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Il paradigma stratificato delle mancate restituzioni

(Tempo di lettura: 4 minuti)

Mio, tuo: inizio e immagine dell’usurpazione di tutta la terra

B. Pascal

Abbiamo affrontato più volte, e sotto vari aspetti, il tema della restituzioni dei beni culturali fuoriusciti illecitamente dal nostro Paese nel corso degli anni, analizzando come sia complesso addivenire a un esito positivo delle relative procedure. Al di là dell’aspetto preminentemente, ascrivibile alla sfera giuridica, vi sono questioni caratterizzanti il fenomeno, soprattutto nella direzione delle condotte originarie, ovvero le depredazioni, che ricorrono sistematicamente in concomitanza di: indifferenza, contesti spazio-temporali contraddistinti da un caos politico-sociale (guerre, conflitti di vario genere), ricerca sfrenata di lauti guadagni e potere.

Il testo di Tommaso Romanin e Vincenzo Sinapi, autori e giornalisti esperti di cronaca giudiziaria sul fronte nazionale e internazionale, parte appunto da un fatto cronaca, procede con l’analisi e va oltre. Ci restituisce una serie di avvenimenti e dinamiche, presentati in maniera puntuale, contribuendo a farci comprendere come, di fatto, sia stato incredibilmente semplice truffare istituzioni statali e museali, esperti di varie nazioni e, di converso, molto complicato, faticoso, se non impossibile al momento, anche a fronte di accertate responsabilità, riottenere il maltolto.

Questa vicenda ha tutti gli ingredienti della spy-story: la realtà, anche in questo caso, supera la fantasia.
È l’ennesima truffa, pianificata in maniera certosina e attuata in tempi rapidissimi: la tattica operativa è stata concreta e fulminea a dimostrazione di come la strategia adottata abbia funzionato perfettamente (sic!).
Nei primi giorni del giugno 1949, 166 beni vengono trasferiti definitivamente dal deposito degli Alleati, ubicato a Monaco di Baviera, dove erano custoditi gli oggetti d’arte saccheggiati dalla Germania nazista nei territori occupati.

Il dominus di questa operazione criminale si identifica in Ante Topic Mimara (si chiama davvero così?), un faccendiere di origine croata che pare abbia venduto opere d’arte in giro per il mondo e che per questo abbia accumulato una fortuna. Costui, con la complicità della consorte di origine tedesca, al tempo funzionaria del Central collecting point del capoluogo bavarese, spacciandosi per rappresentante diplomatico, si è impossessato di questa ingente mole di beni, di straordinario valore economico e artistico, per poi conferirli in seguito al Museo Nazionale di Belgrado che li ha inseriti nelle proprie quanto discusse collezioni. Tra questi vi sono più di otto capolavori di scuola italiana, tra cui opere di Carpaccio e Tintoretto, illecitamente alienati ed esportati dall’Italia.
In questo contesto museale permarranno a lungo, verranno schedati e studiati, perfino esposti in Italia, a Bari e Bologna in una mostra organizzata dalle Autorità italiane e curata da funzionari pubblici ed esperti. Evento che, nel 2014, attiverà un’indagine articolata dei Carabinieri dell’Arte, coordinata dalla Procura di Bologna, finalizzata essenzialmente al recupero dei beni mediante l’attivazione di procedure rogatoriali. Oltre alle indagini penali, nel corso delle quali sono state raccolte robuste prove documentali per corroborare l’ipotesi dell’illiceità delle condotte vecchie e nuove, in ordine alla vicende possessorie e all’esportazione/importazione dei beni, è stata promossa anche una moral suasion sul canale diplomatico.

Finora nulla di fatto, i beni sono ancora lì, a Belgrado. Le posizioni dei vari indagati sono state archiviate e molti dei reati ipotizzati prescritti. Non stupiamoci più di tanto se pensiamo, pur su altri orizzonti geografici, alla vicenda emblematica dell’atleta di Fano.

Ma al di là del contesto giudiziario, che incuriosirà certamente i giuristi e più in generale le figure tecniche che gravitano intorno alla galassia dei crimini contro il patrimonio culturale, vi sono certamente fatti e situazioni, riportati nel libro, molto interessanti dal punto di vista storico e politico-culturale riguardanti il nostro paese, ma non solo.
La vicenda al centro del libro intercetta tutta una serie di personaggi che, di primissimo piano, hanno avuto un ruolo diretto e indiretto, nel bene e nel male, in quella che potremmo definire, senza dubbio, un affaire culturel, privilegiano l’idioma il francese, nella sua accezione diplomatica.

Sono passati in rassegna Hitler, folle criminale invasato, artista fallito e appassionato d’arte; Göring, depravato e rapace collezionista, attuatore della “Grande Razzia”; Mussolini e Ciano, scellerati e proni nell’assecondare le manie dei nazisti; Siviero, ambigua figura istituzionale che, al  crepuscolo del Regno d’Italia e della Repubblica Italiana, non sembra sempre muoversi verso una dirittura univoca e coerente, alternando incertezze, ritardi e affermazioni, soprattutto personali, nella prassi dei recuperi delle opere d’arte italiane trafugate; Tito, scaltro dittatore comunista, che per trentacinque anni ha guidato la Jugoslavia; i cosiddetti Monuments Man che, prima di ogni altra organizzazione, si sono ritagliati un ruolo di assoluto rilievo nel panorama culturale mondiale, dati gli esiti del secondo conflitto bellico, rafforzando così l’egemonia degli Stati Uniti anche in questo settore.
Oltre a questo consesso di potentati che, come detto, compaiono nella vicenda specifica, vi sono i vari galleristi e collezionisti nazionali ed esteri di opere d’arte e antichità. Individui quanto mai spregiudicati, avidi, sfrontati e arroganti che, grazie alle loro reti di conoscenze e ai contatti con i potenti, sono certamente tra gli attori principali di questa storia: Ante Topic Mimara, con la sua aurea enigmatica, pare rappresentarne proprio l’archetipo ideale, ovviamente in chiave negativa.

È una narrazione che si dipana su un orizzonte temporale di quasi ottanta anni.
La lettura, ma non si vuole anticipare troppo, induce ad alcune importanti riflessioni sulla tutela del patrimonio culturale nazionale e non. Non da ultimo vuole sensibilizzare il pubblico su queste tematiche, attraverso un’inchiesta giornalistica obiettiva e ficcante allo stesso tempo.

L’Italia, pur vantando una lunga tradizione giuridica, anche nella legislazione di tutela, considerata unanimemente e formalmente tra le più rigide a livello mondiale, non è riuscita tuttavia a far valere, anche in questo caso, il proprio ruolo nel contesto internazionale. È prevalsa finora la ragion di stato, che rimanda alla metafora manzoniana del “vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro”. Malauguratamente, in tante occasioni, sono state sacrificate le buone ragioni, impedendo anzitutto che fosse fatta davvero luce sui fatti fino all’emersione della verità. Troppo spesso i responsabili di crimini atroci non pagano le loro nefandezze e i danni derivanti non vengono rifusi: la Giustizia, ahi noi, non trionfa.

È possibile che tutto ciò si concluda, indegnamente, con l’ennesimo insabbiamento?
Su questo interrogativo vi lasciamo, se vorrete, alla lettura. Magari sarà possibile pervenire a una risposta condivisa o quanto meno ravvivare un dibattito pubblico, utile per costituire una base di partenza funzionale a risolvere la spinosa questione.

SCHEDA LIBRO

Autori: Tommaso Romanin – Vincenzo Sinapi 

Titolo: Bottino di guerra. Il giallo dei quadri razziati dai nazisti e deportati a Belgrado

Editore: Mursia

Anno edizione: 2024

Pagine: 324

Prezzo: 17,10 Euro

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