una dinamica perversa principiata più di millecinquecento anni fa, quando si cominciò ad utilizzare, per rendere gli assedi e gli assalti più dirompenti, il cosiddetto “fuoco greco”, una mistura di polveri piriche e bitume che non si spegneva nemmeno in acqua. Questo per dire che gli equilibri tra gli elementi fondamentali sono stati ampiamente superati, per non dire violati.

In antichità gli incendi imperversavano. I Romani, dai tempi di Augusto, come ampiamente documentato, si dotarono del corpo dei “vigiles”, organizzati come un reparto militare, per contrastare il fenomeno degli incendi che si scatenavano spesso nell’Urbe. Sono gli antesignani dei nostri Vigili del Fuoco che, quotidianamente, sono chiamati a svolgere un’opera più che benemerita, a tutela della nostra incolumità. Vi sono stati incendi, in quel di Roma, passati alla storia: in particolare quello del 64 d.C. (quello attribuito a Nerone, ndr) e poi, nell’80 d.C., all’epoca dell’Imperatore Tito. Chi fu ad innescarli? Gli dei, secondo le credenze dell’epoca e come tramandato da Cassio Dione. Secondo altri, tra cui Tacito, furono i cristiani. In sintesi tutti presunti colpevoli, per cui nessun colpevole! Verrebbe da dire, riferendosi all’oggi: niente di nuovo sotto il sole.

È noto che molti edifici e monumenti furono irrimediabilmente distrutti, alcuni poi ricostruiti sotto nuove forme. Un destino comune ad altri disastri provocati dalle fiamme nel corso del tempo, in differenti aree geografiche. Un ulteriore esempio noto risale al 47 a.C. e riguardò la città di Alessandria di Egitto. L’incendiò vi divampò, distruggendone completamente il porto e la biblioteca: la più grande ed importante dell’antichità.

Questa premessa storica per introdurre un argomento scottante, passatemi la battuta, ancora di attualità. Gli incendi che aggrediscono il patrimonio culturale, sia di matrice colposa sia dolosa, non sono frequenti ma, oltre a lasciare un impatto diretto in termini di danni materiali, generano una ferita profonda nelle coscienze, per lo meno in coloro che hanno a cuore la cultura e tutto ciò che rappresenta una testimonianza di civiltà. Come accade con tutti gli eventi sfavorevoli, incendi compresi, le considerazioni si traggono purtroppo solo a posteriori, a volte perfino per cercare di convincersi, e/o convincere tutti, che si tratta di una fatalità, di una avvenimento non prevedibile e altre giustificazioni più o meno dello stesso tenore.

Qui si innesta l’annoso problema della prevenzione: essa, è bene ricordarlo, non esclude del tutto il verificarsi di un evento ma si prefigge lo scopo di abbassarne la possibilità e nel caso sfortunato che sia occorso, se davvero ha funzionato, di garantire una risposta che ne minimizzi al massimo l’impatto distruttivo. Una disciplina che, anzitutto, dovrebbe partire dalla consapevolezza responsabile di ognuno di noi, perché non vi sono tecnologie o altri rimedi che tengano di per sé.

Detto ciò, parlando di beni culturali, comprendendo tutto quello che di mobile e immobile costituisce il patrimonio di una nazione, non possiamo limitarci a considerarlo come qualcosa di esclusivamente quantificabile in termini economici e di valore: non vale perciò l’espressione “tanto c’è l’assicurazione che paga”. Ripagherà poi davvero a fronte di certi danni a beni dalla rilevanza storico artistica straordinaria? Si riporta di seguito una serie di eventi, anche piuttosto recenti, il cui elenco risulta utile per approfondire il tema ed esprimere alcune considerazioni.

Il 2 settembre 2018, un incendio si scatena al Museo nazionale del Brasile di Rio de Janeiro. La maggior parte degli oggetti custoditi al suo interno fu definitivamente distrutta. Le cause sono state allora imputate alla carenza di misure di prevenzione, di sicurezza e antincendio. Peraltro, al suo interno, era conservato anche un affresco dell’antica Pompei, sopravvissuto all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., ma non all’incuria umana.

Il 15 aprile 2019, le fiamme divampano nella Cattedrale di Nôtre Dame, patrimonio Mondiale dell’UNESCO, uno dei luoghi di culto più conosciuti al mondo, a prescindere dalla fede di ciascuno. L’incendio pare si sia propagato da un ponteggio nel sottotetto, montato in corrispondenza della struttura lignea dell’edificio. Il sistema antincendio sembra non abbia funzionato a dovere. Sgomento in tutto il mondo nel vedere andare in fumo la casa del Gobbo ed eroica l’azione dei sapeurs-pompiers de Paris per salvare le torri della cattedrale. I danni ammontarono a centinaia di milioni di euro, semmai sia stato davvero possibile quantificarli. Forse un frammento della Vera Croce custodita al suo interno ha compiuto il miracolo.

Il 16 aprile 2024 è andata a fuoco la Borsa di Copenaghen, un edificio rinascimentale tra i più famosi della Danimarca, al cui interno sono custodite importantissime opere d’arte. Risulta definitivamente distrutto uno degli elementi architettonici che lo caratterizzavano: la “guglia del drago”. I motivi dell’incendio non sono stati resi noti (sarà stato il drago? Sic!); vi erano tuttavia in corso lavori di restauro e di ristrutturazione. Non è stata ancora resa nota la stima dei danni.

Per tornare tra i confini nazionali, al 29 gennaio 1996, ricordiamo l’incendio del Gran Teatro La Fenice di Venezia, già vittima di tale calamità il 13 dicembre 1836. I primi focolai partirono in tarda sera: la scelleratezza di un gesto doloso e folle da parte di chi stava portando avanti, si fa per dire, i lavori di restauro. Una vicenda squallida che rimanda ad appalti, subappalti e ad altre miserie umane. Per fortuna la Fenice, come narra la leggenda, rinasce dalle sue stessi ceneri: il 14 dicembre 2003 viene inaugurata nella sua nuova veste con un concerto epocale diretto dal Maestro Riccardo Muti. Di esempi se ne potrebbero fare altri, come l’incendio del Petruzzelli (1991, doloso) e quello della Cappella della Sindone (1998, colposo). Vicende che si sono trascinate dietro polemiche non solo per questioni giudiziarie ma anche per l’effettiva capacità di risposta tecnica dell’intervento e del post intervento.

A livello di inquadramento giuridico i beni mobili e immobili di interesse sono quelli indicati nel D. Lgs. 42/2004. In particolare gli edifici sottoposti a tutela e destinati a contenere: archivi, biblioteche, esposizioni, gallerie, mostre e musei. Tutto ciò va posto poi in relazione al DPR 151/2011 e successive modifiche in relazione alla prevenzioni incendi. Teniamo conto che la maggior parte degli edifici andrebbe adeguata, essendo di costruzione antecedente rispetto agli standard entrati in vigore con le normative recenti. È necessario perciò prevedere le giuste risorse per gli investimenti, la formazione e lo sviluppo/ricerca nello specifico settore. È fondamentale coniugare le misure di sicurezza con i vincoli di tutela. Nelle varie situazioni è cruciale individuare soluzioni ad hoc per garantire la piena funzionalità, in armonia alle strategie di sicurezza di tipo attive e passivo. Questo anche in presenza di condizioni fuori dall’ordinario, come per esempio gli interventi di ristrutturazione e la compresenza di cantieri, che consentano comunque di amministrare il rischio residuo con un efficace sistema di gestione della sicurezza, anzitutto attraverso uno stretto monitoraggio ed un sistema integrato da parte delle figure preposte. Queste specifiche attività, è bene ribadirlo, sono soggette a controlli da parte dei Vigili del Fuoco.

A questo punto è lecito porsi la domanda: quanto si investe in sicurezza e prevenzione? Eurostat riferisce che l’Italia è al sesto posto in Europa per le spesa antincendio (i rilevamenti del settore sono iniziati nel 2016). Nel confronto con la spesa nazionale, gli investimenti per i servizi antincendio si attestano allo 0,2% della spesa nazionale, collocando il nostro paese al decimo posto in Europa, su trenta paesi europei considerati. Se rapportiamo tutto ciò al patrimonio culturale diffuso della penisola, probabilmente queste spese sono eccessivamente esigue. Non è ragionevolmente possibile limitarsi a pensare al dopo evento e sperare nel provvidenziale intervento dei soccorritori professionisti e volontari. Parafrasando Brecht, si farebbe volentieri a meno di vittime, di eroi, di danni. I Vigili del Fuoco sono i primi, a norma di legge, a dover intervenire in tali circostanze. In seguito, ci si preoccupa, nei contesti e nei siti culturali, di stimare i danni, inventariare e mettere in sicurezza i beni culturali. Questo è uno dei compiti, tra gli altri, dei Carabinieri dell’Arte e della componente Caschi Blu della Cultura.

Concludiamo con una curiosità, una nota quasi araldica. Osservando ambedue i loghi di queste due organizzazioni dello Stato, Vigili del Fuoco e Carabinieri dell’Arte, si può notare la comune presenza della fiamma. Addirittura quello dei Carabinieri presenta un drago stante di fronte al Pantheon. Il drago, o meglio la viverna, è parimenti riportato nello stemma dei Vigili del Fuoco. Tutto ciò ci proietta, inevitabilmente, verso una sapienza antica, a cui tutti dobbiamo rispetto. La fiamma eterna, a guisa di fiaccola, non si deve spegnere e così va custodita per essere consegnata al futuro: domiamo le fiamme, doniamo i cuori!

Ultimi articoli

error: Copiare è un reato!