Archeologia restituita. L’esempio del Museo Civico Archeologico “Rodolfo Lanciani”

Ricavato nelle sale dell’ex Complesso Conventuale di San Michele Arcangelo, sulla sommità del Monte Albano, il piccolo museo ospita importanti reperti archeologici recuperati sia dai Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale sia dal Gruppo tutela Patrimonio Archeologico della Guardia di Finanza

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Raggiungere il Museo Civico Archeologico intitolato a Rodolfo Lanciani, “principe della Topografia romana” tra Otto e Novecento, potrebbe essere un’esperienza ansiogena per chi non padroneggia la guida in stradine strette e per giunta caratterizzate da aspre pendenze. In questo caso è meglio lasciare la vettura nei pressi di Piazza San Giovanni Evangelista e proseguire a piedi. I più esperti, con qualche manovra a gomito, possono invece arrivare fino al piazzale d’ingresso e là trovare parcheggio. Il panorama che dai Monti Cornicolani si estende ai Castelli Romani fino alla Capitale, lo scorcio sulla Rocca e la visita al museo ripagano ampiamente gli sforzi di cittadini e turisti che nel fine settimana si avventurano per Guidonia Montecelio. Il piccolo museo è infatti aperto solamente nelle giornate di sabato e domenica – in inverno con orario continuato 9.00-18.00, in estate con uno spezzato 9.00-13.00 e 16.00-20.00 – per la sempiterna ragione: mancano i fondi per garantire un presidio quotidiano. Il Museo Lanciani resiste grazie a due colonne portanti: il volontariato delle guide e delle iniziative culturali messe in campo per attirare l’attenzione e richiamare i visitatori e la collezione archeologica che periodicamente si arricchisce di reperti recuperati e sequestrati dalle Forze di Polizia.

Medaglione Lanciani

Il percorso di visita si sviluppa attorno all’antico chiostro e inizia davanti al medaglione di bronzo con il profilo di Rodolfo Lanciani, opera di Adolfo Apolloni. L’esposizione ha un impianto cronologico ma la prima sala ospita gli ultimi tre reperti recuperati dalla Guardia di Finanza e affidati alla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per l’area metropolitana di Roma e per la provincia di Rieti. Il busto-ritratto dell’imperatore Settimio Severo, un’opera in marmo databile al 204-211 d.C., è quasi integro. Le scheggiature sul volto e sul panneggio potrebbero essere i segni del rinvenimento traumatico, le picconate degli scavi clandestini perpetrati tra il 2016 e il 2017 nella località Tenuta dell’Inviolata -Quarto Campanile, all’interno del Parco regionale archeologico naturale. La provenienza sembrerebbe coincidere con la cosiddetta Villa della Triade Capitolina. Il pregiato manufatto è stato sequestrato dalle Fiamme Gialle nel 2018. La sinuosa statua di musa e una piccola scultura di contadinotto dalle membra floride e con la bisaccia piena, simbolo di fertilità e abbondanza, sono entrambi acefali. Arrivati al museo di Guidonia Montecelio nel 2023, sono ancora oggetto di studio. Il 29 aprile 2022 l’Amministrazione comunale ha dedicato questa prima sala alla Guardia di Finanza “per la meritoria opera di salvaguardia del patrimonio archeologico”.

Più avanti, dopo il mosaico con tessere bianche e nere, che rappresenta il Ratto d’Europa, oggetti votivi, suppellettili, elementi della vita quotidiana, vasi, sarcofagi, ninfe e cariatidi, si arriva a una piccola statuetta. La pelle di leone e un segno, che lascia presupporre una clava appoggiata andata dispersa, così come la parte inferiore del corpo, sono gli attributi di Ercole. La scultura dall’iconografia un po’ insolita, orecchie a sventola, occhi a palla e un accenno di labbro leporino, secondo la ricostruzione più accreditata, dovrebbe rappresentare il ritratto divinizzato di un bambino defunto. Rinvenuta nel 1985, durante i lavori di aratura, nell’area della Tenuta del Cavaliere presso la località Vignacce Maffei a Guidonia, la statuetta è stata trafugata nel 1996 dal deposito di Villa Adriana. L’allora Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico della Guardia di Finanza ha recuperato l’Ercole fanciullo a Londra presso un ricco collezionista.

Ercole fanciullo

Il pezzo più importante è senz’altro la Triade Capitolina. Il gruppo scultoreo rappresenta le divinità tutelari di Roma, Minerva, Giove, e Giunone, in un unico blocco, sedute, una accanto all’altra, su un trono cerimoniale. Ai loro piedi una civetta, un’aquila e un pavone nell’atto di fare la ruota, simboli di arguzia, potere e fertilità-maternità. Giove è raffigurato con in mano un fascio di fulmini. La scultura fu rinvenuta nel 1992 nei terreni scavati di frodo del Parco dell’Inviolata, un’area naturale riconosciuta e protetta dalla Regione Lazio solo dal 1996 (Legge Regionale n.22 del 20 giugno 1996). I tombaroli guidati da Pietro Casasanta dissotterrarono il reperto con grande cura del marmo e del contesto: a picconate. La scultura a tutto tondo in marmo lunense è relativamente integra, sono mancanti alcuni arti superiori delle figure e parte degli attributi. Il gruppo venne trasportato illegalmente in Svizzera, in attesa di essere esportato negli Stati Uniti. Le indagini condotte dal Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale identificarono i componenti della banda, ricostruirono i passaggi, raccolsero le prove della provenienza illecita e fecero sfumare la trattativa. Nel 1994 l’iconica scultura venne abbandonata dai ricettatori nei pressi di Livigno.

Lo scorso 25 maggio, il museo ha celebrato con una conferenza il trentennale del recupero della Triade Capitolina insieme ai luogotenenti in congedo Roberto Lai e Filippo Tomassi, ospiti d’onore e protagonisti dell’Operazione Giunone che ha riportato in Italia il prezioso reperto. Una piccola pubblicazione, a cura del direttore scientifico Zaccaria Mari, descrive il contesto del rinvenimento e le caratteristiche iconografiche del gruppo scultoreo che è esposto nella sala intitolata nel 2019 a Roberto Conforti, Generale dell’Arma e Comandante dei Carabinieri TPC dal 1991 al 2002.

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Se la conoscenza diretta di questi preziosi e unici reperti archeologici, razziati e restituiti alla collettività, non è già una ragione sufficiente per visitare il Museo Civico Archeologico “Rodolfo Lanciani” di Guidonia Montecelio, ci sono almeno altri tre buoni motivi per organizzare una gita: la nuova sala epigrafica, una sbirciata agli affreschi dell’adiacente Chiesa di San Michele Arcangelo e la mostra La porta per l’Aldilà. Riti funerari antichi dal territorio al museo. Inaugurato il 24 marzo di quest’anno, l’allestimento, rinnovato e interamente dedicato alle epigrafi, accoglie reperti provenienti dall’area tiburtino-cornicolana finora inediti. L’efficace disposizione trae spunto da una soluzione dei Musei Vaticani.

Porzione sala epigrafica

Al primo piano, invece, in un angolo del pianerottolo che accompagna all’esposizione temporanea, c’è una finestrella (segreta) che affaccia sull’altare della chiesa accanto, dalla quale è possibile ammirare fugacemente gli affreschi, che ricoprono interamente le pareti, e il loro miserabile stato di conservazione. Le infiltrazioni d’acqua hanno compromesso la leggibilità dei due grandi dipinti murali della tribuna, che rappresentano l’apoteosi di San Francesco e l’approvazione della regola francescana da parte di Innocenzo III, delle decorazioni delle cappelle e del soffitto della navata con il riquadro dell’Assunzione della Vergine. La chiesa non è visitabile ed è aperta sporadicamente solo per la celebrazione di matrimoni in una surreale atmosfera di bellezza in rovina.

Infine il percorso tematico, dedicato agli oggetti funebri, indaga la relazione che gli antichi avevano con la morte. Le rappresentazioni in miniatura della quotidianità, i corredi funerari e i rituali sono il ponte rassicurante tra la vita che non è più e quella che non è ancora.

In questo piccolo museo ce n’è abbastanza per rifarsi gli occhi. E non solo.

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