…è il pensiero che fa rinascere
M. Pistoletto parlando della “Venere degli Stracci”
Michelangelo Olivero Pistoletto (1933) ha dedicato tutta la sua vita all’arte. Ha frequentato precocemente la bottega del padre Ettore (1898-1984), anch’egli pittore e restauratore. Una scuola di vita e di pratica che lo ha iniziato al disegno, alla pittura e ad altre tecniche che ha sviluppato nella sua lunga carriera creativa. Trasferitosi sin da bambino dalla città natale Biella a Torino, è stato un assiduo frequentatore della Galleria Sabauda e, nella stessa città, nel 1955 presso il Circolo degli Artisti, ha esposto la sua prima opera pittorica, un autoritratto.
Nel corso degli anni Sessanta, è entrato in contatto con gli ambienti dei più celebri artisti pop e con le più note gallerie d’arte contemporanea dell’epoca, fino a diventare uno degli esponenti di spicco del movimento dell’Arte Povera. Movimento che si contrappone alle regole dell’arte tradizionale, in primis per l’utilizzo di materie prime di recupero impiegate per realizzare le cosiddette installazioni, ovvero opere che si prefiggono di strutturare un legame tra la performance dell’artista, l’ambiente e il fruitore. I suoi lavori hanno avuto rilevanza internazionale, una vis di attivismo politico in quanto latori di messaggi di pace e di contestazione antimilitarista, soprattutto verso le scelte aggressive dei governi U.S.A., a partire dalla Guerra del Vietnam (1955-1975).
La Venere degli stracci, è certamente una delle opere più rappresentative del maestro Pistoletto, ma anche dell’intero panorama dell’Arte Povera, si potrebbe definirla, impiegando un termine desueto, la summa. Questa installazione, che non è “banalmente” solo una statua, è formata da una scultura in cemento che riproduce l’opera Venera con la Mela di Bertel Thorvaldsen (1770-1844), noto scultore danese considerato tra i massimi esponenti del Neoclassicismo, e da un cumulo di stracci posti lì accanto. L’idea di fondo è quella di evidenziare la contraddizione tra le forme perfette dell’arte neoclassica (che si ispira all’arte classica) con quelle caotiche dell’arte contemporanea. Sono stati realizzati vari esemplari di questa installazione, esposti alla fondazione biellese dell’artista, al Museo di Arte Contemporanea di Rivoli, alla Tate Gallery di Liverpool. Una versione più recente, di grandi dimensioni, è divenuta, suo malgrado (sic!), ancor più famosa delle altre. Si tratta di quella installata, nel 2023, a Napoli, in piazza del Municipio, distrutta poco dopo dalle fiamme di un incendio appiccato dolosamente.
Il 1° marzo di quest’anno, tra vari pareri discordanti, ne è stata ricollocata un’altra uguale alla precedente, nel medesimo contesto urbano. Nella circostanza è stata organizzata un’inaugurazione pubblica, fortemente voluta dal primo cittadino del capoluogo partenopeo, per rinsaldare il legame che la città percepisce di aver maturato con l’artista piemontese e le sue produzioni che, è bene ricordarlo, rimandano a valori etici di portata universale. Non indugeremo oltre su questo fronte, non vogliamo influenzare bensì dialogare, ma soprattutto non riapriremo la solita polemica sui gusti personali. È importante, tuttavia, per comprendere l’opera, al pari di tutte quelle ascrivibili all’arte contemporanea, conoscere le idee, l’ispirazione e le reali intenzioni dell’artista che, all’epoca della prima realizzazione, nel 1967, ebbe a dire: “La Venere degli stracci è un’opera interattiva nel senso che è attivata dal pubblico che mentre consuma moda produce stracci. La Venere sempre nuda rappresenta ogni persona che si veste e si sveste incrementando il cumulo degli abiti-rifiuto. La Venere è la memoria mentre gli stracci sono il continuo passare delle cose. Gli stracci lasciati a sé stessi non vorrebbero dire nulla, non significherebbero altro che inquinamento, mentre la Venere, apportando la memoria della bellezza nell’arte, li rigenera trasformandoli in colore, calore, emozione, sensazione”.
Dal caos riemerge la bellezza, rigenerandosi addirittura dalle fiamme e confermando così la propria potenza salvifica, a patto si riesca a preservarla. Questa idea di trasformazione è ripresa in un’altra nota installazione del 2003 di Pistoletto denominata Il Terzo Paradiso, riproposta in giro per il mondo in vari contesti naturali e urbani, finanche all’interno della caserma dei Carabinieri “Salvo d’Acquisto” di Roma, il 25 giugno 2016. Nel corso delle celebrazioni per la Festa dell’Arma del 2017, è divenuta anche una specifica figura tra le evoluzioni equestri eseguite del IV Reggimento Carabinieri a Cavallo. Il Terzo Paradiso è divenuto un simbolo conosciuto pressoché ovunque: il suo ideatore lo descrive come una “riconfigurazione del segno matematico dell’infinito composto da tre cerchi consecutivi. I due cerchi esterni rappresentano tutte le diversità e le antinomie, tra cui natura e artificio. Quello centrale è la compenetrazione fra i cerchi opposti e rappresenta il grembo generativo della nuova umanità”. Dalla bellezza all’equilibrio. Teniamo a mente queste due qualità fondamentali.
Seguendo quasi una traccia, un disegno circolare che rievoca per certi versi la chiosa di un ragionamento, ritorniamo a Biella: alle origini. Quantomeno curioso, magico si potrebbe azzardare.
La provincia piemontese dimostra di avere un certo fervore e una spiccata sensibilità artistica che si rispecchia anche nel successo che hanno riscosso le recenti mostre di arte contemporanea organizzate a Palazzo Gromo-Losa e La Marmora, due dimore storiche che impreziosiscono la splendida cornice del borgo medievale del Piazzo. È proprio qui, sul muro esterno del già citato palazzo Gromo-Losa che lo street-writer TvBoy, ha voluto omaggiare Pistoletto, senza essere tuttavia troppo provocatorio e ribelle come di solito sono i gli artisti di strada. Memore forse di quanto capitato al collega Kris Rizek che, sempre a Biella, qualche mese fa, era stato scambiato per un imbratta muri e perciò aggredito, nonostante l’autorizzazione, mentre stava realizzando un murale nella via Italia: è stato salvato dall’intervento delle forze dell’ordine. Dimostrazione ulteriore di come la vita degli artisti e delle loro opere siano costellate di numerose e variegate sorprese.
Ma torniamo all’opera di TvBoy. Sul muro del palazzo nobiliare del Piazzo compare Pistoletto che, con in mano la bomboletta spray, è ritratto accanto al Terzo Paradiso: all’interno dei cerchi in rosso, il writer ha impresso la scritta IO – NOI – TU, quasi grondante di sangue, e accanto, in omaggio alla tecnologia, ha posto un talloncino con QR-Code che collega al suo sito personale presentante le sue realizzazioni. Che dire oltre? Ricapitoliamo? Bellezza, equilibrio, azzarderei futuro, giocando ancora con la perfezione armonica del numero tre. Un’affascinante quanto fragile sequenza, un po’ come i frattali a specchio di Pistoletto che, tra materiali, colori e numeri, si riflettono nell’infinito quale tema ricorrente e condivisibile, perfino falsificabile. Ai grandi artisti capita, ahi noi, anche questo, per fortuna ci sono i Carabinieri dell’Arte!
Al di là delle preferenze dei singoli, delle mode più o meno imposte dall’incipiente ipertecnologia, non si può fare a meno di cogliere l’evoluzione della nostra società che porta con sé, inevitabilmente, guerre, disastri ambientali ed emarginazione socio-economica. Il linguaggio dell’arte dei giorni nostri, in connessione con quello del passato, deve convivere nel profondo con la quotidianità verso una prospettiva futura, possibilmente migliore.
Opinionista