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L’Italia è caratterizzata da un vastissimo patrimonio culturale che attraversa tutte le epoche, a partire dalla preistoria. Tale ricchezza ha un valore inestimabile e anche la legislazione aiuta a proteggerla e tutelarla: ad esempio nel Codice Penale l’articolo 518-duodecies, comma primo, prevede, per il reato di danneggiamento e distruzione dei beni culturali, la pena della reclusione da due a cinque anni con la multa da euro 2.500 a euro 15.000.  Sempre nel Codice Penale, all’art. 733, si pone l’accento sul medesimo argomento: “Chiunque distrugge, deteriora o comunque danneggia un monumento o un’altra cosa propria di cui gli sia noto il rilevante pregio, è punito, se dal fatto deriva un nocumento al patrimonio archeologico, storico, o artistico nazionale, con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda non inferiore a euro 2.065”. Inoltre in Italia esiste un Codice ad hoc relativo esclusivamente ai Beni Culturali, D. Lgs n.42/2004 e successive modifiche, che si occupa dei danni al patrimonio culturale negli articoli dal 172 al 176.

Nonostante questo il nostro patrimonio continua ad essere danneggiato nei modi più diversi: pochi giorni fa è stata la maestosa scalinata di Trinità dei Monti in Piazza di Spagna a Roma ad essere deturpata con della vernice rossa da attiviste ambientali. Prima di lei, solo poche settimane fa, la notizia dell’ennesimo sfregio ha riguardato un turista olandese in visita al Parco Archeologico di Ercolano che ha pensato bene di lasciare, con un pennarello nero indelebile, la sua firma sugli stucchi dipinti di una delle domus.

Firma del turista olandese sul muro della domus a Ercolano (Foto: Carabinieri di Napoli)

A questi se ne potrebbero aggiungere molti altri. Sicuramente uno dei monumenti che ha subito il maggior numero di scritte vandaliche è il Colosseo con centinaia di graffiti stratificati da secoli in varie parti della sua struttura. Al 2023 risale l’incisione da parte di un turista del suo nome e di quello della sua fidanzata: subito fermati e denunciati, l’uomo si è giustificato dicendo che non aveva idea che il Colosseo fosse tanto antico.

Non si resiste all’impulso di lasciare il segno del proprio passaggio nei luoghi più importanti, e questa mania non è una caratteristica che si è sviluppata negli ultimi decenni ma ha radici decisamente più antiche, anche di secoli. Se si volesse stilare un elenco dei danni di questo tipo su monumenti, statue, affreschi e similari sarebbe probabilmente infinito.

Graffiti su uno dei pilastri del piano terra del Colosseo (Foto: Manuela Ferrari)

A volte questi segni sono già conosciuti, altre volte invece vengono scoperti casualmente a distanza di molto tempo da quando il danno è stato fatto. Un caso che ha lasciato decisamente sorpresi è stata la scoperta, durante l’allestimento della mostra dedicata a Fidia negli spazi espositivi di Villa Caffarelli ai Musei Capitolini, conclusasi lo scorso 9 giugno, di una firma presente sulla statua dell’Apollo Parnopios o Apollo del tipo Kassel. L’opera è in marmo pentelico, databile alla prima metà del II secolo d.C. mentre la testa è della prima metà del I secolo d.C., è alta, complessivamente, 1,99m. Appartenuta alle Collezioni Albani, dal 1733 fa parte della collezione permanente Capitolina e da allora è esposta nel salone al primo piano di Palazzo Nuovo. È solitamente posizionata su un piedistallo con le spalle rivolte al muro e il visitatore ne può apprezzare solo il lato frontale.

Apollo tipo Kassel salone Palazzo Nuovo, Musei Capitolini (Foto: Wikimedia)

Quando la statua è stata spostata, per essere posta al centro della sala della mostra dedicata alle opere giovanili di Fidia, è stato scoperto qualcosa che non ci si aspettava. L’opera presentava sulle spalle la firma di un personaggio che ha voluto lasciare il suo nome, Xella (o Vella) Giovanni, probabilmente durante una visita ai Musei Capitolini. Non ci sono testimonianze di quando sia accaduto, ma sicuramente la scritta è successiva ai restauri e alle integrazioni che hanno interessato la statua nel Settecento, ovvero dopo il rinvenimento dell’Apollo nella villa di Domiziano presso il lago di Paola oggi conservato all’Antikensammlung di Kassel. Si ritiene che la firma sia stata apposta dopo questi interventi, diversamente sarebbe stata rimossa o almeno in qualche modo documentata. Il nome del personaggio non è conosciuto e la mostra ha fornito la possibilità di indagare su chi fosse, non escludendo che potesse essere un giovane studioso o artista. Il tipo di caratteri usati, per confronto con la calligrafia tipica dell’Ottocento, ha fatto avanzare la teoria che la scritta risalga a quel periodo, quando artisti e studiosi del Grand Tour visitavano la Roma antica e i grandi musei per studiare e copiare nei loro disegni ciò che vedevano. Forse anche questo Giovanni era tra loro e ha pensato di salire sul basamento della statua per poter lasciare segno indelebile, ma non visibile agli altri, del suo passaggio. Gli studi, ancora in fase preliminare, portano a ritenere, sulla base del cognome, che l’uomo provenisse dalla zona di Trieste o aree limitrofe, ma ad oggi si tratta solo ancora di ipotesi da confermare. Nonostante sia un evidente e deprecabile atto vandalico è diventato col tempo parte integrante della storia della statua stessa e si deciderà poi se intervenire o meno per rimuoverla.

Particolare della firma sulle spalle della statua (Foto: Manuela Ferrari)
Veduta posteriore dell’Apollo tipo Kassel della collezione capitolina (Foto: Manuela Ferrari)

Continuando a ritroso nel tempo, non mancano casi di artisti molto noti che, non pensando di deturpare un patrimonio unico al mondo, e vivendo in un contesto storico completamente diverso dall’attuale, quando il passato era concepito in maniera differente, lasciarono a loro volta segno del proprio passaggio. A Roma, alla fine del XV secolo, sul Colle Oppio un giovane cadde in una grotta sotterranea da una buca apertasi all’improvviso sotto i suoi piedi. Il giovane guardandosi intorno vide pareti affrescate con colori brillanti e figure particolari ma non aveva idea di essere il primo a entrare, dopo secoli, all’interno della Domus Aurea di Nerone. Questa scoperta stimolò la curiosità dei grandi artisti dell’epoca che iniziarono a calarsi in queste grotte e a copiare gli affreschi che, in quel tempo, ancora si presentavano con colori brillanti e pressoché intatti. Lo studio dei disegni e la loro ubicazione contribuirono a diffondere nei palazzi nobiliari dell’epoca le cosiddette grottesche, realizzate da artisti quali Raffaello e Pinturicchio, e influenzarono anche lo stesso Michelangelo. Questi eccellenti artisti però, come tanti dopo di loro, non resistettero alla voglia di lasciare la propria firma sulle volte della Domus Aurea. Ad esempio il grande Raffaello o anche Domenico Ghirlandaio, Giulio Romano, Filippino Lippi lasciarono il segno con firme poste vicine tra loro e ancora oggi visibili. Nel Rinascimento non esistevano leggi ad hoc per impedire o punire simili atti e non erano neanche concepiti come vandalici e dannosi per le opere stesse.

Oggi la situazione legislativa e la consapevolezza sono decisamente diverse, ma a quanto pare, il lupo perde il pelo ma non il vizio.

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