Decolonizzare il patrimonio. L’esempio del Castello di Racconigi
Inaugurato lo scorso 29 giugno il nuovo percorso espositivo permanente: oltre cento oggetti, selezionati dalla raccolta di manufatti extraeuropei, per testimoniare le culture di appartenenza, gli eventi istituzionali e le memorie personali degli ultimi due sovrani d’Italia, Vittorio Emanuele III e Umberto II di Savoia, e per aprire una riflessione sulle collezioni acquisite durante il periodo colonialista
Rimasti celati nei depositi o in stanze inaccessibili, dimenticati, poco studiati, molti bisognosi di cure, sono più di quattrocento i doni diplomatici, i regali di ospiti illustri o i ricordi di viaggio che il Castello di Racconigi, preferita residenza di villeggiatura dei Savoia in provincia di Cuneo, ha custodito per un secolo. Armi e armature, sciabole, pugnali, scudi e barde, suppellettili, strumenti musicali, fotografie e libri, prodotti dell’artigianato turistico e oggetti di uso comune sono stati scelti e oggi restituiti al pubblico con un intento chiaro e dichiarato: “la loro valorizzazione rappresenta uno strumento per affrontare la storia del colonialismo italiano in Africa e scardinare gli stereotipi e le false narrazioni che ancora rendono difficile il rapporto con il recente passato”.
Il 1890 infatti segna l’avvio di un’aggressiva espansione coloniale nel continente africano. L’istituzione della colonia eritrea, l’assoggettamento della Somalia nel 1908, delle regioni libiche di Cirenaica, Tripolitania e Fezzan nel 1912 e la conquista dell’Etiopia nel 1936 rappresentano il contesto storico e politico nel quale il principe Umberto II di Savoia, a più riprese, visita quei territori tra il 1921 e il 1935. È proprio in occasione di questi viaggi che ambasciatori e comunità locali, singoli connazionali e categorie professionali rendono omaggio al principe con oggetti preziosi e manufatti artigianali, testimoni di paesi, storie e culture, di religioni, rapporti di forza e ideologie differenti. “In un contesto di reciprocità e di scambio, in genere regolato da dinamiche e consuetudini cerimoniali prestabilite, l’oggetto scelto per essere offerto spesso svolge il ruolo di vero e proprio ambasciatore dei valori della comunità che lo ha realizzato, della ricchezza delle sue manifatture, della fierezza delle sue tradizioni”. Dalla Turchia alla Scandinavia, dall’Egitto alla Cina, dal Giappone all’India, dal Brasile alla Somalia, il cosmopolitismo e le relazioni internazionali, imposte anche dal rango e dagli obblighi istituzionali dei regnanti, consentono la costituzione di un patrimonio eterogeneo e stratificato, che al termine della Seconda Guerra Mondiale trova ricovero al Castello. Già dal 1929 il principe ereditario, quale nuovo proprietario della tenuta, aveva iniziato a radunare a Racconigi i doni ricevuti e le sue personali collezioni d’arte.
Tuttavia, delle occasioni che hanno condotto gli oggetti al Castello di Racconigi e dei loro significati, non sempre si è conservata la memoria. “Diversi beni sono riconducibili con certezza a una precisa circostanza storica e talvolta anche alla persona che li ha donati. Iscrizioni e targhe presenti sui manufatti, incrociate con le fonti d’archivio, forniscono infatti preziose informazioni sul momento e sulle ragioni che ne hanno determinato l’ingresso nel patrimonio dei Savoia”. Oltre duecento pezzi, invece, tra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento, sono stati coinvolti e mescolati in una riorganizzazione espositiva che non ha tenuto conto dei diversi ambiti culturali di produzione: “le lance somale finiscono accostate a pugnali nordeuropei e a picche giapponesi. L’appiattimento e la perdita dei riferimenti di provenienza non è il solo esito di quella scelta di allestimento: in linea con la retorica fascista e con i suoi intenti autocelebrativi, lo schema tradizionale del trofeo d’armi porta con sé un messaggio di affermazione della supremazia militare e culturale attraverso l’esibizione delle armi dei vinti. Nell’aprile 1945, pochi giorni prima della Liberazione, si dispone il trasferimento in blocco del nucleo di armi e armature a Torino, forse all’Armeria Reale, ma il progetto non viene attuato. La raccolta rimane a Racconigi e nel 1980 è acquistata dallo Stato italiano come parte del patrimonio del Castello. Mentre tre trofei vengono restituiti ai Savoia, a partire dal 1989 gli altri vengono progressivamente smontati per problemi di conservazione”.
Storie dal mondo in Castello. Meraviglie da quattro continenti a Racconigi, l’itinerario permanente ora allestito nell’ala di levante, cerca di riannodare i fili della storia e delle relazioni sulla base di due criteri: il contesto culturale di provenienza degli oggetti e le occasioni di incontro – dalle prime delegazioni straniere ricevute a Racconigi dal re Vittorio Emanuele III all’inizio del secolo ai viaggi all’estero compiuti dal principe ereditario Umberto II negli anni Venti e Trenta del Novecento – che ne hanno determinato l’ingresso nelle raccolte sabaude. Della selezione in mostra segnaliamo due oggetti di particolare fascino. Il cofanetto in legno, bronzo, argento e smalto, donato nel 1909 alla regina Elena del Montenegro dai figli di Ismail Pascià, khedivé d’Egitto, proveniente dalla manifattura di Giuseppe Parvis al Cairo; e il bassorilievo realizzato da Yousef Zougi, ricordo della visita di Umberto II di Savoia in Terra Santa durante delle festività pasquali del 1928.
Secondo l’ICCROM, il Centro Internazionale di Studi per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali, oggi “decolonizzare significa trasformare le istituzioni culturali in comunità che apprendono. Questo vuol dire che è necessario creare spazio per molteplici prospettive che mostrino i diversi contesti che determinano il modo in cui consideriamo gli oggetti o i temi. La decolonizzazione implica conversazioni difficili e riflessioni sul significato delle istituzioni culturali e sulla loro destinazione. Si tratta di un dialogo aperto e reale con tutti i membri delle comunità e della società, si tratta di condividere potere e autorità”. Ed è esattamente quello che sta accadendo a Racconigi, grazie al nuovo percorso di mostra e al calendario di attività collaterali – laboratori, seminari, presentazioni, incontri, visite tematiche e attività didattiche – che fino al prossimo 19 ottobre coinvolgeranno professionisti, cittadini, visitatori e curiosi.
Il Castello di Racconigi, che fa parte delle Residenze Reali Sabaude riconosciute patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1997, è oggi un grande cantiere: di coscienza, e lo dimostrano le scelte museali e culturali in atto; di restauri, che stanno interessando la Sala di Diana (anche la facciata e i cortili interni ne avrebbero bisogno); e di conservazione. Solo il Gabinetto etrusco, il piccolo e prezioso studio del re, omaggio alla cultura greco-romana e a quella etrusca in particolare, vale la visita.
Dopo la laurea a Trento in Scienze dei Beni Culturali, in ambito storico-artistico, ho “deragliato” conseguendo a Milano un Perfezionamento in Scenari internazionali della criminalità organizzata, un Master in Analisi, Prevenzione e Contrasto della criminalità organizzata e della corruzione a Pisa e un Perfezionamento in Arte e diritto di nuovo a Milano. Ho frequentato un Master in scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Colleziono e recensisco libri, organizzo scampagnate e viaggi a caccia di bellezza e incuria.