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Eventi conviviali alla Braidense. Il “pago dunque posso” sta (forse) passando di moda

(Tempo di lettura: 6 minuti)

L’Estetista Cinica, al secolo Cristina Fogazzi, sceglie il Palazzo di Brera per il lancio in Spagna del suo marchio di creme e cosmetici e per festeggiare il primo anniversario della linea make-up Overskin. Un giro in pinacoteca, una cena di gala nella sala studio teologica della biblioteca, stand di prodotti e luci fuxia, DJ set nel cortile d’onore, balli e pizze – in cartoni brandizzati – consegnate a domicilio. Ospiti di riguardo una decina di influencer spagnole, giusto qualche milione di follower, per pubblicizzare in terra iberica lo sbarco di VeraLab: bendaggi drenanti, fanghi anticellulite, fondotinta e matitoni non parlano più solo italiano. Il tutto a favore di smartphone, instagrammato e pubblicato. Un festone, insomma.

Il primo a sollevare aspre rimostranze sui social è Angelo Mazzone, guida turistica che organizza tour per scoprire la città meneghina, gestore della pagina Milano Segreta e autore di Sotto le guglie, dentro i cortili. La guida game per scoprire la Milano segreta (Mondadori, 2023). In una sala dedicata esclusivamente allo studio nella Biblioteca Nazionale Braidense, in un gioiello del patrimonio dello Stato, dove non sono consentite le visite guidate, dove a studiosi e studenti non è permesso nemmeno un sorso d’acqua, figuriamoci introdurre cibo, dove è obbligatorio indossare i guanti per avvicinarsi ai volumi antichi, com’è possibile che invece si banchetti per un evento privato? “Ho pagato”, è la risposta di Fogazzi ai commenti e alle storie di Mazzone (poi cancellate dopo l’intervento dell’avvocato di VeraLab). Secondo l’imprenditrice l’evento era stato autorizzato rispettando tutti i protocolli di sicurezza, tanto più che le candele sui tavoli erano a batteria, le foto scattate rigorosamente senza flash e il catering era stato scelto dalla direzione per assicurare la rigida osservanza delle misure previste.

Nella foga Fogazzi ci tiene a sottolineare che ha pagato e tanto, circa 95mila euro tra affitto, pulizie extra e servizio di sorveglianza, cifra anticipata da Gianni Barbacetto su il Fatto Quotidiano in edicola domenica 16 giugno 2024, poi confermata dal direttore Crespi sul Corriere della Sera il giorno seguente. Avrebbe speso meno, se avesse seguito il suo Consiglio di amministrazione che aveva proposto un hotel, ma Fogazzi che, per sua stessa e candida ammissione, alla Pinacoteca di Brera e alla Biblioteca Nazionale Braidense non ci aveva mai messo piede, ha fortemente insistito per portare tutto il carrozzone promozionale lì. La versione ufficiale è che ha preferito offrire i suoi soldi a una istituzione culturale anziché consegnarli a un imprenditore privato: manutenzione e restauri contro bieco profitto, è pure una bella combinazione promozionale. Sarà anche vero, anzi, lo è senz’altro, peccato che questa posizione regga il giusto e non abbia convito gli addetti ai lavori, storici dell’arte, bibliotecari, funzionari, guide, ex studenti e studenti dell’Accademia di Belle Arti, che conoscono bene il rigore abitualmente applicato, e nemmeno le “fagiane”, le clienti sostenitrici del successo dei prodotti VeraLab, più sensibili alla cura dell’arte.

Fogazzi poteva banchettare con i suoi ospiti altrove, lontana da scaffali e volumi secolari, distante da variazioni di temperatura e umidità, fatali per il patrimonio librario, al riparo da critiche e strumentalizzazioni, e devolvere la differenza alla Braidense come donazione liberale. Oppure trovare un’altra formula, oltre ai biglietti d’ingresso regalati, se proprio voleva sostenere la pinacoteca e la biblioteca. Poteva aderire all’Art Bonus. Perché non l’ha fatto? Perché la CEO di un’azienda che fattura 70 milioni di euro all’anno non ci ha pensato? È semplice e persino banale: perché una cornice così iconica, culturalmente e socialmente prestigiosa, e instagrammabile, era perfetta per posizionare l’identità di un brand che si occupa di bellezza.

A chi l’accusa di aver mercificato un luogo sacro di Milano, Fogazzi risponde che la sua iniziativa va invece nella direzione della conoscenza e della valorizzazione. Snocciola dati vecchi e presi da Wikipedia, fonte non sempre attendibile, paragona Brera alle Gallerie degli Uffizi e il suo evento ad altri, si difende sostenendo di non essere la prima ad aver utilizzato quegli ambienti: questioni smontate sui social, e tutte riprese nell’attento commento di Victor Rafael Veronesi (Finestre sull’Arte, 17 giugno 2024). Abbiamo assistito a convegni, a sfilate di moda, ma ancora non era capitato di vedere cannoli e champagne sui tavoli studio della Braidense: con la cultura, allora, si mangia e si beve!

Al di là delle infelici citazioni di tremontiana memoria, la versione di Fogazzi traballa non solo per le immagini circolate, che inequivocabilmente documentano la prossimità ai volumi antichi e i flash utilizzati nelle foto di rito con le ospiti spagnole, ma per la reazioni della sua base social. Non le si perdona di aver utilizzato la sua influenza e la sua disponibilità economica per rompere un patto di uguaglianza tra cittadini e di rispetto verso un bene culturale pubblico: io che lì ci voglio studiare non mi è concessa neanche un bottiglietta d’acqua, tu che paghi ci puoi piazzare il tuo banchetto. Non si tratta di classismo verso Cristina Fogazzi, imprenditrice che ha puntato molto sulla narrazione di sé, sulle sue modeste origini e sulla lunga gavetta, e nemmeno dovrebbe essere snobismo – al contrario di quanto l’editoriale un po’ fuori fuoco di Vincenzo Trione (Corriere della Sera, 17 giugno 2024) lascia intendere – verso l’azienda che ha fondato e che guida con successo; si tratta di essere considerati tutti come cittadini di pari diritti e di pari doveri, senza distinzioni di serie A e di serie B a seconda del potenziale di spesa, davanti all’accesso e alla fruizione del patrimonio storico e artistico del Paese. Che in una sala studio della Biblioteca Nazionale Braidense si possa cenare è inconcepibile, e dovrebbe essere strettamente vietato per VeraLab, così come per il signor Mario Rossi fino al Presidente della Repubblica. La carenza di fondi strutturali inoltre non può e non deve essere il grimaldello per snaturare la destinazione dei luoghi di cultura né la loro funzione di custodia, bensì dovrebbe essere la leva per avvicinare sempre più sensibilità e capitali privati. Gli strumenti ci sono, magari sono poco instagrammabili.

Se la reputazione di Fogazzi in questi giorni è scivolata su un cartone della pizza, non è solo colpa sua. Angelo Crespi, che ha autorizzato l’iniziativa, ha le sue responsabilità. Leggendo l’intervista rilasciata a Gianni Santucci (Corriere della Sera, 17 giugno 2024) e scorrendo le sue foto personali pubblicate su Instagram, qualche dubbio circa le competenze del direttore, in materia di gestione e tutela del patrimonio librario, potrebbe venire. Crespi afferma che i volumi degli scaffali della sala teologica “sono libri antichi, ma non i più importanti, che sono nel caveau”: e dunque questo giustificherebbe lo stress ambientale a cui sono stati sottoposti? Come la mettiamo invece con il manoscritto de I Promessi Sposi maneggiato senza guanti il 13 maggio 2024, in occasione della visita di Alain Elkann? Tutti ricorderanno l’avventura della scorsa estate di questo signore, in stazzonato abito blu di lino e quotidiani stranieri infilati nella cartella di cuoio, a bordo di un treno Italo per Foggia. In Braidense, davanti alla carte originali di Alessandro Manzoni, crediamo non abbia incrociato orde di lanzichenecchi. Non di giorno, almeno.

La vicenda che ha coinvolto e quasi travolto Cristina Fogazzi, al netto di insulti e cattiverie del tutto gratuiti o estranei ai fatti, è interessante almeno sotto due punti di vista. La ricchezza, anche quella guadagnata onestamente, non è più un passepartout. Poterselo permettere non giustifica l’opportunità di utilizzare a proprio piacimento, o a scopi aziendali, gli spazi culturali. Se le regole, o il direttore, incredibilmente lo permettono, non è detto che sia giusto né accettabile: il valore del luogo, dei beni che conserva e il rispetto verso di essi dovrebbe prevalere. Sempre, specie tra le persone più istruite e con maggiori possibilità. Ed è questo il filone che seguono molti commenti negativi.

Il secondo fatto sociale (e social) di rilievo è la reazione di sdegno eterogenea. Fino a qualche tempo fa, la denuncia, la critica, la polemica mediatica sull’uso e l’abuso del patrimonio culturale era missione ad appannaggio quasi esclusivo di una sparuta, o considerata tale, cerchia di passatisti. Professoroni, in particolare, o comunque gente estranea e ostile ai cambiamenti, abituata a scrivere e a parlarsi addosso con l’inclinazione autoerotica di intralciare le riforme, la libera circolazione delle opere, la gestione imprenditoriale del patrimonio. La condanna alla cena ospitata in Braidense dimostra invece che questa massa critica sta diventando un campo più largo, di tecnici senz’altro, ma anche e soprattutto di cittadini appassionati e di giovani.

In Privati del patrimonio, Tomaso Montanari scrive che “Il patrimonio culturale non può essere messo al servizio del denaro perché è un luogo dei diritti fondamentali della persona” (Giulio Einaudi editori, 2015). Ed è su questi diritti fondamentali che forse sta passando di moda e perdendo terreno il privilegio di pochi a scapito della conservazione e del godimento di tutti. Cristina Fogazzi, che è anche autrice de Il mio Grand Tour. Storie di luoghi, di arte e di ansia (Rizzoli, 2022), che per inciso abbiamo, letto e regalato, ha tutti gli strumenti, non solo economici, per raddrizzare l’ultimo tiro e farsi ambasciatrice più attenta e coerente della gestione culturale e sociale del nostro patrimonio.

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