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La cultura matura?

(Tempo di lettura: 4 minuti)

“Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri (…) Cosicché essere colto, essere filosofo lo può chiunque voglia.”
Antonio Gramsci

Se si potesse tornare indietro di qualche anno (tanti, sic!) non vi sarebbero dubbi: il tema sul nostro patrimonio culturale sarebbe stato il prescelto. Non voglio e non posso ovviamente cimentarmici, nell’illusione di ringiovanire o magari sperare in un voto alto: troppo tardi. Celie a parte, sarebbe illuminante avere qualche dato qualitativo sui maturandi che hanno preferito questo argomento e, soprattutto, sapere cosa hanno scritto, quali le considerazioni espresse, le nuove idee e i temi emergenti di natura comune.

A livello qualitativo, risulta che la traccia riferita all’articolo della professoressa Maria Agostina Cabiddu abbia riscosso il 3,4% delle preferenze tra i maturandi: aritmeticamente poco meno di 18.000 su un totale di 526.000 (fonte MIM). Cosa chiedeva dunque di sviluppare questo tema? Considerata la “lungimirante” previsione costituzionale (art. 9) e la peculiarità basata sulla storia della nostra penisola, caratterizzata da una bellezza e un portato culturale stratificato nei millenni, di rispondere a quattro quesiti, ovvero armonizzare le risposte attraverso una narrazione organica, alla luce della contemporaneità e su uno scenario globale. In aggiunta a queste premesse, l’autrice ha giustamente evidenziato come il nostro paese rappresenti tuttora un modello unico nel suo genere, motivo per cui è anche meta privilegiata di tanti turisti stranieri. Aspetto che va coniugato con il corretto sfruttamento economico delle risorse culturali, in un’ottica sostenibile che ne garantisca la trasmissione alle future generazioni.

Per quale motivo, a tuo avviso, ‘l’intuizione dei Costituenti’ è definita ‘lungimirante’? Abbiamo discusso più volte su queste pagine dell’importanza di questo articolo che, nei suoi contenuti, ha influenzato la legislazione di altri stati e di organismi internazionali, quali l’UNESCO, che ne ha condiviso in pieno lo spirito e gli intenti aperti ad un orizzonte su scala mondiale. Un articolo che ha avuto un concepimento tutt’altro che condiviso, fortemente voluto da Concetto Marchesi (1878-1957), docente universitario, raffinato latinista, deputato della Costituente, al Parlamento, membro della Consulta Nazionale, presidente della commissione istruzione e belle arti, che si occupò anche della revisione finale del testo scritto della Carta Costituzionale. Un’intuizione quella di Marchesi che si fonda sulla necessità, fortemente sentita dopo il secondo conflitto bellico e la stringente censura fascista, di diffondere la cultura sotto ogni forma, coniugandola con l’educazione del popolo, ancora afflitto dalla piaga dell’analfabetismo (che fino al 1950 ammontava al 12,9% della popolazione nazionale), in termini di elevamento sotto il profilo economico, etico e politico. Se non altro l’analfabetismo, ad oggi, si è ridotto allo 0,5%, anche se una ricerca recente, condotta da OCSE, segnala che il 28% degli italiani sia affetto da analfabetismo funzionale, ovvero da un problema che, già nel 1984, l’UNESCO ha così definito:
“La condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”. Questa situazione, purtroppo, relega il nostro Paese come il peggiore d’Europa.

Difficile accettare il manifestarsi di questo fenomeno perverso, attesa l’innegabile funzione civile della cultura nel contribuire ad assicurare un’esistenza propriamente umana, giustamente associata e consapevolmente partecipata al contesto sociale. Cosa sta accadendo, come possiamo spiegare e soprattutto superare questa regressione? Probabilmente dovremmo, tutti, essere più partecipi e maggiormente propensi a conoscere di più, e meglio, il nostro patrimonio culturale. A una domanda di bellezza, riprendendo la traccia della professoressa Cabiddu, dovrebbe corrispondere un’offerta culturale corretta, affinché vi sia un equilibrio, un’armonia, evitando le disfunzioni date da prezzi elevati che generano un’inflazione sociale odiosa e causano divisioni favorendo coloro che godono di redditi più elevati: la cultura non può essere mercificata, sfruttata da interessi particolari ovvero rappresentare uno status symbol, preda del serpeggiante consumismo. I beni culturali vanno dunque conosciuti, protetti e tutelati. Non è un annuncio retorico, è un’autentica presa di coscienza, ne va della nostra identità che si fonda su testimonianze e valori di una civiltà millenaria.

Gli scenari attuali, costellati di conflitti bellici e prevaricazioni di varia matrice, compresa quella terroristica, declinata sotto varie forme ed ideologie, mette in serio pericolo le nostre vite ma anche le attività umane compresi gli asset culturali che non riescono ad essere adeguatamente valorizzati così da rappresentare una fonte di benessere per tutti, soprattutto in quelle aree che sono già marginalizzate o deprivate per varie ragioni. Per uscire dai confini nazionali, pensiamo ad esempio a Palmira. Cosa ne è stato? La stanno ricostruendo? Palmira è divenuta un luogo simbolo per l’intera umanità, per ricordarci cosa accade quando l’uomo imperversa con la sua folle furia distruttrice, eliminando ogni rappresentazione culturale diversa rispetto a un’idea egemonica. Palmira, come già detto, è anche una speranza perché vi riecheggia anche lo spirito di un uomo che l’ha difesa nella sua essenza più profonda, che si origina oltre duemila anni prima della nascita di Cristo. Khaled al-Asaad, chi era costui? È la pedagogia dell’esempio. Dal 2015, dopo la conquista del sito archeologico per mano dell’ISIS, organizzazione terroristica di ispirazione jihadista , si è valorosamente prodigato per mettere in salvo i reperti custoditi nel sito, rifiutandosi, dopo il suo sequestro, occorso successivamente, di rivelare ai suoi aguzzini dove questi fossero conservati. Per queste ragioni è stato torturato e assassinato con ferocia nell’agosto successivo, negli stessi luoghi dove aveva vissuto e portato avanti la sua missione di archeologo. Dopo questo evento efferato la comunità mondiale si è mobilitata. Si dice che, sull’onda di quanto accaduto, sia nata l’idea dei Caschi blu della Cultura, divenuta operativa nel 2016 per la prima volta al mondo in Italia, attraverso il protocollo di collaborazione siglato tra UNESCO e MiBACT. Oltre a ciò si è innescata una fiamma che, luminosa e virtuosa, ha focalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica su questi temi spesso colpevolmente ignorati.

L’UNESCO e l’ICOM hanno profuso numerosi sforzi per trovare rimedi al trafugamento dei reperti provenienti proprio da Palmira che, già prima di questi accadimenti, era stata oggetto di saccheggi indiscriminati, i cui frutti criminosi hanno perfino arricchito spregiudicati mercanti confluendo in collezioni museali. È servito qualcosa il supremo sacrificio di Khaled al Asaad? Forse sì, ma adesso sta a noi, vieppiù alle generazioni più giovani, prendersi cura del patrimonio culturale dell’umanità confidando, per dirla con le parole di Maria Montessori, in un’educazione che comprenda la poetica dei cuori non disgiunta da una mente scientifica.

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