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Nominati i direttori dei dipartimenti del Ministero della Cultura

(Tempo di lettura: 3 minuti)

Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi

Da “Il Gattopardo” di G. Tomasi di Lampedusa

La riforma del MiC di Gennaro Sangiuliano prevede una nuova architettura della macchina amministrativa articolata su quattro dipartimenti, a capo dei quali sono stati designati altrettanti alti dirigenti, la cui nomina è stata ratificata dal Consiglio dei Ministri.

Questo nuovo assetto, a seguito dell’entrata in vigore dello scorso 18 maggio, ha comportato la soppressione del Segretariato Generale, che viene soppiantato da quattro dipartimenti aventi competenze suddivise per materia:
DIAG – Dipartimento per l’amministrazione generale;
DIT – Dipartimento per la tutela del patrimonio culturale e del Paesaggio;
DIVA – Dipartimento per la valorizzazione del patrimonio culturale;
DIAC – Dipartimento per le attività culturali.

Secondo l’ordinamento adottato, a ciascun dipartimento saranno connessi i vari uffici di livello dirigenziale. I direttori prescelti sono tutti tecnici di provata esperienza.
Paolo D’Angeli, già dirigente della Direzione Generale Bilancio, sarà al capo del DIAG (4 Uffici), con mansioni dirigenziali di amministrazione generale.
La direzione del DIT (3 Uffici) è stata assegnata a Luigi La Rocca, già direttore Generale Archeologia, Belle arti e Paesaggio, con funzioni di direzione della Soprintendenza Speciale per il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Alfonsina Russo, archeologa, sarà alla guida del DIVA (15 Uffici) da cui dipende la direzione dei musei. È stata direttrice per sette anni del Parco Archeologico del Colosseo, il polo museale con più visite in Italia. Ha portato avanti varie iniziative in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio in termini di accessibilità, didattica e ricerca.
Per il DIAC (4 Uffici), competente per la gestione delle attività culturali, è stato individuato Mario Turetta, già Segretario Generale, figura abolita dalla riforma, con la funzione di gestione operativa dei fondi pubblici nazionali ed europei.

Una riorganizzazione che, oltre ad implicare l’aumento di incarichi dirigenziali, per certi versi richiama quella di Rocco Buttiglione, del 2006. Di fatto è stata tolta l’autonomia speciale ai musei che dipenderanno d’ora in poi dal DIVA.

Si ricorda che dal 2006 sono seguite ben due riforme ministeriali, nel 2014 quella promossa da Franceschini e da Bonisoli nel 2019. Oltre la denominazione e le deleghe diminuite (ndr. Il Turismo) cosa è mutato? Non certo sono aumentati in maniera sostanziale i dipendenti per migliorare il funzionamento del dicastero. In passato sono sorte più volte polemiche sulla figura del Segretario Generale, che ora è stato di fatto moltiplicato per quattro, il che potrebbe perfino appesantire ulteriormente la macchina burocratica.

Detto ciò, rifuggendo da sterili polemiche, purtroppo non si fa alcun cenno, per esempio, degli Uffici Esportazione (operativi 16) che svolgono un’attività fondamentale a tutela del patrimonio culturale in relazione alla circolazione dei beni d’arte/culturali da e verso l’Italia. Sono un numero esiguo, poco dotati di personale, rispetto alla delicatezza, alla mole e alla tipologia di attività da svolgere, peraltro nemmeno normata sulla base di una competenza territoriale. Questo è un comparto che andrebbe ampiamente rivisto anche in termini di efficienza tecnologico/informatica delle infrastrutture, delle procedure e dell’auspicabile interoperabilità della piattaforma SUE.

Giova ribadire come la tutela del patrimonio culturale della nazione non sia solo una materia che riguarda il governo di un periodo ristretto. È basata su un fondamento costituzionale che prevede un orizzonte futuro e che non può piegarsi alle logiche partitocratiche.
C’è bisogno di una visione di lungo periodo e non bastano di certo i dati fondati sui numeri che indugiano sulla componente quantitativa. È necessario andare oltre e possibilmente migliorare davvero.

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