Il museo Kunsthaus di Zurigo rafforza la ricerca sulla provenienza della collezione Bührle
La direzione del museo Kunsthaus di Zurigo ha annunciato in un comunicato stampa dello scorso 14 giugno che cinque quadri della collezione Bührle sono stati rimossi dalla collocazione attuale in attesa di ulteriori approfondimenti sulla loro provenienza. Si tratta di una delle più importanti collezioni di opere d’arte francesi, impressioniste e d’avanguardia, seconda solo a quelle parigine: vanta infatti opere di Monet, Gauguin, Van Gogh, Picasso e di tanti altri celebri artisti. Il motivo per il quale questi capolavori sono stati tolti dall’esposizione è legato alla storia dell’imprenditore che dà il nome alla collezione: si tratta di Emil Georg Bührle, importante commerciante d’armi di origine tedesca, che dalla sua fabbrica in Svizzera, la WO – Werkzeugmaschinenfabrik Oerlikon, ha rifornito materiale bellico per milioni di franchi alla Germania e all’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. Di pari passo con il suo patrimonio e il suo potere, cresceva anche la sua collezione d’arte; come dichiarato dallo storico dell’Università di Zurigo Mathieu Leimgruber, al portale svizzero SWI nel 2020: «Nel 1924 Emil Georg Bührle arriva in Svizzera con una moglie, due quadri e un lavoro». In breve tempo i “due quadri” diventano un’importante collezione di oltre 600 opere, su cui incombe lo spettro delle vendite forzate ai danni degli Ebrei, perseguitati dalle leggi razziali.
Anche dopo la guerra Bührle ha potuto continuare la propria attività fino al suo decesso, sopraggiunto nel 1956 per un infarto. A parte una piccola quantità di quadri che ha dovuto restituire nell’immediato dopoguerra, per il resto il magnate delle armi ha potuto mantenere integra la propria collezione, che dopo la sua morte è stata assegnata agli eredi. Questi ultimi nel 2020 hanno deciso di creare una fondazione a suo nome e stipulare con il Kunsthaus di Zurigo un contratto di prestito permanente per circa 200 quadri, che dal 2021 sono entrati a far parte della collezione del museo. Questa nuova esposizione, allestita nell’ala progettata dall’architetto David Chipperfield, non è stata scevra da polemiche: al centro del dibattito era proprio l’attività di Bührle come principale fornitore di armi ai due paesi dell’Asse, unita al sospetto che, almeno una parte delle opere, potesse essere il frutto della sua collaborazione con il regime nazista.
Sin dalla sua fondazione, nel 1910, il Kunsthaus ha fatto della provenienza delle opere d’arte un suo punto di forza: nel 2007 è stato pubblicato per la prima volta il catalogo con la storia di tutte le opere. Questa continua ricerca è stata rafforzata a partire dal 1998, quando la Svizzera, insieme ad altri 43 Stati, ha partecipato alla Conferenza di Washington e alla redazione degli 11 Principi, che costituiscono le linee guida per la ricerca e restituzione delle opere d’arte trafugate illegalmente o vendute forzatamente durante l’epoca nazista, dal 1933 al 1945. Questi Principi sono delle Soft Laws, ovvero delle regole di buona condotta che non sono legalmente vincolanti, pur essendolo moralmente. A dicembre del 2023, in occasione dei 25 anni dalla Conferenza di Washington, queste linee guida sono state rinforzate con l’emanazione di un nuovo documento: le Best Practices, che, come riportato nel testo: «chiariscono e migliorano l’attuazione pratica di questi Principi».
Sin dal momento dell’acquisizione da parte del museo, è iniziata immediatamente la ricerca sulla provenienza dei capolavori della collezione di Emil Bührle, un lavoro che continua tutt’oggi ad andare avanti e progredire. Proprio in virtù del nuovo documento ratificato anche dalla Svizzera, i curatori di una delle più importanti gallerie d’arte della Svizzera hanno deciso di approfondire la storia di cinque quadri: Gustave Courbet, Ritratto dello scultore Louis-Joseph Leboeuf, Claude Monet, Il giardino a Giverny, Henri de Toulouse-Lautrec, George-Henri Manuel, Vincent van Gogh, La vecchia Torre, Paul Gaugin, La strada in salita. A questi è stato aggiunto un sesto capolavoro di Edouard Manet, La sultana, che faceva invece parte della collezione di Max Silberberg, un famosissimo imprenditore e collezionista ebreo, caduto vittima dell’Olocausto. In questo caso non si è ritenuto necessario rimuovere il quadro dalla sua attuale postazione: tuttavia si è ritenuto opportuno fare ulteriori approfondimenti sulla sua storia. Nelle Best Practices è specificato, infatti che: «Tenendo conto delle specifiche circostanze storiche e legali di ciascun caso, la vendita di beni artistici e culturali da parte di una persona perseguitata durante l’Olocausto tra il 1933-45 può essere considerata equivalente a un trasferimento involontario di proprietà in base alle circostanze della vendita».
Mi sono laureata a Roma in archeologia e storia dell’arte greca e romana e ho conseguito la specializzazione nello stesso ambito a Lecce. Dopo diversi anni di esperienza sui cantieri urbani ho frequentato un master incentrato sui temi della tutela e dei reati contro il patrimonio culturale, discutendo una tesi sulla ricerca della provenienza e la restituzione dei beni trafugati durante la Seconda Guerra Mondiale. Dal 2015 sono guida turistica autorizzata di Roma: tra le visite che propongo più spesso, oltre la Roma antica, ci sono quelle su Occupazione tedesca e Resistenza, e sulla Street Art. Oggi divido la mia vita tra i tour con i turisti, lo studio e la ricerca.