Ogni cosa finché dura porta con sé la pena della sua forma, la pena d’esser così e di non poter
L. Pirandello
essere più altrimenti.
Gli scenari e le condotte umane sono, di fondo, sempre le stesse: a volte quasi un pernicioso marchio di fabbrica. A conferma di quanto sopra, vi sono delle prove, addirittura pellicole d’antan, tra le quali è più che mai calzante “Totòtruffa62”, interpretato dal Principe della risata che, nei panni di un incallito imbroglione, insieme ad altri complici, tenta di vendere la Fontana di Trevi a uno sprovveduto turista straniero.
A distanza di oltre sessanta anni, la location è la medesima. Il centro storico dell’Urbe è ancora parte della sceneggiatura, ma gli attori, esistenti e non frutto della fantasia, propongono “sòle artistiche”, per dirla in romanesco. Si tratta di falsi pittori di strada che offrono i loro “capolavori” ai turisti, soprattutto a quelli provenienti dall’estero, spacciandoli per dipinti o acquerelli, quando trattasi solo di fotocopie ritoccate. L’inganno è stato smascherato di recente da Rokas Bernatonis, un illusionista lituano, che ha postato la vicenda su YouTube ottenendo milioni di visualizzazioni: gli è bastato passare un fazzoletto umido su uno di questi supporti per eliminare la parte ritoccata e far emergere il duplicato sottostante. L’ennesima truffa consumata sotto gli occhi di tutti, in una cornice di abusivismo e overtourism, non di certo utili alle nostre città d’arte, viceversa danneggiate in questo modo nell’immagine. Condotte analoghe, in passato, si sono registrate a Venezia e a Firenze, dove in pratica i furbastri si spacciavano per artisti di strada per ottenere il permesso di occupazione del suolo pubblico dai comuni e per condurvi poi le proprie attività illegali. Si ricorda che l’artista di strada autorizzato è colui che realizza dal vivo e vende le proprie creazioni sul posto.
Il falso d’arte e di antichità, per ampliare il focus, ci ammorba. Ne abbiamo trattato di frequente su queste pagine, proponendo contributi per illustrare l’odioso fenomeno, con un approccio multidisciplinare, finalizzato a dare un apporto e uno stimolo critico anche al di fuori della cerchia ristretta degli specialisti del settore. In questo senso è fondamentale una corretta informazione, anche per cercare di realizzare una rete di condivisione virtuosa, utile a sensibilizzare su queste tematiche e a prevenire condotte devianti, se non illecite. Il fenomeno è sempre più diffuso, secondo un trend più che decennale. Il report annuale dell’Attività Operativa dei Carabinieri dell’Arte riferito al 2023 e le precedenti edizioni sembrano attestarlo. Il totale dei falsi sequestrati ammonta a 1.936, suddivisi per i settori:
– antiquariale, archivistico e librario (61);
– archeologico e paleontologico (535);
– contemporaneo (1.340).
La stima economica dei falsi sequestrati ammonta a 45.399.150,00 euro.
Il numero delle opere contemporanee sequestrate è più del doppio di quello delle altre due categorie aggregate. È quasi dimezzata la stima economica dei falsi sequestrati rispetto al 2022 (86.026.350,00 euro) a fronte di un totale di falsi sequestrati di 1.241: oltre il 30% circa in meno rispetto all’anno successivo. Queste cifre, tuttavia, pongono alcuni interrogativi e, probabilmente, meritano di alcune considerazioni, soprattutto incentrate sul significato dei valori.
Partiamo anzitutto dall’assunto, basato sulla norma, per cui se un’opera d’arte e/o un bene culturale è un falso non può essere commercializzato. La norma introdotta nel Codice Penale, in seguito alla ratifica del Trattato di Nicosia nel 2022, conferma la confisca dei beni alterati, contraffatti e riprodotti (cd. oggetto materiale del reato). Va ricordato che l’entrata in vigore dei reati del Titolo VIII-Bis del Codice Penale (Dei delitti contro il patrimonio culturale), segnatamente dagli artt. 518 octies e 518 quaterdecies (rispettivamente: falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali e contraffazione di opere d’arte) ha comportato l’abrogazione del’art. 178 D.Lgs. 42/2004 (Contraffazione di opere d’arte).
È tuttora vigente il dispositivo dell’art. 64 D.Lgs 42/2004 che recita: chiunque esercita l’attività di vendita al pubblico, di esposizione a fini di commercio o di intermediazione finalizzata alla vendita di opere di pittura, di scultura, di grafica ovvero di oggetti d’ antichità o di interesse storico od archeologico, o comunque abitualmente vende le opere o gli oggetti medesimi, ha l’obbligo di consegnare all’acquirente la documentazione che ne attesti l’autenticità o almeno la probabile attribuzione e la provenienza delle opere medesime; ovvero, in mancanza, di rilasciare, con le modalità previste dalle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, una dichiarazione recante tutte le informazioni disponibili sull’autenticità o la probabile attribuzione e la provenienza. Tale dichiarazione, ove possibile in relazione alla natura dell’opera o dell’oggetto, è apposta su copia fotografica degli stessi.
Non siamo certi, tuttavia, a garanzia degli acquirenti, che sia così puntuale l’applicazione della suddetta norma (non prevede sanzioni in caso di inosservanza), considerato il numero elevato e pressoché costante dei reati registrati nel contesto.
Detto ciò, ha senso attribuire loro un valore economico? Secondo quali criteri avviene questa operazione? Che utilità ha?
Ragionevolmente, una volta acclarata la falsità dell’oggetto, l’unico valore che avrebbe senso assegnargli sarebbe quello intrinseco, calcolato sull’abilità, sul tempo impiegato per realizzarlo e in riferimento ai materiali utilizzati alla bisogna. Avrebbe invece maggiore significato quantificare il danno causato dalla diffusione illegale dei falsi, ovvero quelli procurati:
– alla cultura;
– all’artista e ai diritti d’autore conseguenti;
– alla persona fisica/giuridica vittima del reato;
– al fisco.
Il danno cagionato alla cultura è di fatto incalcolabile, considerata la ripercussione a partire da una dimensione locale fino a pervenire a una potenziale portata globale. La cultura è un bene universale, incompatibile con la proprietà nei termini giuridici di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, secondo la previsione contemplata dall’art. 832 Codice Civile. È bene precisare che non tutti i beni sequestrati rientrano nella nozione di bene culturale ex art. 10-13 D. Lgs 42/2024 (sarebbe in effetti opportuno presentare un distinguo), trattandosi anche di realizzazioni recenti e/o di autori viventi.
Inevitabili le conseguenze negative impattanti sulla reputazione di un’artista nel momento in cui le sue opere comincino ad essere falsificate e commercializzate. Magra è la consolazione compendiata nell’espressione “si falsificano solo i grandi”, semmai si falsificano coloro le cui realizzazioni si vendono a prezzi più alti. Le persone offese dal reato, nella maggior parte dei casi, difficilmente riescono a vedersi riconosciuto il danno patito. Pur costituendosi parte civile in seno al procedimento penale e, in una sfera più ampia ricorrendo all’art. 2043 Codice Civile (Risarcimento per danno illecito), perfino a fronte di sentenze di condanna dei colpevoli, è difficile se non impossibile essere ristorati del danno. Le sentenze di condanna sono rare, spesso non è considerata l’aggravante prevista dal Codice Penale, ex art. 61 comma 7, laddove sia stato “cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità”. Si pensi, a titolo esemplificativo, al caso dei Modigliani esposti al Palazzo Ducale di Genova. Risulta, a maggior ragione, assai complicato quantificare gli introiti fiscali derivanti dalla mancata imposizione tributaria sulle opere ritenute false, tenuto conto che sui beni d’arte commercializzati grava l’IVA e che essa, secondo i casi, varia dalla percentuale ordinaria fino a quella agevolata del 10% sul prezzo (quale prezzo? Sic!). Non parliamo poi se i falsi risultino commercializzati in canali sovranazionali o sul web eludendo di fatto i dazi doganali e le altre tipologie di tassazione.
Infine, riprendendo l’argomento in relazione alle statistiche criminologiche di cui si è riferito, da un punto di vista concettuale e critico, andrebbe spiegata la metodologia che ha determinato le stime, non essendo del tutto esaustiva la formula “qualora immessi sul mercato”. Qualora? Se si tratta di beni sequestrati vuol dire che sono stati commercializzati, se non altro nei termini riconducibili all’ipotesi del reato tentato ex art. 56 Codice Penale, altrimenti la norma non sarebbe violata e il sequestro non sarebbe operabile. L’avverbio in premessa pone altresì un’ambiguità in termini spazio-temporali. Ne consegue che la frase in sé non si regge nella sostanza.
Si consideri che, per esempio, in altre nazioni il reato di falso non è nemmeno contemplato o perseguibile e punibile alla nostra stessa maniera. Se si dà perciò per scontato che si tratta di crimini commessi in Italia, il presupposto temporale/territoriale è essenziale per stabilire l’effettiva consumazione e sussistenza del reato. Si presume, pertanto, che il valore pubblicato si riferisca al prezzo di vendita del bene falso registrato al momento del suo sequestro sul territorio nazionale. Anche in questo caso, tuttavia, risulta difficile darne una stima attendibile. Se si parla per esempio di bene in asta, quale dovrebbe essere il riferimento più puntuale? Potrebbe essere la base d’asta, l’eventuale prezzo di aggiudicazione, una media tra i due o ancora una misura che consideri parametri più allargati, valutati alla luce della media dei prezzi di vendita riferiti ad un dato periodo su beni della stessa tipologia.
Il problema si complica ancor di più per l’assegnazione del valore afferente ai beni antichi e ai reperti archeologici falsi. Ci dovremmo riferire, secondo la linea strettamente istituzionale, al tariffario del 1994, procedendo poi ad esaminare la tipologia del reperto archeologico ed effettuando una sorta di comparazione, ovvero ci dovremmo basare all’andamento del mercato, considerando le valutazioni dei cataloghi d’asta nazionali ed esteri. Per i dipinti, sculture e altri oggetti antichi invece? Se l’opera falsa si è rifatta ad un artista noto ma mai commercializzato, come ci dovremmo comportare? Sarebbe un paradosso insanabile, al di là delle conseguenze legali, periziare un bene falso ritenendolo autentico.
Insomma diventa difficile ritrovare una coerenza concettuale considerando tutti questi aspetti che recano in sé elementi di antinomia. Sarebbe perciò opportuno avvalersi di criteri fondati su basi scientifiche, nell’ambito dell’econometria, in maniera tale di disporre di modelli validi ed utili per consentire anche di implementare politiche di prevenzione e di repressione strategicamente più adeguate ed efficaci.
Le statistiche, comprese quelle criminologiche, sono da sempre un problema, per cui è necessario essere attenti e comprenderne la reale portata. Vale sempre la lezione del grande Winston Churchill “Le sole statistiche di cui ci possiamo fidare sono quelle che noi abbiamo falsificato”. Di nuovo il falso? Non se ne esce. I numeri, nella loro dimensione inferenziale, subiscono troppo spesso l’influenza nefasta di un imperante criterio quantitativo (di più è meglio a prescindere), ponendo così rilevanti problemi derivanti dalla rappresentazione di un dato fuorviante o peggio di una falsa rappresentazione dell’oggettività. È un errore sopravvalutare quanto sottovalutare i fenomeni.
Queste pratiche innescano un processo caotico a livello cognitivo, per cui chi non è davvero qualificato non si avvede della propria incompetenza. Gli individui con scarse conoscenze ed esperienza, specie in campo specialistico, tendono a sopravvalutare le proprie capacità. Al contrario, chi è realmente dotato e formato, sottostima spesso le proprie qualità. È il caso dell’effetto Dunning-Kruger (Cornell University, 1999), che a livello sperimentale è stato studiato anche in ambito criminologico, contesto in cui amplifica i propri effetti, impattando negativamente sul contesto sociale. Per cercare di arginare gli effetti di queste dinamiche è necessario:
– assicurare una comunicazione pubblica basata sulla trasparenza, su fonti attendibili e su contenuti diffusi da esperti seri e accreditati;
– incentivare l’educazione e la formazione pubblica sulle questioni della devianza sociale e della criminologia per comprenderne le dinamiche complesse collegate;
– contrastare la diffusione di teorie prive di fondamento scientifico e distanti dalla realtà;
– illustrare meglio le dinamiche criminologiche per facilitarne la comprensione.
Non si può prescindere, in definitiva, dalla conoscenza e dallo studio approfondito dei fenomeni. La piaga del falso non può trovare nessuna forma di affermazione, giustificazione e tolleranza. A un livello più generale sarebbe importante ritrovare la fiducia: non si può vivere permanentemente nell’incertezza, nel timore di ritrovarsi tra le mani e di contemplare, nostro malgrado, un’opera d’arte falsa. Questa fiducia non può essere instillata solo dalle imposizioni delle leggi ma deve scaturire da un’ampia e condivisa consapevolezza verso i sani valori, fondamentali per il progresso dell’umanità, sperando che il falso, diabolicamente, non si tramuti in vero.
Opinionista